L’enfant dei fratelli Dardenne
analisi di eventi ed esistenti
L’enfant – Una storia d’amore
Titolo originale: | L’enfant |
Nazione: | Belgio, Francia |
Anno: | 2004 |
Genere: | Drammatico |
Durata: | 95′ |
Regia: | Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne |
Sito ufficiale: | |
Sito italiano: | www.bimfilm.com/enfant/ |
Cast: | Jérémie Renier, Déborah Francois, Jérémie Segard, Fabrizio Rongione, Olivier Gourmet |
Produzione: | Les Films du Fleuve, Archipel 35, RTBF, Scope invest, Arte |
Distribuzione: | BIM |
Data di uscita: | Cannes 2005 07 Dicembre 2005 (cinema) |
Decido di chiudere l’anno con un film, quello dei fratelli Dardenne, perché il tutto ruota su un neonato e spesso si usa metaforizzare l’anno nuovo con un bmabino che nasce tra le mani di un vecchio (l’anno appena trascorso). Questa idea, apparentemente banale, risolve in nuce l’ideazione dell’inevitabile e scontato post di fine anno come che so il classificone dei film del 2005 non me ne voglia Kekkoz, o ancora più patetici tentativi di retorica come cosa augurare al cinema nel 2006 o, peggio ancora, tirare un bilancio esistenziale.
Bene, dopo essermi perso, per l’ennesima volta e come mio solito, nei particolari, esercizio forse noioso per il lettore, ma che educa il vostro amato blogger alla creatività ed al pensiero laterale, veniamo al film.
Allora esiste il mondo riconosciuto, inserito, il mondo degli esistenti che non saprei neanche come definire senza correre il rischio di essere impreciso. Borghese? Si forse, ma non solo. Parlo di quel mondo che non s’interroga sulla società ma che assai più semplicemente la crea attraverso la sua esistenza. Sono quelli che hanno un lavoro, sono gli ospedali, sono i commercianti, i poliziotti, i magistrati, gli assistenti sociali, le scuole, che ne so i giornalai, etc.
Ed esiste un’altro mondo.
Quello che vive ai margini del precedente.
Non dentro, non fuori.
Ai mrgini.
Che ne deride i valori o forse non è messo in condizione di interpretarli.
"Lavorare? Roba da coglioni" è una delle battute più illuminanti dell’etica iniziale di Bruno ad esempio.
E’ un mondo indagato molto dai cineasti, soprattutto francesi (?) ma non solo.
Spesso è un mondo di esistenti adolescenti o di giovani, che rifiutano d’inserirsi e d’integrarsi nell’altro mondo.
Potrei citare, da prospettive assai diverse e senza essere impreciso, François Truffaut, o Pier Paolo Pasolini, o Marco Bellocchio, ed anche se non lo volevo tirare in ballo perchè, non solo su questo blog tali riferimenti sanno un po’ di abusato e logoro: il secondo neorealismo italiano cito tra tutti Francesco Rosi), e questo in verità più per lo stile filmico che non per lo specifico filmico … e chi vuole capire capisce, ma insomma è assai più evocativo questo mondo della linea d’ombra, perchè forse, chissà, un po’ tutti dentro di noi coltiviamo un bambino cattivo che ha voglia di ribellarsi.
Il cinema di Luc e Jean-Pierre Dardenne è sempre crudo e diretto. E L’enfant contribuisce ad aggiungere un tassello al complicato puzzle che i due autori compongono con i loro film. Dalle vittime della manodopera clandestina raccontate in La promesse (1996), al gesto estremo di Rosetta (1999) che non può permettersi di perdere il lavoro per mantenere la madre alcolizzata, o il falegname che insegna in un riformatorio e che scopre tra i suoi allievi il ragazzo che anni prima aveva ucciso il suo bimbo di cinque anni in Il figlio (2002).
Nel loro più celebre film Rosetta – anche questo premiato con la palma d’oro a Cannes – di questo mondo ai margini ne narravano la disperazione forse vana.
Ne L’enfant fanno un passo in avanti e cercano, forse pretestuosamente e forse no, di dare una valenza quasi salvifica all’errore.
Attraverso la storia di una paternità prima rifiutata e poi, con ostinazione cercata, i fratelli Dardenne sembrano suggeririci che attraverso questa esperienza è possibile maturare, cambiare, sperimentare una strategia per varcare, definitivamente, la sottile linea d’ombra che separa l’età incosciente dell’adolescenza con quella responsabile dell’età adulta.
Che cosa incarna questo mito?
Probabilmente ispirato dal tema dell’ultimo Festival di Cannes che si poneva l’obiettivo di raccontare, come ho già avuto modo di dire a proposito dei film di Wim Wenders e di Jim Jarmush, paternità possibili ed impossibili, questa storia sembra in effetti racchiudere entrambe le prospettive.
L’Enfant, a guardare bene gli eventi e gli esistenti del film, infatti, oltre ad essere il demiurgico neonato intorno al quale ruota tutto l’impianto narrativo, appare assai di più, agli occhi dello spettatore, il protagonista Bruno, e cioè il padre.
Il cinema dei fratelli Dardenne è un cinema che si esprime al singolare.
Forse è per questo che piace tanto ai francesi.
Gli esistenti lottano essenzialmente più che contro la società, contro il loro ingrato destino, contro loro stessi. Contro le loro stesse credenze.
Nell’enfant c’è tutto l’inziatico viaggio verso la verità e la progressiva presa di coscienza che il mondo nel quale Bruno ha vissuto, con beata scansonatezza (e qui come non pensare a François Truffaut) fino ad un attimo prima di rivelare a Sofia di avere venduto il figlio, è stato da lui stesso cancellato per sempre da quella atroce, ma al tempo stesso salvifica, rivelazione.
C’è qualcosa di esistenzialista in questa prospettiva narrativa ed al tempo stesso di mistico.
Come la congiunzione di significanti opposti.
Un’incoscienza beata ma insensibile ed una coscienza non più beata ma sensibile.
Esiste come un prezzo che l’esistente deve pagare alla causa della crescita.
Non è un caso che le cose peggiorino dopo tale punto di snodo del racconto per Bruno.
Bruno deve comprendere l’errore ed ecco che gli eventi si drammatizzano.
Solo così il racconto potrà sublimare nel catartico finale, in cui però la consapevolezza comporta il giogo del carcere come contrappasso al riscatto della responsabilità acquisita verso l’amico minorenne, verso il figlio e, last but not least, verso la riconquista dell’amore.
L’unica vera ed ossessiva agente del cambiamento.
Si sa che i due cineasti belgi approdano al cinema dal documentario.
Quindi si cela dentro il loro specifico filmico questa vocazione alla documentazione.
Del resto anche le scelte formali del loro linguaggio audiovisivo citano a mani basse tale stile, basti pensare alle tantissime riprese con la caratteristica "macchina da presa in spalla" ed alla totale assenza di flashback.
Ecco ho notato che il loro svolgersi degli eventi va, senza soluzione di continuità, dal punto d’inizio alla fine del racconto, senza salti.
Un cinema semplice dal punto di vista strutturale, che dsidera solo raccontare quello che accade.
Una documentazione, dunque, che ci parla della società.
Del suo conformismo.
Delle sue regole.
Ma anche delle sue periferie e delle sue contraddizioni.
La soluzione narrativa appare però più un’ipotesi di speranza che non la testimonianza di un reale possibile o sostenibile.
La speranza che l’avvento di una nascita (il film è uscito nelle sale il 7 dicembre, non so ma forse vuole dire qualcosa), ha ancora la capacità di redimere il mondo.
Forse un po’ troppo scontato per vincere la palma d’oro a Cannes come miglior film.
E forse no.
Note a margine: qualcuno un giorno mi spiegherà perché il titolo italiano ha dovuto aggiungere una storia d’amore? Grazie.
Una bella intervista ai fratelli Dardenne sul film è qui.
Fratelli Dardenne; Marco Bellocchio; François Truffaut.
[…] e Luc Dardenne (”Le silence de Lorna“, che noi amammo per “L’enfant“, qui la mia analisi di eventi ed esistenti del film), Steven Soderbergh che presenterà il suo […]
@mpinaCiancio i’m agree with you.
E ricambio l’abbraccio in italiano ;-)
Mi è piaciuto di più Le conseguenze dell’amore…
Sicuramente un gran film, ma che a me personalmente non ha appassionato fino in fondo. Un abbraccio mapi :)
Come non vedete alternative?! La pensione anticipata! Ah, non esiste più?
COOOSAAA? Fra poco non esiste nemmeno più la pensione???!!!
Ohmiodio…
@ rukert:
allora raccontare al singolare significa che nel film non esistono esistenti altri che non siano i protagonisti. Anzi essenzialmente il protagonista.
Ho notato peraltro che l’esistente protagonista ha lo stesso nome del protagonista di Ladri di biciclette, forse un caso forse no.
Gli altri personaggi sono praticamente inesistenti. Se appaiono è solo per svolgere uno specifico ruolo drammaturgico.
Questo significa raccontare al singolare.
Spero di averlo chiarito meglio, anche grazie a te.
In effetti lavorare è da coglioni … ma al momento non intravedo alternative valide
;-))
Rob,
Interessante lettura come sempre, anche se leggendo mi sono fatto l’impressione che questa esperienza cinematografica ricalchi alcuni temi che non vorrei dire abusati, quanto già percorsi, cosa che non impedisce di certo di poterne parlare ancora. Ma mi chiedo: in che modo viene fatto? Questo film aggiunge qualcosa ad esempio al tema del passaggio all’età adulta oppure no? Un altro passaggio che invece non mi è chiaro è cosa si intende per “raccontare al singolare”. Infine una battuta sul lavorare è in effetti da coglioni, se solo si potesse evitarlo :)
Ciao :)
@ ViktorNavorski in effetti anche per me è un po’ così. benvenuto qui;-))
@ FulviaLeopardi sono riuscito a vederne solo 2 ahimé perchè le due amiche che erano con me sono volute andare via … sai com’è noblesse oblige.
E il tuo capodanno?
Un saluto a tutti.
Rob.
è andata bene la maratona?
Attirato qui dal tuo nick, una frase e un concetto che nella mia vita ha assunto un significato particolare e determinante – quasi un marchio di fabbrica -, non avrei mai pensato di scoprire un blog cinefilo… ma è una bella sorpresa! Ciao!
Ciao cristhina6000 ho cercato di ricambiare il saluto ma il tuo blog non apre i commenti agli sconosciuti.
Son cose tu mi commenti ma poi non vuoi commenti insulsi.
Comunque conquista si scrive con la q.
Dai stavo solo scherzando.
;-)
Ben venuta qui.
Sei la prima nuova utente del nuovo anno e quindi dovrei festeggiare ma il tuo blog è chiuso ai commenti.
Spero che per me farai un’eccezione;-))
Un saluto.
Rob.
ciao buonanno
anche a te ;-)
Rob.
Buon anno.Baci
ila.
Infatti vado al cinema … giuro vado ad un cinema che proietta “la notte dei sogni” 6 film dalle 10,30 alle 7,00 pensa te che anno che mi aspetta, neanche Gian Luigi Rondi … auguri anche a te;))
Buon duemilaesei, e ricorda: chi fa una cosa a capodanno, la fa tutto l’anno ;)
Si eternal sunshine of the spotless mind tradotto in se mi lasci ti cancello, è stata la più grande atrocità del marketing made in Italy.
Io però non me lo persi al cinema perché sapevo che era candidato all’Oscar come migliore sceneggiatura originale.
Oscar che ha vinto naturalmente.
Un caro saluto e ricambio gli auguri con affetto ;-)
Rob.
Eccolo il post che aspettavo! Mò lo leggo per bene; riguardo al sottotitolo italiano direi che questa volta si sono pure comportati bene quelli del doppiaggio e della distribuzione; per “vendere” il film hanno aggiunto solo questo obbrobrio, senza variare il titolo.
“Eternal sunshine of spotless mind” non ti dice niente?!
Guarda, non gliela perdonerò mai di avermi fatto perdere un film del genere su grande schermo, solo perchè la distribuzione puntava a gente da american commedy!
Vabbeh; ne approfitto: buon anno Rob e a presto! ^__^
Yours
MAURO
:)*
Che lo sia anche per te dolce amica ;-))
Che sia un Buon Anno, Rob.
Bea.