Il tempo sta per scadere
Piano 17
Titolo originale: Piano 17
Nazione: Italia
Anno: 2005
Genere: Thriller
Regia: Marco Manetti, Antonio Manetti
Cast: Giampaolo Morelli, Elisabetta Rocchetti, Enrico Silvestrin, Antonio Iuorio, Massimo Ghini, Giuseppe Soleri, Valerio Mastandrea
Produzione: Gamp Produzioni
Distribuzione: Moviemax
E’ proprio vero.
I Manetti Bros sono degli autori raffinati di un genere che in Italia sta conoscendo una nuova stagione.
Io non sono un grande estimatore del thriller made in Italy, in genere preferisco altre nazioni.
Però va riconosciuto che lo stile dei Manetti Bros recupera un linguaggio, e non solo cinematografico, che rende il prodotto squisitamente italiano.
So che arrivo con molto ritardo a parlare di questo film e quindi non mi dilungherò con le mie solite analisi di eventi ed esistenti.
Mi limiterò a dire che uno degli elementi di raffinatezza dello screenplay è riuscire, con inserti in flashback, a dilatare un tempo infinitamente ristretto per poter esplicare e raccontare una storia.
Un pressing agito in tempo reale
Il primo dei due elementi che considero notevoli è quello di utilizzare un tempo credo reale nello svolgersi della trama e nelle riprese.
C’è questo accorgimento (il fatto che lo spettatore prima e gli esistenti dopo, siano messi a conoscenza che una bomba sta per esplodere dentro un ascensore fermo al piano 17 di un palazzo di uffici), che imprime un pressing alla storia di non facile soluzione narrativa, e che, invece, i Manetti Bros risolvono, oserei dire, in maniera perfetta.
Il racconto è netto, pulito, senza fronzoli, e soprattutto chiaro.
Un sapiente incastro delle anacronie diegetiche
Il secondo elemento di pregio, come ho già detto, agito nella struttura narrativa, è il sapiente utilizzo delle anacronie diegetiche in flashback, che riescono perfettamente a svolgere la loro funzione completiva, restituendo tutto lo spessore drammaturgico degli esistenti, delle loro vite, dei loro veri obiettivi, delle loro storie all’interno della storia.
Tutto realizzato, anche qui, con una godevolissima maestria e padronanza della tecnica narrativa.
Le riprese in digitale
Infine le riprese.
Ho trovato particolarmente di pregio anche l’utilizzo del digitale. L’esperienza di vidoeclipper dei Manetti aggiunge valore e competenza alle scelte formali secondo me.
Come nel gusto di certi zoom di dettaglio. Di certi campi, di certe scelte nelle inquadrature. Di un sapiente utilizzo della fotografia che crea un suggestivo ambiente visivo noir di sottofondo.
Ecco mi sto convincendo, inoltre, che alcune regole formali del 35mm possano e forse debbano essere ribaltate nel digitale.
Credo che restituire l’impression allo spettatore dell’utilizzo, ad esempio, di uno zoom digitale e non ottico, sia un elemento che arricchisca il racconto formale, perché ne diventa come uno degli elementi fondanti, distintivi ed al tempo stesso surmoderni.
Insomma io ho adorato questo film, ed anche le eccellenti capacità recitative di tutti gli attori.
Le solite domande su cinema italiano e sua distribuzione
La domanda finale è sempre la stessa.
Perché così poco nelle sale?
Perché il cinema italiano non ha il coraggio di puntare su se stesso?
Perché non sostenere autori così innovativi, originali, competenti, raffinati e talentuosi come i Manetti Bros?
Io comincio ad essere veramente stufo di dovere recuperare chicche del genere solo in formato DVD, perché il nostro sistema, soprattutto distributivo, non ha le palle per sostenerlo nelle sale.
Ah quasi me ne dimenticavo.
Francesco Nutiè uscito dal coma. Dopo le morti di Robert Altman e Philippe Noiret mi sembra una buona notizia non vi pare? In bocca al lupo Francesco, riprenditi e, appena puoi, guardati anche tu Piano 17.
[…] l’uscita dell’ultimo film dei Manetti Bros “L’arrivo di Wang“, sci-fi incentrato su un alieno preso in custodia dalla […]
@gparker proverò a rispondere a tutte le tue domande ed a tutte le questioni che poni.
Allora esiste un altro cinema che non sia arte?
Risposta banale e scontata.
Direi di si ed è la quasi totalità del cinema prodotto per le sale.
Il cinema di oggi a differenza dell’arte è una merce è un prodotto pensato dal marketing di multinazionali e viene prevalentemente realizzato per tirarne fuori un profitto.
Si va dal produttore e questo di norma si convince a produrre un film se intravede un profitto non se intravede dell’arte.
O peggio è il produttore a contattare il regista con un progetto già validato solo per offrirgli la possibilità di girare un film. E’ il caso di The departed di Martin Scorsese.
E quindi esiste una buona parte di sistema cinema nel quale includo gli sceneggiatori, i registi, i fotografi, gli addetti agli effetti speciali che non solo non tendono all’arte ma non si pongono minimamente alcun problema artistico.
Se dovessimo poi disquisire dell’arte della visione da Platone ai giorni d’oggi mi troverei in fortissimo imbarazzo nel l’essere costretto ad ammettere che, salvo rarissime eccezioni, dovrei dire che la stesa è andata degradando nei secoli.
Se considerassimo, ad esempio, la complessità iconografica di certi pittori come che so Leonardo da Vinci, Piero della Francesca, o come l’innovazione apportata dalle le luci tangenti del Caravaggio tanto per citare i primi che mi vengono in mente, cosa dovremmo dire al riguardo?.
Ora è evidente che gradi così elevati di competenza nell’utilizzo dell’immagine evocativa si sono come dire dispersi.
Sono conoscenze sgretolatesi nel tempo come lacrime nella pioggia, tanto per citare Ridley Scott, o come il modo di costruire la Piramide di Cheope.
Aggiungo che analoga tendenza è ravvisabile, peraltro, anche con esclusivo riferimento all’universo cinema complessivamente considerato, se prendessimo in esame i problemi che si sono posti alcuni grandi maestri che hanno fatto scuola tipo Orson Welles, Alfred Hitchcock, o chessò io Stanley Kubrick o Sergei Mikhailovich Eisenstein.
Dunque la vera domanda è:
è inevitabile o è evitabile questo sfacelo?
Ma non porsi, consentimelo il falso e retorico problema di cercare l’arte in un universo che sempre meno viene stimolato da tale intenzione e non mi sto riferendo al cinema ma al modo in cui è organizzata la nostra società nella quale l’immagine è si importante, ma a patto di svuotarla della sua componente di sostanza.
Io non ho risposte precise credo che però siamo tutti un po’ vittime e un po’ carnefici di questo stato delle cose.
Lo siamo come consumatori perché ci siamo accontentati, forse per troppo tempo, di soglie troppo basse di cultura che sono figlie della cultura di massa bombartaci per troppi lustri dalla televisione che spaccia per cultura Bruno Vespa o Dan Brown o Gigi Marzullo.
Altra parte delle responsabilità andrebbero ascritte a chi dovrebbe ricoprire un ruolo d’incubatore e di generatore di cultura e mi riferisco alle scuole, alle università, alla ricerca e non solo al cinema.
E che invece è il primo a costernarsi mentre dovrebbe agire.
Ma siamo l’Italia dei tagli alla spesa pubblica su certi temi, per favorire modelli ibridi che indeboliscono l’offerta pubblica in favore di quella privata ma qui il discorso diventerebbe veramente troppo lungo.
Da chi i giovani dovrebbero apprendere questo estetico senso dell’immagine evocativa, dimmi?
Dalle Finction di Rai 1 come Capri e Un medico in famiglia?
O dai reality show?
O da scuole di cinema affidate a personaggi del calibro di Francesco Alberini con tutto il rispetto che gli porto come giornalista?
Il cinema dei maestri presuppone una scuola. La scuola non c’è forse c’è stata con Cinecittà ma perché s’investiva, oggi s’investe sempre di meno ed è per questo che guardo a certi registi come a dei casi assolutamente fortuiti.
Certo se uno ha avuto la fortuna di essere l’assistente di Fellini come Tornatore poi magari qualcosa ancora arriva … ma credo che il quadro complessivo sia più che desolante.
Tu parli di cinema d’intrattenimento differenziandolo dal cinema con contenuti artistici ed io ti rispondo che il cinema d’intrattenimento è quello che vuole il pubblico.
Già l’altro elemento preoccupante in Italia … il pubblico.
Che è una derivata da prima della sottocultura nella quale vive felice ed inconsapevole.
Io li leggo i blog che parlano dei reality e sono anche persone molto colte ed intelligenti.
Poi per carità magari quello del reality è un format che non ha ancora compiuto passi verso prospettive artistiche e che un giorno scopriremo essere una potenziale fonte di cultura, se non di arte, ma per ora è solo spazzatura secondo me.
Ti ripeto io mi meraviglio di registi come Sorrentino perché vengono fuori così dal nulla. Come i fiori dal letame di Via del Campo di De Andrè
Non c’entrano i ragionieri a mio modo di vedere perché non è il livello d’istruzione il problema ma la sensibilità di un paese verso la cultura.
Significa leggere di più, significa avere molto più diffusa internet e anche un diverso atteggiamento verso i musei, le teche di filmati, eccetera, eccetera, eccetera.
Ora quello che io dico è che bisognerebbe aumentare la sensibilità come dei rabdomanti verso segnali deboli di risveglio, di rinascita, di nouvelle vogue ed allora, in questa limitata prospettiva, ripeto pur condividendo parte del tuo ragionamento io non metto i Manetti nel girone più basso di questo inferno nel quale viviamo, ma li considero, nella complessità dello scenario descritto, una luce tenue.
Tutto qui.
Meglio un film dei Manetti che cento dei Vanzina nelle sale.
Però ti ripeto comprendo bene il tuo punto di vista e lo faccio anche in parte mio ma il discorso allora dovrebbe essere molto ma molto più ampio e non sviscerabile in uno spazio commenti di un post, del quale, ammettiamolo, abbiamo abusato più del dovuto.
Un saluto.
Rob.
Io credo che come per tutte le cose statisticamente la percentuale di persone che hanno coscienza di quello che fanno e che sono capaci è molto bassa. Alcune cose belle uscite dal centro sperimentale le ho viste e mi hanno davvero ispirato, erano fresche e intelligenti ma erano poche. E forse è giusto così.
Forse hai ragione quando dici che cerco il cinema dei maestri e basta, ma sinceramente, davvero ne esiste un altro?
banalizzazioni a parte, davvero devo dare il beneplacito ad un cinema che non sia arte? e perchè?
E quando dico arte parlo dell’1% della produzione. Il resto è piacevole a tratti divertente, ma l’arte non è ciò a cui tutti dovrebbero tendere? E se non lo raggiungono non possiamo dire che abbiano fallito?
Certo anch’io so e penso che molti film lontani anni luce dall’essere arte sono carini e divertenti e fanno dell’ottimo intrattenimento di qualità. Mi viene in mente The Prestige, visto alla festa del cinema, non so se l’hai visto comunque è quello che ti immagini un buon film all’americana che non svacca nell’americanata, che ti intrattiene, ti emoziona e ti prende. Ma di certo nulla di magistrale.
Ecco almeno quello ha coscienza di sè. Quello non pretende d’essere altro e glielo riconosco, lo apprezzo.
Ciò che da spettatore non posso tollerare perchè mi sento preso in giro come un cretino è il cinema che punta a grandi cose, che si propone come grande arte e in realtà rimescola concetti banali per proporli nella maniera più semplice, accessibile e superficiale possibile, così che il ragioniere possa commuoversi e sentirsi anch’esso poeta. E’ il cinema di Ron Howard per intenderci che rifila sempre la stessa minestra riscaldata da anni ammantandola di pretese che non può nemmeno immaginare. Svilisce il concetto stesso di “opera d’arte”. Ne diffonde un’idea cattiva e fallace perchè il pubblico meno avvezzo coglie i significativi banali si sente elevato, anche se non lo è nulla si è aggiunto a ciò che non conoscevano già e identifica in quello l’arte. Perchè l’ha compresa senza il minimo sforzo e senza la minima complessità.
E questo mi sembra facciano i Manetti, per questo non concordo con quel cinema. Ci vedo la riproposizione facilitata di ciò che rendeva arte un noir, della serie: “Te lo semplicizzo, te lo banalizzo e ora ne puoi godere senza nessuno sforzo tuo ma soprattutto senza nessuno sforzo mio” e senza personalità.
Ecco io non ci posso stare.
@gparker devo darti atto che adesso è più chiaro il tuo punto di vista.
Di fatto io non credo che abbiamo idee poi troppo diverse, Manetti ed Io Robot a parte, ovvio.
Che poi alla fine di certi percorsi di studio artistico non ci sia niente nei saggi la cosa dovrebbe fare riflettere anche chi in quei corsi ha, o dovrebbe avere, un ruolo di mentore, non ti pare?
Questo l’ho già detto ad altri insegnanti.
Io conosco alcuni dei problemi di quella di Cinecittà a Roma e sono certo che molta gente si avvicina al cinema senza modestia, senza una cultura adeguata, senza preparazione ok, e soprattutto sottovalutando molto questo mezzo che è alla fine un ibirido di molte arti, ok.
Però se in quelle zucche c’è anche un solo talento … beh quello dovrebbe essere compito delle scuole individuarlo assai prima del saggio di fine corso, o mi sbaglio?
E’ così stupefacente che nei saggi non ci sia niente, è solo colpa dei discenti?
Io non sostengo, alla fine, che nei Manetti ci sia dell’arte intendiamoci, però nemmeno accetto, così alla leggera, che non ci siano idee. In questa Italia d’ignoranti, di carenze di ogni genere, loro hanno tentato di fare qualcosa di diverso quanto meno.
Di idee ce ne sono, magari copiate, anzi sicuramente, ma tutti copiano infondo.
Io dico solo che in un altro paese a certi autori, non parlo solo dei Manetti, verrebbe dato più spazio. Più possibilità di sperimentare. Come diceva François Truffaut l’importante è girare. Io condivido molto questa prospettiva.
Ma lo sai quanto cinema girato non trova i fondi per il final cut o per la distribuzione?
Io credo che il cinema che cerchi tu sia quello dei maestri.
Ma maestro, in Italia, è sempre più difficile diventarlo. E’ questo il problema.
Questo non è un fatto di gusti è che non esiste una vera scuola, perdonami.
La gente viene su così per caso.
Piglia un Sorrentino. Ce lo meritiamo un Sorrentino? Io dico di no.
Gabriele Muccino va a studiare in America. Poi gira un film lì. Poi qui in Italia cosa gli fanno girare? Gli spot della Vodafone con Totti e Ringhio Gattuso.
E tu mi attacchi i Manetti, adesso non mi dirai che negli spot di Muccino c’è un pensiero? (o forse si … zero).
E’ giusto secondo te?
Sono questi gli interrogativi a cui non so dare risposta.
Poi, per il resto, sa va san dir, è una questione di gusti.
Un saluto.
Rob.
No no non ci siamo proprio.
Sono contento che tu ti sia letto il blog prima di parlare, ti fa onore esserti documentato.
Però io non critico Piano17 per essere ambientato a Roma ma prendo questo come esempio del fatto che non ci siano scelte stilistiche che non siano scontate. Infatti neanche quella di ambientarlo a Roma può essere considerata tale in quanto scelta scontata. Ma scontata nel senso che è una necessità, dunque non una scelta da criticare ma un dato di fatto.
Riguardo Io, Robot pure quello che dici non è quello che ho scritto o che avrei voluto dire (non escludo la mia colpa nel non aver espresso bene il gparker pensiero). Faccio un miliardo di critiche a Io, Robot e dico che non vale nulla, ma ha suscitato in me quella sensazione primordiale di passione per la storia, storia che c’è ed è bella, bellissima. Talmente bella da resistere alle martoriazioni di Alex Proyas, regista che odio profondamente (trovo Dark City e Il Corvo due film inguardabili).
Su Crialese invece è come dici tu. Proprio non ho sopportato Nuovomondo mentre Respiro non mi era dispiaciuto. Ma ancora una volta per una questione di fondo non per un fatto di realizzazione. Non sono daccordo proprio con quel tipo di cinema, mi sembra sorpassatissimo, assolutamente inadeguato.
Quanto al resto: si penso di rendermi conto di cosa significhi girare a basso costo, ma non è tanto questo, credo (e l’hai detto tu, sono gusti) che nei film dei Manetti non ci sia neanche un grammo di cinema. Mi trovo molto spesso a vedere corti indipendenti (materiale di fine corso alla scuola di cinema e esperimenti semi-professionali) e per la maggior parte sono come i film dei Manetti: non c’è niente. Non c’è nessuna idea, neanche piccola, di cinema. Ma fortunatamente ogni tanto si incontra qualcuno che abbia un’idea di quello che voglia fare. Spesso non è nemmeno una questione di cultura cinematografica ma semplicemente di avere le idee chiare e saperlo fare. Riuscire a trasporre la propria visione di mondo e cinema.
A mio parere non solo i Manetti fanno un cinema che tecnicamente è al grado zero (alcune scene sono inquadrate e montate come i video amatoriali di paperissima!) ma soprattutto lo è anche dal punto di vista dell’idea di fondo.
Come ho già detto tutto quello che ho visto è la riproposizione banalizzata dei peggiori stereotipi senza che dietro ci sia nulla.
Il mio primo film eh…. Non sarebbe male, ho la testa rutilante di idee, ma ho provato a realizzarne alcune e il risultato è stato molto peggio delle peggiori sequenze dei Manetti percui ho pensato che “chi sa fare fa e chi non sa fare critica”.
@gparker Mettiamola così. A me i Manetti Bros piacciono. Girano molto bene in digitale e Dio sa se è difficile.
Scrivono o si avvalgono di sceneggiature scritte molto meglio di molte di quelle che normalmente si vedono in giro.
Io ho fatto corsi di sceneggiatura e queste affermazioni le faccio con un minimo di cognizione di causa assumendomene tutta la responsabilità.
Poi, ripeto, non sono (ancora) dei maestri del genere.
.
Ho letto più di cento libri sul cinema da quando mi è nata questa passione, e visto molti più film di quanto s’immagini dal blog, ed è da tempo che mi batto per il cinema indipendente italiano che non arriva nelle sale.
Ho letto a lungo il tuo blog prima di risponderti ancora.
Ho notato che crtichi il film perché ambientato a Roma. La città di residenza dei MB.
Una domanda al riguardo.
Hai una vaga idea di cosa significhi girare un film indipendente?
Un’altra domanda.
Hai una vaga idea di cosa significhi girare senza budget adeguati?
Io valuto anche questi aspetti nel sostenere i Manetti Bros.
Perché anche Steven Spilberg iniziò con Duel, poi però il cinema americano lo ha aiutato.
Cosa succederebbe se il cinema italiano aiutasse i Manetti con i budget adeguati al genere, e soprattutto gli desse la possibilità di girare?
Inizia a darti delle risposte.
Considero poi che in fatto di cinema abbiamo comunque gusti diversi.
Ho letto che esalti un film com Io, Robot … che per me … ehm .., è un vero oltraggio alla fantascienza, una vera e propria profanazione delle tre leggi della robotica scritte da Isac Asimov, di Philip Dick e Ridley Scott per i vaghi, quanto irriguardosi, ed approssimativi, riferimenti a Blade Runner (es. polizziotto che odia i robot, che rischia di essere esonerato, ed indagine psicologica sui robot ribelli degna delle peggiori italiche ASL).
La fantascienza ridotta ad una scazzotata cibernetica, neanche tanto spettacolare, per buona parte del film.
Secondo te dietro quel film c’è un pensiero? … No perché in tal caso io credo di essermelo perso.
E poi non risparmi da questa carenza di pensiero neanche un cineasta puro come Emanuele Crialese … che non so insomma …
A questo punto dicci quando girerai il tuo primo film perché ti assicuro che sarò lì in prima fila a cercare di afferrare il gparker pensiero. Non mi è ancora molto chiaro.
Oh comunque si scherza eh ?
Un saluto.
Rob.
capisco quello che dici, di valutarli per quello che sono. Ma sinceramente la contaminazione tra linguaggi, come anche le citazioni e il rifarsi ad un determinato genere (o forse sarebbe meglio dire ad una determinata tendenza) mi sembrano del tutto fuoriluogo se non supportati da un pensiero. A questo punto, se pensiero non ci deve essere, meglio una totale indipendenza, meglio fare qualcosa di proprio che non si rifaccia a nulla. Che magari sia anche peggiore ma originale.
Quello che voglio dire è che trovo che citare e contaminare non siano operazioni alla portata di tutti. E’ una cosa che adesso sembra l’unico modo di fare cinema ma che in realtà è un modo di dimostrare di aver vissuto, compreso, assimilato e incamerato nella propria visione di mondo e di cinema quella determinata esperienza che si cita. Molte volte pure le citazioni di Tarantino sono stupidamente fini a se stesse.
Vedere allora fare questo dai Manetti Bros senza nessun beackground senza nessuna coscienza di quello che si sta facendo mi sembra il massimo del ruffiano, seguire una moda e riproporre cose di successo.
@gparker Secondo me hai in parte ragione ma, forse, ti sfugge una cosa.
Che in realtà il tentativo dei Manetti Bros sia quello di utilizzare più linguaggi.
In parte si rifanno al cinema di genere, certo, ma in parte, secondo me, citano, credo, un modo di narrare ontologicamente più riconducibile al fumettistico.
Nell’Ispettore Cogliandro si sentono addirittura i suoni tipo Swooshh o cose simili.
Io li trovo raffinati nel loro gusto vintage, nel loro utilizzare appunto dialoghi completamente sopra le righe, nel loro muoversi, divertendosi, negli stilemi thriller noir, dando vita ad un prodotto, lo ripeto, squisitamente italiano.
Poi è chiaro non sono né Martin Scorsese, né Quentin Tarantino, ma credo, nemmeno intendano diventarlo.
Un saluto.
Rob.
Vedo che anche tu stai dalla parte di chi apprezza i Manetti Bros.
Sinceramente non capisco.
Tutto quello che ho visto (Piano 17, L’Ispettore Coliandro ma anche i loro videoclip), è una rielaborazione senza riflessione e senza coscienza di causa di stereotipi americani. Non che non ci si debba basare su nulla, ma non c’è niente dietro alla riproposizione di clichè filmici, nel caso di Piano17 di clichè del genere thriller.
I dialoghi poi sono scritti malissimo, ridicoli come pochi.
Non capisco davvero cosa ci possa essere di bello…