Iran – 2009
analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
Produzione: Iran
Anno: 2009
Genere: Drammatico
durata: 119′
Interpreti: Golshifteh Farahani, Taraneh Alidoosti, Marila Zare’i, Rana Azadvar
Sceneggiatura: Asghar Farhadi
Fotografia: Hossein Djafarian
Montaggio: Haydeh Safi-Yari
Scenografia: Asghar Farhadi
Costumi: Asghar Farhadi
Colonna Sonora: Hassan Zahedi
Sala della visione: Sala 3 del Cinema Greenwich – via G.B. Bodoni 59 – 00153 – Roma
Sinossi: Iran, un gruppo di amici si ritrova in una villa sul Mar Caspio. Sepideh ha invitato anche Elly, la maestra del figlio. Ahmed, archiviato il matrimonio con una tedesca, è tornato nel paese. Questi si avvicinano, ma un evento scuote la riunione: mentre controlla due bimbi sulla riva, Elly scompare. E’ annegata in mare o si è allontanata volontariamente? Il gruppo si interroga, nessuno sembra conoscerla davvero.
“Meglio una fine dolorosa, che un dolore senza fine“
1. Introduzione – circa la narrazione allegorica e simbolica degli eventi
Vincitore dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino (migliore regia), e del premio Best Narrative Feature al Tribeca di De Niro, About Elly è un film che mi ha molto colpito, un po’ perché sfugge agli stereotipi del cinema iraniano, ed un po’ perché ha il merito di descrivere, dentro una vicenda simbolica ed allegorica, lo “stato delle cose” dell’Iran sia come “situazione di fatto“, e sia come dimensione della sofferenza e del senso d’impotenza in cui versa, chi spera che qualcosa, in quel paese, cambi.
In questo post:
1. Introduzione – circa la narrazione allegorica e simbolica degli eventi
2. Il triplice cambio del point of concetnration dell’intreccio e la sequenza del “doppio incidente”
2.1. Alireza, il vero fidanzato di Elly, ed il tema del tradimento
3. Il finale del film ed i riferimenti cinéphile al film “L’avventura” di Michelangelo Antonioni
4. Circa il possibile piano di lettura metaforico dell’opera
5. Conclusioni
Asghar Farhadi – del quale avevo già visto il lirico “Il tempo dei cavalli ubriachi” – propone, infatti, nel suo film, una vicenda in modo “solo” apparentemente “solo” narrativa, ovvero senza (apparenti) congetture o clamorose rivelazioni sulle caratteristiche del regime iraniano, ma nella quale, in realtà, affida la deduzione della denuncia, alla costruzione del racconto filmico.
E’ un interessante gioco di stile l’idea di “rivelare senza proclami“, sostituendo, alla denuncia, la struttura stessa del racconto, affidando, cioè, l’aspetto documentarista della pellicola, più alla storia ed al discorso, come mi piace dire, che non agli eventi ed agli esistenti, in quanto tali.
Per metterlo in pratica, Farhadi, ci mostra, dapprima, le solo apparentemente spensierate vicende di un piccolo gruppo di amici – comitiva nella quale include uno spettro completo e variegato di esistenti, muovendo l’azione in un ambiente “chiuso”, quasi da pièce teatrale (la villa sul mare, la spiaggia antistante), ed alla quale affida una prima parte dell’intreccio, basata intorno all’obiettivo narrativo di far conoscere allo spettatore, gradualmente, anche in maniera interessante dal punto di vista della suspance, le relazioni tra i soggetti, ed i valori che le sottendono, ed in cui gli esistenti interagiscono collegialmente – per poi, in un secondo momento, con uno stratagemma di puro screenplay cinematografico, mostrarci – tramite l’artificio della misteriosa scomparsa di Elly, e della conseguente scomposta, nonché sopra le righe, reazione degli altri personaggi, a tale evento – il vero piano narrativo del film, assai più allegorico, nel quale arriva a tangere significati e significanti di uno spessore, a mio giudizio, notevole, e per i quali l’intreccio è, probabilmente, solo un pretesto.
Dal punto di vista della costruzione narrativa cioè (la sceneggiatura è dello stesso Farhadi), al suo quarto lungometraggio, il cineasta iraniano dimostra, ancora una volta, una considerevole ed apprezzabile conoscenza dei metodi della scrittura e della regia cinematografica: basti citare, al riguardo, “il modo in cui gli elementi ambientali, politici, culturali, dell’Iran siano evincibili da tutta una serie di punti di snodo dell’intreccio“:
(Ahmed e Elly che si dichiarano sposi per non infrangere le leggi e la tradizione, ma anche per far progredire il racconto).
E ancora il copioso ricorso al “principio di simulazione” – del fare apparire, cioè, gli esistenti per quello che sono, ma, anche, per quello che non sono, o che, forse, vorrebbero essere, – che il regista amplifica con una progressione davvero notevole, trasformandolo in una sorta di abisso paradossale (Elly/Amhed finti sposi – Sepideh finto personaggio edotto – Elly finta single – il finto fratello, ecc.).
2. Il triplice cambio del point of conetnration dell’intreccio e la sequenza del “doppio incidente”
Altro elemento che impreziosisce l’impianto narrativo è il triplice cambio del point of concentration della storia.
C’è una prima sequenza che, da questo specifico punto di vista, separa la prima parte con la seconda del film.
Quella della scomparsa di Elly che, attraverso l’espediente del “doppio incidente” in mare (prima quello del bambino, poi quello “non narrato” e “non visto” ma solo dedotto di Elly), che distoglie, definitivamente, l’attenzione dalla trama tessuta fino a quel momento, e che “scaraventa“, letteralmente, l’attenzione dello spettatore sul vero, e, forse, “unico evento” del film, (la scomparsa della ragazza, forse morta), creando uno sdoppiamento che aumenta il mistero (ti mostro due fatti, di cui solo uno è realmente importante, sul piano della drammaturgia degli eventi).
Ma il cambio del “point of concentration” dell’intreccio narrativo non si esaurisce in questa a guardare bene.
Esiste anche un terzo tempo.
2.1. Alireza, il vero fidanzato di Elly, ed il tema del tradimento
Dal momento in cui entra in scena il vero fidanzato di Elly (Alireza), infatti, egli letteralmente fa “entrare nel cerchio” degli amici, un nuovo tema centrale dello sviluppo narrativo: quello del complesso nodo dell’infedeltà, che attenua, sbiadendola, la misteriosa ed angosciante scomparsa di Elly.
Questo elemento culturale diventa lacerante e pervasivo, e culmina nella sequenza in cui Alireza implora Sepideh, vero personaggio demiurgico della storia, di rivelare la verità non sulla sparizione, ma sul loro rapporto di coppia: “Ha detto che era fidanzata con me? Lo ha detto?“
3. Il finale del film ed i riferimenti cinéphile al film “L’avventura” di Michelangelo Antonioni
In questo senso, il finale del film, mostra e svela, forse, tutta la capacità evocativa del titolo.
Più ci avviciniamo alla fine del film, infatti, e meno la fine (la morte) conta, il lutto si sfilaccia, qualcos’altro diventa più importante, quasi come in un inconscio ricorso al riferimento cinefilo del film “L’avventura” di Michelangelo Antonioni.
Esattamente come nel lungometraggio del regista italiano, infatti, la scomparsa in mare (in quel caso mostrata dal regista) – ed al tempo stesso il suo rifiuto, la speranza di ritrovare Elly viva – riverbera, anche, l’ozoniano “Sotto la sabbia“.
Ma raggiunto l’acme (ακμή) del dramma (la sequenza sovracitata), il regista, di nuovo sembra, però, tornare al tema della morte: ma l’ennesima inversione tematica è bloccata dalla semplice, scarna, inquadratura del cadavere all’obitorio.
L’enigma pertanto rimane intatto: non “precisamente Elly“, dunque, ma about Elly, “a proposito di”… giacché la vera natura della donna, è oramai, irrimediabilmente, mai più intimamente conoscibile, quasi come per il personaggio di Krisztina, nel romanzo “Le braci” di Sandor Marai.
4. Circa il possibile piano di lettura metaforico dell’opera
Insomma, dobbiamo proprio riconoscerlo, Farhadi fa assolutamente centro nella costruzione, ed imbastisce una perfetta combinazione tra plot puro e risvolti della tradizione iraniana.
Il legame con la terra di Ahmed (altro esistente fondamentale nell’intreccio, che ha sposato una tedesca, e che ora vuole un’iraniana), il cui ritorno, dante causa degli eventi, avviene davanti all’amniotico/mare.
Il diverbio marito-moglie che tracima ed esplode in violenza, evidenziando il tratto arcaico ed ancestrale dei maltrattamenti alle donne, le schermaglie rosa, appaiono lecite, si, ma solo se dette per scherzo (tutti devono essere coppie), altri dettagli.
Ne deriva un’atmosfera di sospensione, che non narra, in maniera esplicita, né un’oppressione palese, né, tanto meno, una ribellione inevitabile, ma punta – più decisamente e verosimilmente – su un’arretratezza creata e narrata con l’ausilio di piccoli dettagli (quanto sono importanti i dettagli nel cinema), come quello della descrizione delle donne, tutte molto belle ed intelligenti, e che mostrano i capelli lunghi, apparentemente emancipate, nel senso che, si, possono truccarsi, si, possono giocare alla seduzione, ma che, al dunque, rimangono, pur sempre, sottoposte all’uomo, e che sono, comunque, costrette a mostrarsi con il velo.
Forse, e sottolineo forse, esiste un piano allegorico di lettura del film, e del suo singolare e, solo apparentemente strampalato, intreccio. Magari anche un po’ semplicistico, ma che fornisce ulteriori chiavi lettura circa gli eventi e gli esistenti del film.
L’insistenza sulla metafora: appare subito evidente, ad esempio, che la casa fatiscente, con i suoi vetri rotti, rappresenti, allegoricamente, l’Iran, nella sua attuale condizione (“Possiamo sistemarla”, dice uno dei giovani).
La stessa Elly – che vuole abbandonare il fidanzato, ma che, al dunque, scompare – non potrebbe rappresentare, forse, il tentativo di una liberazione che fallisce?
Va riflettuta ed analizzata, dal punto di vista simbolico, a questo riguardo, la sequenza in cui Elly, prima di scomparire, tenti, riuscendoci, di fare volare l’aquilone (rotto) di una delle bambine, quasi un simbolo dell’emancipazione (del singolo, del popolo), così come gli stessi esistenti che nella sequenza iniziale del film “urlano al vento” dalle auto in corsa.
5. Conclusioni
Detto questo a conclusione di questa breve analisi a me il film è piaciuto, anche se, lo devo ammettere, ho impiegato molto tempo ad “entrare nella storia”.
La frase in tedesco: “Meglio una fine dolorosa, che un dolore senza fine“, è qualcosa che ti rimane dentro, come una rivelazione, ed anche l’idea che “non si dovrebbe mai costruire la propria felicità sull’infelicità degli altri“, con tutta l’enorme portata etica, politica, religiosa, persino, che questa riflessione implica, è una cosa che non mi ha più abbandonato per tutto il resto della serata.
Bravissimi e convincenti tutti gli attori, tra i quali non posso esimermi dal citare la straordinaria interpretazione di Golshiften Farahani, nel complesso ruolo di Sepideh, bellissima ed intensissima.
Alla prossima.