The Black Dahlia di Brian de Palma
Venezia 63 a Roma 2006
Le visioni delle opere di Venezia 63 a Roma
Regia: Brian De Palma
Sceneggiatura: Josh Friedman
Cast: Mia Kirshner, Aaron Eckhart, Hilary Swank, Scarlett Johansson, Josh Hartnett, Judith Benezra, Kevin Dunn, Troy Evans, Gregg Henry
Fotografia: Vilmos Zsigmond
Montaggio: Bill Pankow Kohout
Musiche: James Horner
Scenografia: Dante Ferretti
Costumi: Jenny Beavan Ercole
Origine: Usa, 2006
Durata: 120’
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Nel 1947 gli Stati Uniti furono sconvolti da un tremendo fatto di cronaca nera: il corpo smembrato di una giovane ragazza venne ritrovato nei pressi di Leimert Park, a Los Angeles.
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Il cadavere era nudo, dissanguato e scomposto in due pezzi al livello del bacino. Gli organi interni erano stati rimossi. La bocca tagliata con uno sfregio che univa in pratica le orecchie, in un’orrenda smorfia alla Joker. Contusioni da bastonate su tutto il corpo. E perfino tracce di sodomizzazione. Lo spettro della guerra aleggiava ancora nell’aria ma nessuno aveva mai assistito ad una atrocità di tali proporzioni.
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Le foto del ritrovamento non vennero mai mostrate al pubblico. La vittima era Elisabeth Short, un’attricetta dalla dubbia reputazione, una delle tante starlette che dalla provincia si trasferivano nella città degli Angeli mosse dai sogni di gloria, pronte a tutto pur di sfondare. Per la sua abitudine a vestirsi di nero e a portare un fiore tra i capelli corvini (oltre che per il successo di un film di allora “The blue dahlia” con Veronica Lake e Alan Ladd) la Short era soprannominata “The black Dahlia”, nomignolo che in vita detestava e che dopo la morte l’avrebbe perseguitata per sempre.
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Il caso della Dalia nera divenne leggenda. Le indagini a tappeto non hanno mai portato a qualche colpevole. Solo molti sospetti e un gran polverone perché, per la prima volta, il dorato mondo di Hollywood veniva intaccato da raccapriccianti macchie di sangue.
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Lo scrittore James Ellroy dice di essere sempre stato ossessionato dalla tragica vicenda di Elisabeth Short. Solo qualche mese prima della sua morte la madre di Ellroy venne strangolata e il colpevole non fu mai trovato. Ellroy aveva solo 11 anni. E forse proprio la sua incapacità di elaborare il lutto materno si è a poco a poco trasfigurato nella sua ossessione per la Dalia nera tanto da doverlo esorcizzare scrivendoci sopra un romanzo, “Black Dahlia”. Lo sceneggiatore Josh Friedman ha adattato le pagine di questo libro in una sceneggiatura per il cinema e De Palma, da sempre ammaliato dal noir e dal torbido, si è assume la responsabilità della trasposizione dal letterario al filmico della tragica storia.
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Partendo da un fatto di cronaca realmente accaduto, quindi, De Palma costruisce una fitta trama tutta agita in loschi traffici, gangster irreprensibili, eroici poliziotti, femme fatale, delitti inquietanti. Il tutto secondo la tradizione classica del noir da Chandler fino ad Hammett. Mescolando realtà e finzione dunque il regista riesce, comunque, a restare fedele ai temi ricorrenti dei suoi eventi e dei suoi esistenti: l’ossessione ed il dualismo.
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Ossessione: ovviamente, per il denaro, per il successo, per l’amore, per il corpo. E, in pratica l’elemento alchemico scatenante di tutti i sentimenti della storia. L’ossessione per il corpo di Elisabeth porta al suo ferino smembramento. L’ossessione per il denaro porta alla corruzione della società losangelina del tempo (e in parte anche a quella di uno dei due detective). L’ossessione per l’amore porta una moglie tradita a distruggere quella che pensa sia la nemica del proprio matrimonio. L’ossessione per il successo porta la giovane Betty (e come lei tante altre) a lasciare tutto, anche se stessa, per il cinema.
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E il dualismo: i due protagonisti, Blanchard e Bleichert (doppia B), sono le due parti di uno stesso eroe. Insieme sono il detective/uomo perfetto. Non a caso sono chiamati Ice e Fire, fuoco e ghiaccio, diametralmente opposti ma complementari.
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Blanchard è la parte maschile della “coppia”, forte, rabbioso, estroverso; Bleichert è la parte femminile, dolce, remissivo, taciturno. La femme fatale Madeleine confessa di aver fatto l’amore con Elisabeth perché aveva sentito tanto parlare di una ragazza che le assomigliava e voleva capire cosa si provava ad andare a letto con un’altra se stessa. Il doppio binario delle indagini: il corpo di Elisabeth viene ritrovato mentre i due detective indagano su un gangster, il grande crimine dietro il piccolo. Per non parlare della doppiezza di tutti i personaggi. A parte Bleichert, tutti hanno scheletri nell’armadio e nessuno è come appare.
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A parte qualche solito virtuosismo con la macchina da presa Brian De Palma gira con un’eleganza ed una misura che ben si addicono prima al genere e poi alla ricostruzione d’epoca (come la solito bravissimo il nostro Dante Ferretti alle scenografie). Di certo il dover dirigere un cast di star tutte completamente fuori ruolo non ha giovato né al regista né tantomeno al lungometraggio stesso. La Swank ed Hartnett se la cavano con molto mestiere, Eckhart e soprattutto la Johansson franano nella smorfiosità, ed alla fine la migliore sulla scena è un’intensa e dolorosa Mia Kirshner.
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Curiosità Cinefile: per motivi di budget Los Angeles è stata ricostruita (con le sontuose scenografie del nostro Dante Ferretti) a Sofia, in Bulgaria, De Palma appare in un cameo nella scena del provino di Elisabeth; questo film doveva essere girato nel 1997 da David Fincher che dopo aver collaborato ad una prima stesura della sceneggiatura con Friedman abbandonò il progetto.
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Orizzonti DOC
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Regia: David Leaf, John Scheinfeld
Sceneggiatura: David Leaf, John Scheinfeld
Cast: John Lennon, Yoko Ono, Walter Cronkite, Mario Cuomo, Angela Davis, G. Gordon Liddy, George McGovern, Richard Nixon, Geraldo Rivera
Fotografia: James Mathers
Montaggio: Peter S. Lynch
Origine: Usa, 2006
Durata: 99’
Sito: http://www.theusversusjohnlennon.com/site
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John Lennon e Yoko Ono. Sappiamo tutti chi sono? Ma fine a che punto? Cosa sappiamo, in realtà, ed effettivamente di loro? John Lennon era uno dei Beatles e Yoko Ono sua moglie. E poi? Ecco per chi volesse saperne di più c’è un documentario, “The U.S. Vs. John Lennon”, presentato nella sezione Orizzonti Doc della 63° festival del cinema di Venezia, che potrà colmare ogni lacuna al riguardo.
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Questo documentario copre il decennio che va dal 1966 al 1976, un decennio fondamentale nell’evoluzione artistica e spirituale di John Lennon, ma anche un decennio infuocato per la storia americana. Lennon da grande artista, autore di canzonette (che in realtà tanto canzonette non sono ma direi intramontabili melodie del cuore) diventaattivista convinto contro la guerra e predicatore di pace. Siamo nel periodo della Guerra in Vietnam, una delle più inutili e insensate (se mai una guerra abbia senso) della storia. Una guerra che ha fatto insorgere in tutto il mondo il primo vero dissenso popolare verso un governo, quello americano, e verso un sistema, quello pseudodemocratico occidentale. E’ di sicuro un momento incandescente per gli Stati Uniti dominati dal governo Nixon e incapaci di contenere il profondo e diffuso anelito alla pace di tutta una generazione pronta a scendere in piazza per manifestare contro la guerra.
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Ed è possibile che un amico della gente, un predicatore di pace come Lennon venisse messo alla porta dal governo americano perché considerato pericoloso? Sì, è possibile. E “The U.S. Vs. John Lennon” fa luce proprio su questo. Forse non tutti sanno che a Lennon venne revocato il visto per restare negli Stati Uniti. E forse non tutti sanno che Nixon e la sua amministrazione hanno intrapreso una vera guerra segreta contro di lui, abusando del loro potere e cercando in tutti i modi di boicottarne immagine e pensieri.
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Un documentario che, oltre ad illustrare chi era davvero John Lennon, (grazie anche a Yoko Ono che ha permesso ai due registi di accedere per la prima volta a materiali audiovisivi inediti degli archivi Lennon-Ono) ci mostra come eravamo (e purtroppo come ancora siamo).
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Interessantissime le testimonianze di attivisti politici come Angela Davis e Bobby Seale, di giornalisti come Carl Bernstein e Walter Cronkite, di funzionari dell’amministrazione Nixon come G. Gordon Liddy e John Dean, di Gore Vidal, di George McGovern e tanti altri.
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Non posso non domandarmi, però, perché film come "In un altro paese" di Marco Turco non vadano, di diritto, a rassegne come Venezia 63 …
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Macchianera chi?
@clos Allora.
Sulla Johansson e sulla Swank vedo che siamo d’accordo.
Non così sul documentario che a me è invece piaciuto proprio per il rigido ancorarsi alla documentazione oggettiva. Tipo le pressioni censorie di Nixon.
I documentari biografici certo non sono sempre un genere avvincente … ma possono colmare lacune nella più intima conoscenza di un artista e delle intrinsiche motivazioni della sua opera.
Insomma a me è piaciuto.
Un caro saluto.
Rob.
la johansson è una delusione, è vero, ma con una hilary swank così sarebbe stata dura per tutti. anche a me i documentari piacciono tantissimi, ma the us vs lennon è un biografilm dalla struttura banalissima (intervista-archivio-intervista-archivio) che non è mai riuscito a sorprendermi.
@kroger … anche io adoro questo brano.
Ma sei di Napoli?
Rob.
adoro questo brano… e adoro tutti e tre i dischi di cui parla Aldebaran… complimenti per la scelta!
kroger
@mpinaCiancio Mapi, non sono le ultime uscite … sono i film della rassegna di Venezia in anteprima proiettati a Roma.
E poi viaggiare a piedi è assai più sicuro, credimi.
;-)
Un caro saluto.
Rob.
Grazie Roberto, anche se sulle nuove uscite sono sempre un pò in arretrato… (tu sai che viaggio a piedi!) Un abbraccio Mapi ;)
@Alderaban domani me li compro tutti. Comunque avevo già svolto ricerche in intrenet ed ho pescato il sito ufficile di Noà fatto veramente bene.
Per me Noa è un angelo lo ribadisco.
Ranieri ridà lustro alla canzone napoletana dopo gli scempi fatti da Renzo Arbore. Bravo.
Santoro? Necessario, lo confermo.
Un saluto.
Rob.
Bè l’arcano della voce femminile l’hanno già svelato… ti do gli estremi del disco: “Accussì grande”, Sony, 2005..
è l’ultimo tassello di un trittico di rivisitazione della tradizione napoletana fatta da Ranieri con la supervisione di Mauro Pagani.
“Accussì grande” è un disco splendido ma anche su “Oggi o dimane”, 2001; e “Nun è acqua”, 2003; sempre per la Sony ci sono più d’una grande interpretazione.
Riguardo Santoro, ottimo il rientro..con qualche sbavatura (ogni tanto il ragazzo ci marcia, cfr. babysnakes.splinder.com ) però ce ne fossero di altri programmi così..
@didolasplendida … e ricimmo che l’aggio visti io pe te.
Quanto ai raduni nella città d’o sole e d’o mare … invitatemi, parteciperò con molto piacere.
Grazie assai per il pensiero.
;)
@Flounder Noa è un angelo secondo me …
Le tue visite sono rare e preziose.
;)
Satemi bbuono.
Rob.
questa versione di massimo ranieri e noa è splendidissima.
questi non li ho visti, il primo per scelta il secondo perchè era stato già proiettato.
grazie Rob.Bellissima la canzone. Devi partecipare a uno dei nostri meeting (bloggers napoletani) perchè qua si canta in diretta e anche in arabo e anche mareverde e indifferentemente, e anche qua piove ovviamente à zeffunno :-)
…na lacrema lucente….
@FulviaLeopardi grazie Fulviè anche a te buon WE.
Rob.
buon weekend cinematografo
@clos a ma ha deluso la Johansson che, in genere, adoro. E i documentari mi paicciono assai, c’aggia fa?
@Alderaban le trasposizioni dal letterario al filmico devono seguire delle regole, il cinema è pieno d’ibridazioni tra cinema e romanzo ben riuscite, ma comunque non è quello il problema del film, almeno secondo me.
;)
Un saluto.
Rob.
Un saluto autunnale. :)
Trasporre al meglio un romanzo di successo è quasi sempre missione impossibile e questa tua recensione dell’ultimo sembra confermarlo…
hilary swank se la cava con mestiere? hilary swank surclassa l’intero cast con una presenza scenica totale.
il documentario di lennon, a parte che dal punto di vista politico è la solita pappardella retorico-pacifista-corretta-smagosa (comunque, sia chiaro, de gustibus..), dal punto di vista tecnico/artistico è un solito biografilm dimenticabilissimo.