Iran versus America passando per il West
sottotitolo invece di quattr’occhi per oggi usiamone tre
A distanza di più di un anno, in occasione dell’uscita nelle sale italiane del film "L’isola di ferro di Mohammad Rasoulof", volentieri ripubblico, con un vestito tutto nuovo e con integrazioni, un mio vecchio post.
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Sono reduce da tre visioni dell’ultima rassegna "le vie del cinema da Cannes a Roma" che è coincisa, anche quest’anno, con il mio compleanno … eh si sono nato l’8 giugno proprio quando ho visto Wim Wenders in persona al Nuovo Sacher.
In questo post mi cimenterò nell’arduo tentativo di leggere trasversalmente tre opere molto diverse tra loro:
Don’t come knocking di Wim Wenders – Germania 2005 – 122 minuti con Sam Shepard, Jessica Lange, Tim Roth
"The iron Island" (L’isola di ferro) di Mohammad Rasoulof – Iran 2005 – 90 minuti – con Neda Pakdaman, Hossein Farzi-Zadeh, Ali Nasirian
Room di Kyle Henry – Stati Uniti 2004 – 76 minuti – con Alexandra Kiester, Kenneth Wayne Bradley, Hannah Nicholas, Cyndi Williams
Mi riuscirebbe, in verità, più facile parlare solo del film iraniano e di quello americano.
Cos’hanno in comune?
La povertà.
L’emarginazione.
La lotta quotidiana alla sopravvivenza che non è esattamente sinonimo di vita.
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"The iron Island" di Mohammad Rasoulof
analisi di eventi ed esistenti
L’isola di ferro
Titolo originale: | Jazireh ahani |
Nazione: | Iran |
Anno: | 2005 |
Genere: | Drammatico |
Durata: | 90′ |
Regia: | Mohammad Rasoulof |
Sito ufficiale: | |
Cast: | Ali Nassirian, Hossein Farzi-Zadeh, Neda Pakdaman, Nemat |
Produzione: | Farabi Cinema Foundation, Sheherazad Media International |
Distribuzione: | Lucky Red |
Data di uscita: | 16 Giugno 2006 (cinema) |
Trama:
Una comunità di persone, dopo aver convinto le autorità locali, si stabilisce a bordo di una vecchia petroliera abbandonata nel Golfo Persico. Il loro leader, il capitano Nemat, mentre la vita a bordo comincia a prendere piede, a poco a poco vende tutte le parti in ferro della nave.
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In The iron island si narra la storia di una comunità che vive su una nave, ma è più corretto dire "relitto".
Trovata geniale, a mio modo di vedere, giacché il relitto è già l’evocazione di un certo stato delle cose.
Relitto è già, in qualche misura, sinonimo di emarginazione.
In questo relitto vive un vero e proprio sistema sociale.
Diretto da un comandante.
Anche qui l’eovcazione è molto forte e diventa di sapore diverso se la guardassimo con un occhio cubano, un’altro perché no italiano, ed un terzo occhio (ma quanti occhi ho) americano.
Tutte nazioni che hanno un capitano non vi pare?
Il cinema di Mohammad Rasoulof è sicuramente un cinema simbolico.
Noi non sappiamo nulla del relitto, nè perché il flim inizi li.
C’è qualcosa di Luis Buñuel proprio nella totale assenza d’indizi e nel gusto dell’evocazione.
La nave sta affondando ma all’inizio il capitano non lo vuole ammettere (rileggerei anche qui con i tre occhi).
Esistono situazioni di pericolo che minacciano il capitano, ma fuori dal perimetro della nave.
Il capitano si avvanteggerà personalmente (usiamo sempre i tre occhi), trasformando le minacce in opportunità ma, anche, facendo apparire il tutto come un manovra per salvare la comunità, cosa che obiettivamente non viene sufficientemente documentata dalle immagini.
Diciamo che viene imposta con un processo d’infralettura verso il futuro alla fine del film …
Nell’interno della nave vivono conflitti di classe, amori contrastati, sogni, speranze, ingiustizie, violenze ed inganni.
Viene in mente la canzone di Gaber per chi la conosce.
Del resto in tutti i sistemi sociali abbiamo a che fare con cose del genere.
Molto belli alcuni esistenti.
Come il bambino soprannominato "pescetto", bellissimo, che libera i pesci che rimangono prigionieri della stiva della nave, sua sarà la delicatissima sequenza del finale del film, densa di evocazioni molteplici e contraddittorie.
Mi ha molto colpito anche un’altra sequenza.
Ad un certo punto a bordo, non si sa come (ma è questo lo stile narrativo di Mohammad Rasoulof), compare una televisione dalla quale i bambini hanno modo di vedere alcune scene di Titanic (ma tu guarda un’altra nave che affonda), e della pubblicità. Ma proprio durante una di queste scene arriva il comandante che scaraventa la televisione a mare ulrlando "ignoranti".
Ecco anche qui sarebbe interessante usare i tre occhi.
"Room" di Kyle Henry
analisi di eventi ed esistenti
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Room è il film d’esordio di Kyle Henry, assistente di Moore.
Mentre è molto complessa la lettura ed, in alcuni passaggi, anche l’infralettura degli eventi del film, assai più interessante è analizzare l’operazione di mescolazione visiva degli elementi caratterizzanti gli esistenti del film, assai attinenti ai precedenti lavori sperimentali del regista.
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Room è ambientato nell’America di oggi.
In quella America fuori dalle coperture dell’assistenza sanitaria garantita, fuori da qualsiasi tutela sindicale.
Quell’America formata da un proletariato grasso, ma povero, diabetico e precario.
Torna l’emarginazione.
Nel sottofondo le notizie della guerra in Iraq, e molte testmonianze di soldati che ammettono le barbarie di quella guerra.
Ossessione nell’ossessione.
Un film decisamente inquietante.
Dove la protagonista è alla ricerca di una stanza (da cui il titolo appunto) che gli appare nei momenti di acuto delle sue strane emicranie.
C’è qualcosa di kafkiano in questo suo strano percorso.
Anche qui abbiamo un furto ed una fuga. (A proposito di fuga sarebbe interessante confrontare con i tre occhi quella del giovane ragazzo di The iron island e quella dell’esistente protagonista di Don’t come knocking).
La protagonista ruba dei soldi all’avaro datore di lavoro e fugge verso New York lasciando marito e figlia nel tentativo di trovare questa Room (a ben vedere è l’esatto contrario del percorso di Howard nel film di Wenders).
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"Don’t come Knocking" di Wim Wenders
analisi di eventi ed esistenti
Non bussare alla mia porta
Titolo originale: | Don’t come knocking |
Nazione: | Germania |
Anno: | 2005 |
Genere: | Drammatico |
Durata: | 122′ |
Regia: | Wim Wenders |
Sito ufficiale: | www.dontcomeknocking.com |
Cast: | Sam Shepard, Jessica Lange, Tim Roth, Gabriel Mann, Sarah Polley, Fairuza Balk, Eva Marie Saint |
Produzione: | Reverse Angle |
Distribuzione: | Mikado |
Data di uscita: | Cannes 2005 30 Settembre 2005(cinema) |
Trama:
Howard Spence una volta era una star del cinema western. Adesso la sua vita è un disastro tra alcool, droga e giovani donne. Quando gli viene in mente che potrebbe avere un figlio da qualche parte, e che quindi la sua vita non è stata invana, si lascia tutto alle spalle e va alla sua ricerca.
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Veniamo al fllm di Wenders.
Don’t come knocking sottotitolo dato da me: 6 personaggi in cerca di Howard.
Scritto a 4 mani con Sam Shepard che è anche l’attore protagonista del film.
(Io li avrei contati … cercano Howord nel film: 1 Howord, 2 il regista del film dal quale Howord scappa, 3 la donna che lui mise incinta, 4 suo figlio, 5 l’assicuratore, e 6 la ragazza con le ceneri della madre, forse sua figlia anche lei).
Un buon link in rete è qui.
Anche qui abbiamo un fuga.
Howard fugge dal set.
Anche qui abbiamo una ricerca.
Howard cerca la donna che improvvisamente scopre essere stata messa incinta da lui 20 anni prima.
Anche qui abbiamo un’emarginazione.
Quella del west e delle terre di confine.
Assai più visivamente metaforica di quelle evocate negli altri due film.
Nel film di Wenders troviamo molti delle sue ossessioni formali.
I cieli azzurri e sconfinati della sua America.
Le nuvole inquadrate all’inizio da due buchi nel Canyon, in una sequenza di un astrattismo che arriva all’evocazione di Magritte.
Un’auto che avanza nel buio mentre chi guida (Howard naturalmente), riesce a malapena a vedere ciò che i fari illuminano, metafora della vita e dell’arte della narrazione, oltre che immagine rivelatrice dello specifico flimico wendersiano.
Il ricongiungimento con il passato per l’elaborazione del lutto.
Qui non è difficle torvare le analogie con Paris Texas, né per la terra della Location, né per il percorso dell’esistente principale.
Howard appunto.
Anche nel film di Wenders lo spettatore non viene molto aiutato nei processi d’infralettura narrativa.
Poco sappiamo del perché l’attore Howard Spence, intorno a cui ruotano tutti gli altri esistenti, decida di scappare.
Sappaimo che in una scena del film che si accinge a girare, si rende conto di non morire. (Dialogo: non morto – non morto).
E’ come se nella consapevolezza improvvisa dell’assenza della morte l’attore si ravvedesse.
Evidenti i riferimenti tipici del cinema wendersiano.
Il suo è un cinema che definirei della filosofia delle immagini.
Queste vengono utilizzate da Wenders oltre che per raccontare, come supporto a sue personali ricerche filosofiche.
"Ho cominciato a capire le cose da quando ho inziato a fotografarle" dice il suo personaggio cornice in "Aldilà delle nuvole".
Così come l’utilizzo dei suoi eventi e dei suoi esistenti.
Io li vedo più come svolgimento d’ipotesi che come veri e propri racconti.
Difficili. Incerti. Il cammino verso una verità deve essere irto di verifiche, di superamento di difficoltà.
Anche il simbolismo è parte dell’indagine.
E dunque gli esistenti che ruotano nell’intorno di Howard sono:
Un ragazza che raggiunge la medesima cittadina sperduta cone le ceneri della madre morta e frose anch’essa amante di Howard (che poi verranno sparse nella valle).
Un assicuratore (Tim Roth) che parte alla ricerca di Howard per ricondurlo sul set.
La donna (Jessica lange) che aveva amto e madre del suo figlio.
Suo figlio.
Il regista del film (dal set del quale Howord fugge).
Tutti cercano, o hanno cercato Howard, tutti tranne Howard stesso che, invece, prima della fuga da se stesso, aveva cercato un’oblio tra sesso, droghe e violenze.
Ma il dettaglio più wendersiano è forse il cartello finale, autentico, che indica le strade per le città di Wisdom (cioè saggezza) e Divide (qui non serve traduzione)."
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Conclusioni
Riguardando le opere con i tre occhi direi che il nostro è un tempo di fughe, d’incapacità di accettare quello che siamo costretti a vivere.
Di ricerca di qualcosa di altro.
Un luogo altro (The iron island, Don’t come knocking, Room).
Un se stesso altro (Don’t come knocking, Room, e forse il ragazzo di The iron island).
Ma questa diversità è forse sinonimo anche dell’incapacità, ripeto, che abbiamo di accettare.
Anche se mi rendo conto che il termine accettare è approssimativo rispetto a quello che sto tentando di dire.
Dev’essere, almeno, interpretato con molte chiavi di lettura, e declinato in molte delle sue accezioni.
Pensavo alle notizie dei nostri tempi: guerre, fecondazioni eterologhe, rilasci di persone vittime di rapimenti da parte dei terroristi in cambio, ma questo non ce lo fanno vedere, di altri prigionieri.
Penso allora che effettivamente dovremmo tutti ancora, ma veramente, imparare ad accettare, a tutte le latitudini del pianeta: noi stessi, gli altri, quello che ci viene in sorte, la società, etc..
E qui le implicazioni arriverebbero addirittura a Dogville, (e i suoi interessanti riferimenti al ribaltamento alchemico = dogville o ribaltando godville) ma le stesse non avrebbero senso nel contesto di questo post, che per mia e vostra fortuna termina qui.
@minstrel … in effetti Mauro, potrebbe essere un’idea.
;)
Rob.
Passo sloggato per un saluto e i consueti complimenti!
Poi leggerò, con calma! Ma pensato di raccogliere tutte le tue analisi in un pdf? sarebbe splendido…
a presto
yours
Mauro ^^
ciao :)) e grazie anche a te per le belle cose he mi dici.
molto documentato questo post.
e meno male che hai tenuto mad world…
sono anche andata al post in cui parli di cinema licata: che bello. che bello. che bello. e non sto mica citando frate antonino da scasazza. :-)
ciao!