Il Cinema documentaristico – Francesco Rosi versus Micheal Moore
Che cos’è il cinema documentaristico e chi è il documentarista
Cosa è il cinema? E’ visione.
La verità, sostiene Wim Wenders, è celata o meglio rivelata nelle immagini.
“Ho cominciato a capire le cose da quando ho iniziato a fotografarle”.
“Meglio ancora se le riprendiamo in movimento”, aggiungo, molto immodestamente, io.
Dunque è questa una componente fondamentale che “muove all’azione” il regista dei documentari.
E’ il desiderio di capire innanzitutto, e poi, ma solo in un secondo momento, di aiutare gli altri a comprendere, il senso di un documentario.
Sono certo che esista un profondo senso di crescita nell’investigare una verità fino ad avvicinarla.
Capita a tutti nella vita.
Attraverso una lettura, uno studio, la pratica dello Yoga, il sesso, un’incontro, la preghiera, attraverso qualsiasi cosa, ma è necessario sempre un tramite.
Quello che ci colpisce, ogni volta che l’incontriamo, è che l’esperienza della conoscenza ci lascia per sempre cambiati.
Ghandi sosteneva che “non esiste piacere più grande di quello dell’incontro con la conoscenza”.
Fatta questa pomposa ma necessaria premessa possiamo senz’altro affermare che quindi il cinema documentaristico presuppone:
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un tema un tema in cui la verità non è ancora totale, o meglio è apparentemente è contaminata;
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una persona motivata ad indagare altre componenti di quell’ambito;
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capacità investigative e di ricerca di persone disposte a collaborare;
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tempo ed energie da impiegare;
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difficoltà nel trovare un produttore;
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maggiori difficoltà nel trovare una distribuzione;
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desiderio di affrontare stop sul set;
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una cospicua dose di coraggio.
Il documentarista è dunque, e per sua intrinseca natura, oltre che per necessità professionali, un uomo contro.
Non può, non riesce e soprattutto non vuole accontentarsi.
Deve andare a fondo. Deve svelare la verità.
Certo è compito arduo.
Persino arrogante potrei arrivare a sostenere.
Ritenere di essere i depositari di una verità.
In effetti, però, non è così, giacché il documentarista cerca la verità.
Non la possiede.
E non sempre riesce a svelarla tutta.
Il docuemntarista, ci direbbe Andre Bazin, non è la realtà.
Non filma una storia, filma la storia.
La realtà ha il suo corso, il documentarista da’ alla realtà una sua visione.
Una sua sequenza.
Una sua nuova logica.
Offre, attraverso il montaggio del materiale, una nuova interpretazione di quella realtà.
Non è il revisionismo strorico di certi filmati di propaganda di regime, quella è tuitta un’altra categoria di film documentaristici, intendiamoci, è, pittosto, il tentativo faticoso di ricreare, con il maggiore rigore e la maggiore fedeltà possibili, una determinata situazione storica, al solo scopo di documentarla e rianalizzarla.
In questo da il suo contributo e spesso, anzi, sempre, il suo punto di vista.
Certo mette in luce se non verità ambiti nascosti.
E’ in quest’azione che si compie l’opera della documentazione.
Creare una documentazione filmata è sempre maledettamente più efficace che crearne una solo scritta.
Se avessimo le immagini dell’omicidio non ci sarebbe più alcuna necessità di svolgere indagini.
2. Il cinema di Rosi ed il film Salvatore Giuliano
Questo potere divinatorio del cinema lo comprese a fondo in Italia, e mi piace parlarne nel mio blog perché sono un napoletano, Francesco Rosi.
L’altro ieri tornavo in auto dal Salento (6 ore di auto da Roma).
Si sa in questi casi si ascolta di tutto interi CD, programmi demenziali alla radio ma, se si hanno i riferimenti giusti, si possono ascoltare cose molto interessanti comencesco Rosi sul Film “Salvatore Giuliano”.
Cercare di comprendere oggi cosa volesse dire nell’Italia conformista del finire degli anni ’50 (il film uscì vietato ai minori di 16 anni nel 1961), in cui i comunisti mangiavano i bambini e le donne avevano da poco avuto il diritto al voto (i fatti narrati del film sono degli anni 40), fare un film documentaristico (anche se nel caso di specie tale definizione è in parte imprecisa) del peso di quello che svolse Rosi con la pellicola di “Salvatore Giuliano” non è certo facile.
Bisognerebbe risalire al clima politico degli anni della narrazione.
A cosa fosse nella sua realtà la Sicilia ed il movimento secessionista in quegli anni.
Di cosa volesse dire la parola Mafia.
Di cosa volesse dire sceneggiare un film con l’aiuto degli avvocati Suso Cecchi d’Amico, Enzo Provenzale, ed il contributo dello sceneggiatore Franco Solinas, che, scrupolosamente attingevano gli eventi ed i fatti narrati nel film dagli atti del processo di Viterbo.
Il film tentò di mettere in luce la strumentalizzazione del bandito Giuliano.
Nella lezione tenutasi a Taormina, Rosi, commentando la scena della sparatoria di Portella della Ginestra del 1° maggio del 1947, ha avuto modo di precisare che non si vede Salvatore Giuliano sparare, anche se negli atti del processo di Viterbo si ritenne di si, perché esistevano voci, mai approfondite, e portate alla luce anche in sede parlamentare, di possibili relazioni tra quei fatti e le pressioni degli USA contro il diffondersi di una coscienza di sinistra nell’Italia dell’epoca.
In internet è possibile attingere ad ottime critiche del film.
3. Perché è iportante sostenere il cinema di Micheal Moore
Quello che m’interessa, alla vigilia dell’uscita nelle sale del film di Micheal Moore "Fahrenheit 9/11", è perorare la causa del cinema documentaristico.
In un mondo in cui l’informazione di massa è concentrata, e non solo in Italia, in pochissime mani, avere la possibilità di attingere ad una impegnata contro informazione ricevuta solo grazie all’impegno personale di alcuni cineasti che hanno avuto il coraggio di Moore e, forse, ancora di più, di Rosi è un dovere civico.
Certo è oggi facile parlare del film Salvatore Giuliano essendo ormai svaniti, nella memoria collettiva, sia le conoscenze che la coscienza dell’epoca dei fatti, sia i fantasmi dell’anno dell’uscita del film, ma è importante, a mio avviso, non cadere nell’errore di credere alla contro contro informazione che esiste in questo momento in molti ambienti, anche di critica cinematografica, contro il cinema di Moore e contro il film "Fahrenheit 9/11", in particolare che merita, invece a parer mio, la più appassionata delle visioni.
L’11 settembre e le sue conseguenze rappresentano un fatto che abbiamo il dovere di conoscere bene, perchè ci riguarda tutti.
interessante..anche se penso che il documentario o il cinema militante non sia uno strumento efficace di lotta. Chi non è interessato ai problemi che solleva il documentario probabilmente non sarà interessato a vedersi neanche il documentario… purtroppo il piacere dell’incontro con la conoscenza avviene con chi le conoscenze ce le ha già….
ma forse Moore ha aperto un po’ il genere al grande pubblico…speriamo bene …cmq ottimo post..ti ho linkato sul mio blog..ciao
Grazie a te. Il tuo blog è incantevole. Un saluto. Rob.
Attendevo Semplicemente Nozioni Cinematografiche.
Eccomi Accontentata. Grazie.
Sono assolutamente d’accordo secondo me tutti i blog cinefili dovrebbero commentare Moore dopo la visione di Fahrenheit 9/11. Grazie no no no e no.
l’informazione al giorno d’oggi è di difficile accesso, se abbiamo un’opportunità grazie ad un documentario di accedere alla “verità” dobbiamo cogliere al volo l’occasione, ci aggiorniamo dopo la visione del film per un commento più appropriato al tuo post; ciao!
Può darsi cercherò di tenerne conto. grazie.
i tuoi post sono molto ben documentati e interessanti, forse un po’ troppo lunghi per il blogger tipico la cui soglia di attenzione non supera i due minuti. ciò che mi dici mi ricorda quello che diceva astruc sul cinema verité.
era un commento ad un tuo coomento sul blog farafalla velenosa. Mi sembrava di chiara ispirazione mogolliana battistiana ma don’t worry sei bravissimo a prescindere. by. Rob.
Uhm… non ho capito il tuo commento, ma se mi dici che cito Battisti senza rendermene conto mi fai un gran complimento!!!