Italia
analisi di eventi ed esistenti e linguaggio audiovisivo
Non confondere mai l’insolito con l’impossibile
Il mondo non è vostro avvocato, vi viene dato in prestito, io mi limito a restituirvi il mondo quando, per caso, per qualche tempo, lo perdete.“
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1. Introduzione all’analisi (post molto spoiler)
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Ieri sera alla fine del film mi sono chiesto una cosa che mi ha probabilmente arrovellato durante tutta la proiezione.
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Che cos’è che non funziona in questo film?
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Ho riflettuto a lungo, ci ho dormito su, e forse posso tentare di condividere alcune riflessioni intorno a questo tema, che in verità poi mi dispiace pure un poco, perché io avrei voluto assistere al capolavoro del regista napoletano.
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Secondo me il problema non è nelle riprese, per le quali valgono le considerazioni di sempre. Paolo è un maniaco di questo aspetto formale del cinema. Sa come restituire all’immagine tutto il suo sacrale, arcano ed ancestrale potere evocativo, ma se le immagini accompagnano una drammaturgia degli esistenti che presenta qualche carenza, qualcosa nel film poi non funziona.
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Dunque il problema è duplice secondo me.
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E’ nello screenplay ed è forse conseguentemente, ma forse anche no, nella resa attoriale di alcuni esistenti.
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2. Le carenze nella struttura narrativa
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Il bravo regista Paolo Sorrentino ci ha abituati ad una struttura narrativa che si basa essenzialmente su due pilastri:
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una lentissima progressione degli eventi;
un finale che in qualche modo ribalta, capovolge la situazione di equilibrio tra gli esistenti.
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Insomma molto importante, in questa struttura, è riuscire a stupire lo spettatore con un finale imprevedibile, ma che riesca, però, ad essere convincente nel riannodare tutti i fili dei personaggi minori.
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Direi quasi che la drammaturgia di Sorrentino si rifà un po’ ontologicamente a quella del cortometraggio dove tutto l’effetto catartico del film è agito nel finale.
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Diciamo che il regista dilata la struttura del cortometraggio, e la adatta a quello del lungometraggio, scavando nella psicologia, spesso deviata dei suoi esistenti, per raccontarci mondi fuori dall’usuale, o forse usuali ma raccontati in modi che ci fanno vedere le cose da un punto di vista diverso.
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E’ stato così per il mondo del calcio ne “L’uomo in più“, è stato così per quello della camorra e della droga ne “Le conseguenze dell’amore“.
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Cosa manca allora a questo amico di famiglia?
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2.1. La carente caratterizzazione della dinamica protagonismo antagonismo
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Secondo me, innanzitutto, una carente contrapposizione protagonismo antagonismo.
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Per poter agire il colpo di scena finale, Sorrentino, non svela all’ignaro spettatore le trame che si stanno ordendo contro Geremia (nome certamente non scelto a caso), il sarto usuraio protagonista del film.
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E’ una scelta, intendiamoci, ben precisa che il regista in qualche modo adottò pure ne “Le conseguenze dell’amore” ma che, nel caso di specie, genera secondo me due conseguenze.
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2.1.1. La prima
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In verità una briciola di anticipazione il regista la cede allo spettatore smaliziato anzi due.
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La prima è quando Gino chiede pietà per l’anziana signora settantenne, la seconda è quando cerca di capire se tra lui e Geremia vi sia dell’amicizia, che l’usuraio in qualche modo rinnega. Troppo poco, e troppo poco convincente l’ansia di fuga agita dal sonnacchioso Pino, personaggio però dai molteplici volti che poteva, ed aggiungerei doveva, essere reso meglio da Bentivoglio.
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Ritornando alla prima conseguenza della carente costruzione protagonismo antagonismo è proprio nella definizione del personaggio di Pino.
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Questo esistente fondamentale nello sviluppo della trama rimane troppo sospeso tra:
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il ruolo di aiutante spregiudicato di Geremia,
le gite con lui per andare a pesca,
la passione per il Country ed il Tennessee (cercato solo perché lontano … insomma un po’ debole come motivazione per un tradimento), messe un po’ lì più per esigenze di ambientazione filmica che per altro,
e l’architettura del piano di tradimento di Geremia, che è dal punto di vista della motivazione all’azione dell’esistente, probabilmente, la cosa teoricamente costruita meglio.
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Insomma forse troppa carne al fuoco per un solo esistente e troppo diversa, e soprattutto difficilissima da rendere attorialmente, peraltro, a mio modo di vedere.
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Conseguentemente anche la recitazione di Fabirzio Bentivoglio l’ho trovata alquanto fuori fase.
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Mi è sembrato più che altro ispirarsi, e male, all’esistente protagonista di Americano Rosso di D’Alatri, con quel suo biascicare le parole in Veneto, costretto all’azione più dagli altri che da se, personaggio però costruito drammaturgicamente assai meglio nella pellicola di D’Alatri.
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2.1.2. La seconda
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La seconda conseguenza della mancanza totale di una dinamica protagonismo antagonismo, costruita meglio sicuramente ne “Le conseguenze dell’amore“, pellicola nella quale anzi tale dinamica costituiva uno dei presupposti dell’azione di ribellione agita nel finale del film da Titta Di Girolamo, è che la stessa viene supplita da altre dinamiche di minore impatto.
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Ne “L’amico di famiglia“, infatti, questa mancata dinamica aggrava, esasperandola (ed è forse questo che ha spinto il regista al taglio del montaggio), la lentezza della progressione della trama, che viene interrotta e contrappuntata da dinamiche di diverso contenuto drammaturgico, con altri esistenti minori, come:
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– il presunto nobile Montanaro
– la famiglia di Rosalba
– gli attori che agiranno il colpo del tradimento
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tutte però (apparentemente) più vittime che rivali.
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Ecco che allora lo squallore cercato, voluto, formalmente perfetto di Geremia, su cui troppo il regista basa la trama, non trova, in nessun esistente, quello sviluppo del conflitto necessario ad innescare un adeguato rapporto tra suspance e sorpresa, che aveva, invece, caratterizzato le altre pellicole del regista e, soprattutto, “Le conseguenze dell’amore“.
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2.2. la mancanza di un obiettivo nel personaggio di Geremia
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In effetti un’altra carenza dell’impianto narrativo è la totale mancanza di un obiettivo specifico nell’esistente protagonista Geremia.
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Ok sappiamo che è un usuraio, che forse si è innamorato di Rosalba, che esiste un rapporto tipo la bella e la bestia tra i due, in qualche modo invertito (pare dopo i tagli del montaggio finale). Lo vediamo vagare, con la sua inseparabile busta di plastica, in cerca ora di una donna polacca da amare, ora di un cliente da secutare, ora di un regolamento di conti da realizzare, ora della madre costretta al letto da pulire e da accudire, ma qual’è il suo vero obiettivo nello screenplay?
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Solo lasciarsi travolgere dalla passione per Rosalba e dall’inganno di Pino? O forse la conquista delgli interessi di quel milione di €uro offertigli dal finto imprenditore Tesauro, complice di Pino?
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Il vero protagonista è in effetti, allora, Pino – Fabrizio Bentivoglio vero e proprio deus ex machina nascosto della trama, che per tutto il film, facendosi aiutare da Rosalba – Laura Chiatti, elabora il suo piano di rivalsa. Ed allora possiamo argomentare che anche in questa inversione di ruoli forse qualcosa poteva essere corretto/definito meglio in sede di screenplay.
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Caratterizzare meglio in Geremia un obiettivo, così come il regista fece per Titta Di Girolamo ne “Le conseguenze dell’amore”, avrebbe giovato alla resa, non solo del film, ma anche probabilmente di un personaggio già cosi fortemente efficace.
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2.3. Il taglio al montaggio finale
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Va aggiunto anche il taglio apportato con il montaggio finale, rispetto alla pellicola presentata a Cannes (si parla di 20 minuti in meno), ha reso monca la pellicola, probabilmente, di alcuni raccordi che avrebbero reso più chiaramente alcuni punti di snodo della trama che, invece, vengono un po’ a rimanere, in parte, incompleti ed approssimati.
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Come il rapporto tra Geremia e suo padre ad esempio, o la carente catarsi del finale, nella quale il regista continua a concentrarsi, quasi come un ossessione, solo sull’esistente Geremia.
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2.4. Il ruolo di Rosalba
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Poco convincente, inoltre, è il ruolo di Rosalba che agisce l’esistente forse più ambiguo dell’impianto narrativo, quello di una ragazza che da vittima di Geremia si trasforma in suo carnefice, dinamica sicuramente giustificabile dal punto di vista drammaturgico, ma in parte, probabilmente, scontata e, sicuramente, a mio giudizio, costruita forse con un po’ di approssimazione e, soprattutto, resa attorialmente non benissimo da Laura Chiatti (e voglio essere buono vista la bellezza dell’attrice). Insomma Sorrentino ci è parso indulgere troppo sull’elemento passionale dell’attrazione fisica e troppo poco su quello psicologico dell’inganno. Lo spettatore dovrebbe, secondo me, essere maggiormente messo in condizione di apprezzare meglio il risvolto sorprendente del secondo, e non solo rimanere affascinato e sedotto dal primo.
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3. Pregi del film
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Con questo non voglio dire che il film non mi sia piaciuto.
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Sono molte le cose di pregio della pellicola.
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3.1. La scelta delle location
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La scelta delle location per esempio.
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Questa misconosciuta e fascista architettura di Latina, con le sue vie di fuga, i suoi campi lunghi. Ma anche con la sua povertà nei materiali, che sembra richiamare la povertà morale ed etica degli esistenti, nei quali Sorrentino, probabilmente, metaforizza il degrado complessivo di valori di un epoca. Ma forse anche questo sa un po’ di de ja veu.
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Questa spiaggia di Sabaudia che fornisce uno dei contraltari filmici alle opprimenti sequenze dell’interno della squallida casa di Geremia, quasi l’evocazione iconografica di quel limite, quel confine, che Geremia ed il padre hanno varcato pur senza conoscerlo. (Il film si chiude proprio con Geremia sulla battigia).
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3.2. Il personaggio di Geremia
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La becchettiana costruzione psicologica di un personaggio abietto, avaro (il lucchetto al telefono è un dettaglio vintage molto evocativo al rigurardo, come le buste di plastica che usa come borse), sporco soprattutto nell’anima. La condizione in cui vive, la madre costretta a letto, questa sporcizia trabordante, allegorica, di vaga ispirazione bunuelliana. Il suo vojerismo, quasi da guardone, verso le atlete di pallavolo, che giocano, inconsapevoli, sotto casa sua. Anche se, forse, il protagonista di “La terra” di Sergio Rubini, parrebbe alla resa dei conti, costruito meglio.
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L’eccellente interpretazione di Giacomo Rizzo. La vera delizia della pellicola.
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Ecco questa è un’altra caratteristica distintiva di Sorrentino.
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Quella di talent scout rivalutatore di attori di matrice partenopea che sanno andare a fondo nell’immedesimazione del personaggio. Quasi la testimonianza dell’esistenza di una sorta di Actor Studio made in Napols, che riesce a sfornare interpreti di assoluta eccellenza, in un Italia cinematografica fatta da attori che costringono i personaggi ad adattarsi alle loro maschere. Dopo il fenomenale Tony Servillo dei primi due film, Sorrentino sdogana un attore teatrale e poliedrico come Rizzo per lunghi anni asservito ad un cinema di genere, tutto imploso tra il poliziottesco made in Napoli, e la sceneggiata di Mario Merola. Capace anche però di entrare in cast di film impegnati come “Novecento” di Bernardo Bertolucci ed di tante altre pellicole, tutte molto diverse tra loro. Si forse utilizzato come maschera, ma è anche in questo il genio di un regista come Sorrentino che ha saputo riscorgere in lui l’attore pasoliniano negli esordi del “Decameron“, o anche quello di sceneggiati televisivi RAI anni ’70 dello spessore de “Il cappello del prete” di Sandro Bolchi. Una scheda completa della filmografia dell’attore è qui.
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3.3. La colonna sonora ed i climax
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Il trentaseienne regista napoletano sa calibrare, grazie al sapiente utilizzo della musica, improvvisi climax filmici, anche prescindendo dallo svolgersi della trama.
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Sa creare cioè improvvisi cambi di ambientazione, una sorta di crescendo di tensione, ma, va anche aggiunto però, che alle volte questa inoppugnabile competenza non è adeguatamente supportata dalla drammaturgia della sceneggiatura, e rischia, pertanto, di venire percepita, e non solo dal cinefilo più esigente, quale una sorta di esercizio di stile, bello a vedersi certo, ma privo di quella intensità che, alla fine, un film drammatico deve trasmettere.
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4. Conclusioni
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Insomma sarei tentato di sospendere il giudizio sul regista, per un film dal quale, forse a torto, e forse a ragione, ci attendevamo sicuramente di più.
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Il mio consiglio è quello di avvalersi di un bravo sceneggiatore, e di affidarsi in parte a lui per la stesura finale dello screenplay, pur trasferendogli le illuminanti sue idee, sicuramente tutte raffinate ed innovative.
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Chiarisco, viste le mie perplessità sull’impianto narrativo, che comunque a me il film è piaciuto anche così, anche se meno, lo devo ammettere, de “Le conseguenze dell’amore“, e che ne consiglio comunque la visione.
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Ho amato molto le capacità recitative di Giacomo Rizzo che valgono, oltre ogni misura, il prezzo del biglietto.
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Ed in ogni caso un regista così di talento come Paolo Sorrentino, mi si lasci dire, in Italia non ce lo meritiamo proprio. Godetevi adesso, ammesso che siate arrivati fino qui, il trailer del film e buona visione.
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@kulturadimazza Il dubbio è sempre un sintomo dell’intelligenza delle persone. Ritengo sia un bene coltivare la loro frequentazione. Anche io spesso ne ho nutro, e soprattutto su quello che scrivo.
Su questa recensione, poi, ho provato molti sensi di colpa per averla scritta, ad esempio. Osare criticare un regista che amo molto come Sorrentino, mi era smbrato ingiurioso arrivo a dire.
Ma tanto è.
Il film non mi ha convinto.
Diceva Andrè Bazin che un critico conosce assai meglio dell’autore il suo cinema (perché ne fa oggetto di studio) ed al tempo stesso anche assai meno (perché non ne conosce le reali motivazioni che lo hanno generato).
Premesso che io non mi considero un critico, ma un amante del cinema, sono però d’accrodo con lui.
Grazie, dunque, dei tuoi dubbi e a presto. Questo post, summa degli altri, m’intriga.
Un saluto.
Rob.
ho letto con molta attenzione la tua recensione. sia chiaro che provo molto rispetto per il tuo lavoro, la tua penna, la tua testa. non sò nemmeno se mai leggerai questo. in fondo ci trovo al suo interno qualcosa di strano, irrisolto, (posso?) malato. Malato come il film forse. E ciò e bene, ottimo per un critico, cosa che tu sei, in toto come pochi blogger sulla rete. ad esser sincero non mi sono ancora imbattutto in altri come te.
Lavoro ad un articolo sul film che sia summa di post scritti da blogger. Avrò ancora modo di rileggere il tuo (magari appena finisco di scrivere). Sono vago nel giudizio, ma è a pelle un pò come il tuo sul film. a risultato ottenuto (ovvero articolo concluso) ti farò sapere. per adesso, mi tengo i miei dubbi…
Orson
@didolasplendida L’avevo capito eh ;)
Un saluto.
Rob.
l’ho visto l’altra sera nell’isola pedonale di via scarlatti in veste di papà, alto, fiero, bello con la creatura mano a mano, avrei voluto dirgli grazie, poi la timidezza, la voglia di non disturbarlo.. (parlo di Paolo Sorrentino eh!)
ciao robbè
@marco83p In effetti quella degli attrori è una questione seria in Italia.
Manca una scuola, manca professionalità, si va avanti un po’ con un grado di approssimazione.
Lodiamo Garrone e tutti i registi che riescoo a fare recitare bene gli attori inipendentemente dal fatto che siano professionisti o no.
Anche se un po’ di professionismo ogni tuanto non guasterebbe.
Grazie per le belle cose che mi dici e per il link.
Un saluto.
Rob.
puntuale recensione:
piacere di avere incrociato questo
sito.
condivido il90% di quanto scrivi
sul terzo sorrentino
e
mi sono sentito davvero liberato
quando hai attaccato
la “recitazione all’italiana”
degli ultimi anni:
non se ne può davvero più.
(in questo senso, oltre a Sorrentino, bisognerebbe dare una nota di
merito al già citato Garrone, per
quello che riesce ad ottenere da
attori non professionisti).
ti linko! così poi
ti rileggo. saluti Marco
PS: (cronaca) Garrone sta girando
Gomorra.
@catpoet Comunque Sorrentino resta un grande. Ed ogni tanto gli errori servono.
Un saluto.
Rob.
non avrei saputo farne un’analisi così accurata e precisa, ma concordo con la maggioranza dei post. Pur preferendo “le conseguenze dell’amore”, mi sono divertito comunque con questo film, uscendo dal cinema con vaghe perplessità, che ancora mi restano.
catpoet
@didolasplendida già la scolla in testa con le patate tagliate dentro è un dettaglio vintage davvero fantastico … che recupara una dimensione della tradizione partenopea come soluzione drammaturgica, ed è questa un’altra cifra distintiva di Sorrentino che fai davvero bene a sottolineare.
Una rivalutazione di Napoli e della napoletanità a 360 gradi, anche se celata anche in un esistente così negativo come l’usuraio Geremia … e Dio sa se ce n’è bisogno, .
Un saluto Didì.
Rob.
a me è piaciuto moltissimo, l’ambientazione fascista e postmoderna è favolosa, l’interpretazione di Rizzo strepitosa, ne avevo bisogno per riconciliarmi col cinema, anche se Bentivoglio mi sembrava un asino in mezzo ai suoni , sarei curiosa di vedere quei 20 minuti che mancano, e Rizzo con quella scolla in testa simile a un guerriero giapponese :-) troppo bello
@RosaTiziana ;-)
E chi smette ;)
Grazie per le belle cose che mi dici e benvenuta qui.
Rob.
Vabbè…io non sono un’appassionata di cinema. Preferisco semmai il teatro…anzi, a dirla tutta, preferisco i libri! Però tu sei bravo…mi fai venire voglia di sedermi in poltrona a guardare lo schermo gigante. Continua così ;-)
@Flounder Brunè, ma lo sai che anche a me dopo tutto?
Però non posso fare a meno di notare certe cose perché da un talento come Paolo mi devo attendere il massimo, o no?
Na’ lacrima lucente … e ben tornata qui.
Rob.
l’ho visto stasera e mi sono stancata moltissimo.
condivido tutta la tua critica, in pieno.
per certi versi mi ha ricordato molto l’Imbalsamatore, anche nell’interpretazione di Rizzo.
però che t’aggia di’, m’ piaciuto.