Pater familias di Francesco Patierno
analisi di eventi ed esistenti
Delitto e ribellione a Giuliano
Titolo originale: | Pater familias |
Nazione: | Italia |
Anno: | 2003 |
Genere: | Drammatico |
Durata: | |
Regia: | Francesco Patierno |
Sito ufficiale: | www.paterfamilias.it |
Cast: | Luigi Iacuzio, Federica Bonovolontà |
Produzione: | Umberto Massa per Kubla Khan |
Distribuzione: | Istituto Luce |
Uscita prevista: | 14 marzo 2003 (cinema) |
Interpreti e personaggi | ||
Mario Aterrano | ||
Domenico Balsamo | …. | Alessandro |
Federica Bonavolontà | …. | Rosa |
Maria Pia Calzone | ||
Italo Celoro | ||
Francesco Di Leva | ||
Luigi Jacuzio | …. | Matteo |
Ernesto Mahieux | ||
Francesco Pirozzi | …. | Michele |
Lucia Ragni | ||
Maria Laura Rondanini | ||
Sergio Solli | ||
Marina Suma | ||
Federico Torre | …. | Polizziotto |
(more) |
Trama:
Matteo, un ragazzo di 30 anni, ritorna dopo 10 anni nel suo paese natio vicino Napoli. Apparentemente il suo ritorno è dettato da un pretesto: l’imminente morte del padre. In realtà Matteo che sta scontando in carcere una condanna per omicidio ha ancora un debito col passato …
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Introduzione
Ho visto il film grazie all’ultima delle proiezioni di questa tornata del Massenzaiello – Arena – Cineforum.
Il tema mi sembra abbia un po’ proposto variazioni sul tema intorno al concetto di odio.
Ora mi rendo conto che centrare il tema dell’odio inquadrandolo, ed è proprio il caso di usare questo termine, nel contesto di più vissuti familiari, inseriti a loro volta nel contesto di un interland napoletano violento e molto realistico, è un’operazione borderline tra più intenzioni e non solo cinematografiche.
Perché non sarebbe arduo definire la pellicola un film con intenzioni documentariste anche se non nell’accezione ontologica del termine.
Nè sarebbe errato classificarla come drammatica, giacchè i vissuti di un po’ tutti gli esistenti hanno effettivamente e decisamente degli epiloghi drammatici.
Ma non sarebbe nemmeno approssimativo definire il film come un’operazione, e questa si ardua, volta, se non a giustificare la violenza di certi contesti periferici e degradati italiani, quantomeno a spiegarne intimamamente le motivazioni più e meno recondite. E qui il film si colloca in una precisa e prolifica filmografia di genere, che sarebbe anche lungo e complesso annoverare tutta, ci basterà citare a mo’ di esempio la capostitica pellicola "Accattone" di Pier Paolo Pasolini e le più recenti "Scugnizzi" di Nanni Loy e "Mery per sempre" di Marco Risi.
Ricordo anni fa, ad un concerto di Eugenio Bennato a Piazza Mercato a Napoli, che sentii dirgli: "Napoli è un cosmo e non si può valutarne criticamente un aspetto senza prima avere cercato di capirne tutti gli altri". Sono abbastanza d’accordo con lui, lo ero allora, lo sono ancora oggi, nonostante il fatto che certe valutazioni andrebbero chiarite meglio. Ma infondo certo cinema spiega molto più di tante parole.
Ecco arrivo a dire che forse la questione meridionale è un po’ tutta qui. Racchiusa e risucchiata in tutti i controversi e complessi e contradittori significati di questa frase.
Ricordo gli scritti de "Il ventre di Napoli" di Matilde Serao ed i suoi appelli all’istruzione di certi quartieri, … quanti anni aspetteremo ancora.
Penso all’attualità dei delitti di Scampia, alle tante dichiarazioni approssimative che, da napoletano, mi tocca subire al riguardo, agli anni trascorsi a Calata San Severo ed a Via Palladino a Napoli, al degrado di quel centro storico.
Penso che Spaccanapoli ristrutturata potrebbe fornire un’esperienza, forse meno toccante sotto il profilo umano, ma sicuramente più simile, sotto quello estetico, a quella che si può vivere in vie, anche molto meno antiche, di tante altre città europee ed italiane con le quali, per diversi secoli, la mia città è stata alla pari, in quanto capitale del Regno delle due Sicilie, anche se andrebbe ammesso che alcune delle ragioni di certi degradi, affondano le radici in certi periodi di certe dominazioni di quel regno.
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Ma torniamo al film di Francesco Patierno.
La pellicola è un adattamento dal letterario al filmico dell’omonimo romanzo di Massimo Cacciapuoti, rivissuto con la sensibilità di un regista architetto, Francesco Patierno, napoletano, classe 1964, che proviene dall’innovativo e creativo mondo della pubblicità.
Un conflitto culturale
Di cosa si narra?
Si narra di un conflitto ancestrale agito e filmato, secondo me magistralmente, che è al tempo stesso realistico ed allegorico.
Il conflitto è un conflitto culturale, prima ancora che generazionale.
Nel sud filmato da Patierno il pater familias, o chi ne fa le veci, ritene quasi di avere un diritto assoluto sui figli, sulla moglie, sugli altri componenti della famiglia.
Un sistema sociale primordialmente patriarcale, in cui la figura del pater familas dilaga, quasi simbolicamente, sino al punto di considere tutti, ma e sopratutto le donne ed i figli, esseri a lui naturalmente e totalmente assoggettati.
Il senso del film è il tentativo di descrivere le conseguenze di questa visione all’interno di famiglie contigue di Giuliano, (anche se il film è girato a Casoria n.d.r.).
La contiguità catturata dalla cinpepresa di Patierno non è quindi solo geografica, ma è anche e soprattutto familiare, molti esistenti sono tra di loro parenti, ed amici.
E, ancora, contiguità di condizione sociologica.
Chi più chi meno infatti, ogni esistente è assoggettato alle regole che vigono nel contesto familiare, e non solo, anche in quello sociale di riferimento, in cui vive un vero e proprio "sistema nel sistema" fatto di leggi e comportamenti etici, con segni completamente ribaltati, derivanti da una tradizione incombente, soffocante, ed al tempo stesso assoluta, alla quale non è facile sottrarsi.
Vite, in buona sostanza, segnate dalla nascita.
Vite che riconducono a molti dei versi del poeta (mi piace definirlo e ricordarlo così) Fabrizio De Andrè.
Penso alla canzone sui dieci comandamenti ad esempio, ed a quello che dice in merito al dovere di onorare il padre, in particolare.
"Onora il padre, onora la madre, e onora anche il loro bastone. Bacia la mano che ti ruppe il naso mentre chiedevi un boccone. Quando a mio padre si fermò il cuore non ho provato dolore".
Una struttura ellittica e circolare
Il film si snoda in una struttura filmica ellittica e circolare, ricca di anacronie infrattive, che rendono molto arduo il processo d’infralettura narrativa, questa potrebbe essere forse l’unica critica da muovere all’opera. Anche se, paradossalmente, è una delle cifre che, personalmente, mi ha fatto molto apprezzare la costruzione dell’impianto filmico.
La storia del personaggio cornice di Matteo, l’unico a muoversi insieme agli esistenti della sua azione, nell’adesso narrativo, riconduce la storia al suo epilogo.
Gli attori sono tutti straordinari.
Da cinefilo mi corre l’obbligo citare il cameo di Marina Suma, attrice esordiente nel 1981 nel film di Salvatore Piscicelli "Le occasioni di Rosa", che mi sembra doverso ricordare nel contesto di questo post, se non altro per le analogie, e non solo semantiche, con le atmosfere e gli esistenti della pellicola di Patierno.
Da notare che alcune sequenze sono girate di nascosto, secondo dettami formali più riconducibili al genere documentarista.
Va aggiunto che, invece, molte altre servono alla circolarità della storia.
Ne ricordo in particolare una di ragazzi che saltano, in un paesaggio periferico e molto degradato, che ritorna più volte nel film, ma via via che la trama scorre capiremo che quei ragazzi, nell’adesso narrativo, sono tutti morti in modo violento.
La risoluzione del conflitto e la catarsi
Il film agisce un tentativo di ribellione.
E qui la storia si ricongiunge, in maniera definitiva e risolutoria, all’altra prospettiva di sviluppo del conflitto della sceneggiatura, che è un conflitto interiore tra quello che gli esistenti sono diventati e quello che avrebbero potuto, ed, in alcuni casi, voluto essere.
Matteo, il ragazzo di trent’anni protagonista della storia, che torna al paese in licensa dal carcere dove sta scontando una pena per omicidio, tenterà di mettere in salvo Rosa, la sua amata, che come lui ha intenzione di reagire.
Rosa è rimasta vittima di un matrimonio, non senza sue responsabilità, con l’esistente forse più violento del film (tra i ragazzi, i genitori lo sono tutti in egual misura, anche se in modi differenti), Alessandro, il ragazzo che anni prima lo stesso Matteo ha assassinato.
Intorno a loro una serie di altri esistenti, che rimarranno tutti vittima del destino che quel tipo di contesti e di cultura riservano alle persone che non riescono a trovare la forza, e forse la consapevolezza, per distrarre le loro vite da quei valori segnati da una comune matrice di violenza. Ritorna l’eco del poeta genovese: "Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo".
Il tentativo di Matteo riuscirà con l’aiuto di una suora sui generis, che saprà guardare al significato simbolico di quel gesto.
Credo che il senso dell’opera sia tutta lì.
Solo spezzando la spirale della orrenda tradizione di violenza, anche utilizzando una rottura rispetto alle morali cristiane più ortodosse, si può sperare di cambiare lo stato delle cose.
"Agire come se il proprio agire fosse regola universale" come c’insegnò Immanuel Kant nel suo imperativo categorico, o, se preferite, "diventare il cambiamento che intendiamo vedere realizzato nel mondo" come c’insegnò il Mahatma Gandhi.
Continuo fermamente a credere che non ci sia un’alternativa.
Un tag e due ricerche
Sud; Francesco Patierno; Questione meridionale.
Mi piace molto la chiarezza e la struttura di questa recensione/critica al film.
-Ombra-