analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
ibridazioni tra cinema e romanzo – a cura di Roberto Bernabò
Regia: Mario Martone
Cast: Michele Placido, Fanny Ardant, Giovanna Giuliani, Sergio Tramonti, Antonia Iaia, Fabiana Venturi, Giorgio Grandi, Alessandro Riceci, Riccardo Scamarcio, Francesco Scianna
Genere: Drammatico
Durata: 100 min.
Nazione: Italia 2004
Sinossi: Carlo e Silvia sono sposati da più di vent’anni. Lui ha una giovane compagna, con cui vive, lei abita nella loro casa romana, ai Parioli, dove Carlo passa solo occasionalmente. Tra loro c’è una forte intesa e un profondo affetto, ma quando è Silvia a trovarsi un amante, giovane e violento, la situazione precipita e per Carlo è l’inizio di un’ossessione.
Perché Mario Martone indaga romanzi con la cinepresa?
Sono uscito dalla sala Chaplin del Cinema Azzurro Scipioni, ieri sera, ponendomi questa domanda.
C. mi ha anche accusato di essere assente, troppo concentrato in me.
Forse ha ragione, sono troppo abituato ad andare da solo al cinema.
Però dopo, grazie al potere divinatorio della birra, anche se di pessima qualità come quella che inevitabilmente si gusta dalle parti del Cinema Azzurro Scipioni, tutto si è cominciato a chiarire.
Allora.
Mario Martone – regista
Mario Martone indaga romanzi.
Non è che lo ha sempre fatto. Anzi. Viene dall’avanguardia teatrale napoletana (mi brillano gli occhi).
Ha diretto i gruppi Falso Movimento (dal’77 all’87) e Teatri Uniti (dall’87 al ’98).
Nel ’99 e nel 2000 ha diretto il Teatro di Roma.
Tra i suoi spettacoli: Tango Glaciale (’82), Rasoi (co-regia con Toni Servillo, ’91), Così fan tutte di Mozart (’99), Edipo re di Sofocle e I dieci comandamenti di Viviani (2000, entrambi per il Teatro di Roma), Lulu di Alban Berg (2001).
Morte di una matematico napoletano
“Morte di un matematico napoletano” segna il suo passaggio alla regia cinematografica, film che gli valse il Gran Premio della Giuria a Venezia nel 1992, che fu accolto da mille polemiche negli ambienti napoletani per aver trattato un personaggio, così cripticamente affascinante, senza quel sacrale rispetto che molti videro violato (io no), dedicato alla vita (ed alla morte, soprattutto) di, Renato Caccioppoli, nato a Napoli nel 1904 da Sofia Bakunin, figlia dell’anarchico rivoluzionario russo Michele Bakunin.
Matematico geniale. E che girava ubriaco per Napoli nei racconti di mia madre. Superare l’esame di Analisi Matematica con lui è stato un punto di vanto per un’intera generazione di studenti.
L’amore Molesto
Elena Ferrante è napoletana. Vinse, con il romanzo “L’amore Molesto“, sia il premio Oplonti che il premio Procida Elsa Mornate, che non andò entrambi, a ritirare.
Personaggio schivo, c’è chi la vuole legata a Goffredo Fofi.
Collaborò epistolarmente con Martone alla stesura della sceneggiatura.
Scrive in maniera intrigante ed ha deciso, come scelta di linguaggio, quella radicale ed essenziale di far vedere e parlare la parola.
Il film mi piacque moltissimo. Sia per la Napoli che viene raffigurata, incredibilmente reale ed ostile, assai distante dalle oleografiche e stereotipate visioni, anche di maestri come Scola. E sia per l’utilizzo di alcuni attori come una indimenticabile Angela Luce, un’ancora sconosciuta Licia Maglietta nel personaggio giovane della protagonista Amalia, interpretata dalla sempre bravissima Anna Bonaiuto, che spesso incontravo a Port’Alba a Napoli, mentre mangiava la pizza in compagnia proprio di Mario Martone. Ma non vorrei dimenticare un bravissimo Peppe Lanzetta, scrittore napoletano della Napoli povera e degradata, ricordo fra i vari suoi titoli “Messico Napoletano”.
Il romanzo, anche questo, ha a che fare con la fisicità, con il sesso, con un’ossessione.
Che nel caso di specie è la ricongiunzione, liberatoria, dal punto di vista psicoanalitico, con un passato di violenza carnale molesta e, addirittura, ai limiti dell’incesto.
“L’odore del sangue” – il romanzo e Goffredo Parise
Arriviamo a “L’odore del sangue“.
Ricordo che quando il romanzo uscì, postumo, scatenò mille polemiche.
Perché era troppo privato si disse, perché lui era malato quando lo scrisse, insomma ricordo che ne parlarono diversi giornali. Io vivevo ancora a Napoli e mai immaginavo che un giorno Martone ne avrebbe tratto un film.
Chi era Goffredo Parise?
Figlio di NN e di Ida Anna Bertoli, nacque a Vicenza nel 1929, la sua vita cambiò quando la madre sposò Osvaldo Parise direttore di un giornale locale.
Che qualche anno dopo gli dette il nome.
Il suo secondo romanzo “La grande vacanza” che Neri Pozza pubblicò nel 1953 affascinò, nietemeno, che Eugenio Montale che, sul “Corriere” del 14 novembre dello stesso anno, ebbe a dire “sono affascinato dall’abilità di Parise e dal suo calarsi nell’infanzia senza modi nostalgici e crepuscolari“.
Nel 1968 anche Carlo Bo scrisse che “La grande vacanza” era “un libro di autentica poesia“.
Negli anni ’60 all’attività di scrittore si affiancò quella di sceneggiatore, e Parise collaborò alla sceneggiatura dei 2 film di Mauro Bolognini: Agostino (tratto dal romanzo di Alberto Moravia) e Senilità, anch’esso del 1962 (tratto dal romanzo di Italo Svevo).
Tra le altre diverse esperienze cinematografiche vanno ricordati i film “L’ape regina di Marco Ferreri (1963), che lo scrittore ricavò dal suo lavoro teatrale “La moglie a cavallo“, e la collaborazione con Federico Fellini per un episodio di “Boccaccio ’70” (sempre del fecondissimo 1962, l’episodio in questione è “Le tentazioni del dottor Antonio” con Peppino De Filippo) e per il film Otto e mezzo (1963).
Negli anni ’70 fece viaggi per conto dell’Espresso, per il quale pubblicò i memoriali di quelle esperienze, che si svolsero in terre lontane e martirizzate da guerre.
Dunque fu realmente cronista di guerra. Altro tema, quello della guerra, indagato dal cinema di Martone (Teatro di guerra).
Nel romanzo “L’odore del sangue” l’autore affronta una sorta di variazione sul tema del sangue, quello che esce dalle ferite dei corpi martirizzati dalle guerre. Sempre attuale, ahimè. E quello infinitamente più allegorico della violenza dei sentimenti.
Un violenza che si sviluppa anche nella caratterizzazione dei personaggi. Una donna ossessionata dal desiderio di non essere abbandonata. Il suo giovane amante di destra. il marito, un cronista di guerra malato, vero e proprio alter ego dello scrittore, la sua giovane amante di sinistra. Stalliera.
Un romanzo che Parise scrisse in due riprese. Sul finire degli anni ’70, quando fu colpito per la prima volta dal male circolatorio, e proprio pochi mesi prima la sua morte, nel 1986, in concomitanza con il secondo e ferale attacco del male.
Io sono certo che il male e le ossessioni del romanzo hanno profonde relazioni. Che non sono, solo, figlie di questo senso di perdita di energia che Parise viveva.
Sono una sorta di materiale con il quale lo scrittore, prima, e, Martone, ancora di più, dopo, hanno lavorato.
Fino a qui il romanzo.
“L’odore del sangue” – il film
Nel film cosa cerca Martone?
Secondo me un significato allegorico.
Qualcosa che non ha a che fare solo con il sesso.
Che non ha a che fare solo con il romanzo di Parise, di cui viene decontestualizzata, peraltro, l’ambientazione storica.
Che non ha a che fare solo con l’ossessione sessuale.
Che non ha a che fare solo con due modi diversi di vivere i sentimenti.
Credo che Martone cerchi assai di più.
Martone vuole forse parlarci della crisi dei sentimenti che viviamo.
Delle profonde e laceranti contraddizioni del nostro modo di vivere occidentale contemporaneo.
Di come il finire del ‘900 e l’inizio dell’era degli anni 2000 ci trovino smarriti.
Ammettiamolo, cerchiamo, smarrendolo, un senso alle cose.
Da un lato le guerre, mondi che soffrono la fame, la miseria e lo stupore, come lo definisce il protagonista, dei ragazzi che assistono, attoniti, al vincere della morte violenta.
Dall’altra noi, sempre più incerti.
Sempre più perduti.
Sempre più fragili.
Entrambi i protagonisti decidono, metaforicamente, di perdersi.
Non riescono a fare diversamente.
Sono gli archetipi del nuovo modo di vivere i sentimenti.
Uomini ossessionati e donne emancipate.
Senza nessun luogo d’incontro reale.
Infinite sono le riprese nei salotti borghesi, questo chiacchiericcio insignificante, che fa d’ambientazione soffusa al dramma interiore dei protagonisti, all’acuirsi del loro reciproco senso di solitudine e di confusione.
Gli altri sembrano non accorgersi, ma lo spettatore non può non vedere il senso dello smarrimento collettivo che muove all’azione i personaggi.
Nulla più pare avere, ormai, un senso. Mi spiace parafrasare Vasco Rossi, ma è così.
Non lo ha l’amore adultero dei protagonisti che non riescono a liberarsi, lui del peso dell’ossessione di aver perso l’amore della moglie, come giustamente ha osservato C., e lei dell’idea di amare ancora il marito, mentre invece si perde nell’amore più dissoluto e perverso della sua vita.
Una sorta di psicodramma con l’inevitabile epilogo tragico nell’atroce sequenza nell’obitorio.
Altro luogo marcatamente simbolico, nel quale il gelo della incomunicabilità, viene suggellato dalla più tragica ed inquietante delle ambientazioni.
Il film è stato attaccato per non vibrare. Per essere trattenuto. Persino la fellatio, è stato scritto, sembra essere un atto composto.
Eppure credo che Martone abbia scelto questo linguaggio proprio per filtrare l’ambientazione in un luogo neutrale.
Lasciando come protagonista il senso di smarrimento che annuncia il sentimento in questo nostro mondo occidentale che ci siamo creati.
Fanny Ardant, rapita dal romanzo, e che possedeva curiosamente del romanzo i diritti cinematografici, è, secondo me, un’interprete straordinaria, probabilmente proprio per aver sentito così vicina l’attrazione e l’immedesimazione in una donna che cerca, a tutti i costi, di non essere vinta dalle sue paure e dalla sensazione di sentirsi abbandonata.
Anche se non viene doppiata, anche se si esprime in un italiano fortemente condizionato dalla pronuncia francese.
Anche se non sapeva che Goffredo Parise aveva tradotto in italiano la sceneggiatura, usata per il doppiaggio, del film di François Truffaut, del prolifico 1962 di Parise, “Jules et Jim“.
Anche la giovane Giovanna Giuliani è brava.
Ed anche Michele Placido lo è, sempre secondo me.
Ma è soprattutto Martone ad essere bravo, ed impegnato.
A compiere scelte difficili.
A non cercare la certezza di una struttura narrativa tradizionale.
A sperimentare, come aveva già fatto in teatro, nuovi codici narrativi.
A lasciarsi sedurre da problemi profondi oltre più che da storie.
Questa prospettiva va difesa. Incoraggiata.
Forse addirittura ammirata, in un mondo dove l’audience ed il box office sembrano essere le uniche leggi imperanti.
Da non sottacere la bellezza della fotografia.
Eros e Thanatos
Il sempreverde e antinomico connubio ancestrale, topos delle tragedie umane.
Un romanzo ambientato nella Roma violenta degli anni degli scontri politici e delle strategia del terrore (che stia tornando di moda?), che non cede nulla al sentimentalismo né allo spirito borghese. Che non cerca consensi bigotti e che non teme giudizi moralistici e né, e concludo, allusioni private.
Il film attinge, liberamente ispirandosi come si usa dire, dall’omonimo romanzo di Goffredo Parise.
Dunque ossessione sessuale anche qui.
Per ora mi fermo qui. Sono stanco.
Alla prossima.
piccola Katty ?
i aggree with cinemavistodame from Los Asngeles – Katty
In effetti il film non è che rimanga impresso per la sua velocità narrativa, ma, credo, che uno dei meriti che devono essere ascritti a Mario Martone, consista proprio nel suo non strizzare l’occhio al box office ma, al contrario, di portare avanti un Suo Cinema con delle Sue specifiche Scelete Filmiche e Narrative, difficili aggiungerei.
E per le quali non è che possa piacere a tutti, anzi !! :))
Io mi sono annoiato a morte, con questo film. Se c’è qualcosa che mi annoia di più delle storie sulla vita privata degli intellettuali, sono le storie sulle loro crisi sessuali.
Ho finito adesso di leggre il tuo post. Complimenti è scritto veramente bene e da una visione veramente completa del rapporto tra il romanzo e il film. Mi ha molto colpito la seguente considerazione che condivido pienamente:
“Ma tutto il film è sotto tensione, percorso da pulsanti linee di forza tra gruppi di opposti:
– ambiente urbano, moglie, rapporti sociali / ambiente naturale, l’amante, riflessione sul romanzo
– giovinezza, Eros / vecchiaia, Thanatos
– razionalità, analisi, parola, strategia, interpretazione, vista / passione, sesso, caos, sensi, destino, odore”
Credo ti aggiungerò ai miei link cinefili. Un saluto. Rob
post molto interessante. il film e il libro sono intrecciati in un modo particolarmente ricco, e ho vissuto visione e lettura (successiva) un po’ come un’unica esperienza culturale. se ti va di leggerle, qui trovi le mie impressioni
Si mens sana in corpore sano. Questo vale come risposta sia per C. che per carta straccia che ha seguito il consiglio di M. Twin….sul commento dell’utente anonimo avrei molto di più da dire. ma va bene così.
mens sana in corpore sano?
C.
vorrei fare dei piccoli commenti a “l’odore del sangue”, invierò in allegato 235 pagine con le mie osservazioni.
scherzo, e solo perchè non si dica….. “nemmeno un commento!”
cmq ritengo che dalla letteratura al cinema si possa sempre e comunque passare, purchè il film non lo veda mai chi ha letto il libro e viceversa.
Grazie per il ben tornato… cmq ho smesso facilmente di fumare…
…peccato che poi ho ricominciato :P
Ok rat ! :-))
grazie, nonostantetutto, ma chiamami pure ratinthewall (o rat, per gli amici) :-)
Un ben tornato a zebaldo che leggo sepre con piacere :-))
Sono rientrato da 2 giorni a Milano (…). Sono d’accordo con Filmsdelmavie c’è mmoto da dire sulle ibiridazioni tra cinema teatro e letteratura. Esistono tecniche per passare dal letterario al cinema.
ci sarebbe da dire molto sulle ibridazioni tra cinema, teatro e letteratura. mi ha fatto venire voglia di scrivere qualcosa… quando vincerò la pigrizia.
Ueh, son tornato dalle ferie…. stremato, ma son tornato… :P
Grazie per la visita e per l’augurio di buone ferie ^_*