analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
Guida per riconoscere i tuoi santi – la difficoltà di fare i conti con il passato
Titolo originale: | A guide to recognizing your saints |
Nazione: | U.S.A. |
Anno: | 2006 |
Genere: | Drammatico, Crimine |
Durata: | 98′ |
Regia: | Dito Montiel |
Sito ufficiale: | www.firstlookstudios.com/guide |
Cast: | Robert Downey Jr., Rosario Dawson, Shia LaBeouf, Chazz Palminteri, Dianne Wiest, Channing Tatum, Eric Roberts |
Produzione: | Belladonna Productions, Original Media |
Distribuzione: | Mikado |
Data di uscita: | Venezia 2006 09 Marzo 2007 (cinema) |
Se ne parla sempre a vanvera di certe cose.
Invece è vero, spesso nelle famiglie si perpetrano le violenze più esecrande magari proprie perché agite senza grandi consapevolezze.
Ad ogni modo non è di questo di cui voglio parlare in questo post, ma di un’opera cinematografica che mi ha molto colpito ieri sera al cinema "Nuovo Sacher", quello diretto artisticamente da Nanni Moretti nel quartiere Trastevere di Roma.
Chi si ricorda di un attore newyorkese di nome Robert John Downey Jr.?
No perché se Sting e sua moglie Trudie Styler hanno letto la sceneggiatura di questo film e poi deciso di produrlo il merito è tutto di questo attore che personalmente apprezzai molto in "Vivere e morire a Los Angeles", uno dei più disperati e pessimisti film di azione degli anni ’80, con Wiliam Dafoe.
Un attore Robert John Downey Jr. davvero molto bravo, ma che non ha mai ricevuto il grande successo che merita forse anche per i suoi problemi con la droga, che gli fu offerta a soli otto anni dal padre, e questo dettaglio spiega, probabilmente, molte cose circa il suo personale coinvolgimento verso questa storia e la realizzazione di questo film.
E già perchè è come se al reading califoniano di Dito Montiel a cui ha assistito e dove ha conosciuto l’opera di quello che, all’epoca, era solo un giovane scrittore, Robert John è come se avesse ascoltato qualcosa di se. Dei suoi personali dilemmi esistenziali.
Brevi cenni sulla trama del film – attenzione inizio zona spoiler –
La storia, una sorta di autobiografia filmata, rievoca, con un sapiente uso di diversi tempi narrativi la vita del giovane Dito nella periferia di New York dei primi anni ’80. Il film è infatti ambientato ad Astoria una parte dei Queens.
Il ragazzo, insieme ai suoi amici (i fratelli Antonio e Giuseppe, i compagni di scuola Nerf e Mike e la giovane fidanzata Laurie), si trova ad affrontare quotidianamente il difficile rapporto con i genitori (sopratutto il padre), la violenza, il razzismo, i primi amori e le prime esperienze con la droga.
Una serie di eventi tragici lo spingeranno a scappare dalla sua famiglia e dai suoi amici, per trasferirsi a Los Angeles, dove intraprenderà con successo la carriera di scrittore.
Dopo molti anni sarà la malattia del padre a costringerlo a compiere una sorta di viaggio di ritorno che induce Dito a ritrovare i protagonisti del proprio passato a completare, in questo ritorno, una maturazione, una crescita personale, interrotta dalla fuga in California.
In qualche modo il protagonista conoscerà i propri "santi", che, in un modo o nell’altro, lo hanno salvato dalla morte, forse dalla prigione e da un’esistenza che probabilmente non gli avrebbe permesso di esprimere il proprio potenziale artistico e umano.
Il film una sorta di romanzo di formazione è diretto con sicurezza dal giovane scrittore e regista, che racconta con grand’efficacia la vita della periferia di New York, con un’immersione nel mondo problematico di un gruppo di ventenni.
Il film è interpretato da un ottimo Robert Downey jr. e dagli straordinari Chazz Palminteri e Dianne West.
– Attenzione fine zona spoiler –
1. Analisi di eventi ed esistenti del film
1.1. Anacronie completive o due piani paralleli di narrazione?
1.2. Perfezionare il reale
1.3. Il rapporto con il padre
2. Linguaggio audiovisivo
2.1. L’impressionismo narrativo di Montiel
2.2. Dirigere attori non professionisti
3.1. Le scritte utilizzate su sfondi neri
3.2. Le auto-dichiarazioni degli esistenti
4. Conclusioni
1.1. Anacronie completive o due piani paralleli di narrazione?
Problema. Devo raccontare di me, della mia vita, di quello che ha determinato certe mie scelte. Di come sono diventato quello che sono oggi.
Soluzione. Devo parlare del mio passato. Ciò che sono oggi è una scaturigine di ciò che ero ieri, e delle scelte che ho fatto nel mio passato per essere quello che sono oggi. Giacché invero noi siamo, prevalentemente, il nostro passato, persino la nostra attuale sembianza fisica è una conferma di questo assunto.
Svoglimento. Non parlerò di me oggi aprendo, attraverso dei flashbak degli inserti completivi sulla mia storia. Ma porterò avanti, parallelamente due storie, due intrecci. Uno nel quale rappresenterò gli eventi più drammatici della mia adolescenza. Un secondo, disassato nel futuro rispetto al primo, in cui descriverò il mio ritorno a casa dopo quindici anni.
In questo modo tutto quello che succederà nel secondo racconto troverà ampie e completive giustificazioni filologiche nella prima narrazione.
Geniale? Io direi di si. E’ comunque una scelta quasi inevitabile se decido di traslare il piano della narrazione in una ambientazione che amplifichi il senso del ricordo.
Quasi come se l’utilizzo della macchina da presa potesse svolgere la funzione di una seduta di psicoanalisi e mi costringesse a ripercorrere ed a rivivere, con con prospettiva salvifica di ricongiunzione, i traumi del mio passato.
I miei problemi irrisolti con mio padre ed i laceranti conflitti con questa figura.
A comprendere meglio i torti e le ragioni di tutte le persone che hanno costellato quella fase della mia vita così determinante nelle mie scelte.
Si perché se semplici potrebbero essere i riferimenti a
De Niro ed a Bronx pellicola interpretata e diretta proprio da Chazz Palminteri (il padre di Dito Montiel nel film), o anche al film di Coppola "I ragazzi della 56^ strada" per le forti analogie al contesto della storia, più corretti sono invece da ritenere (ovvimente secondo me) gli accostamenti al cinema di Woody Allen ed alla sua pellicola sul ricordo. Radio Days.Allen ammise che per rendere struggente il passato, melanconico il ricordo, lo si deve, come dire, trattare, migliorandolo, per renderlo perfetto.
Questo accorgimento narrativo, quasi una trascendenza filosofica, è lo stesso che ha adottato, e per sua stessa esplicita ammissione, proprio il promettente talento Dito Montiel.
E non è certo un caso se nel cast di questo film sua madre, venga impersonata ed interpretata proprio da un’attrice molto alleniana come
Dianne Wiest. Che guarda caso recitò proprio in quella pellicola.E già perché i riferimenti alla vicenda personale sono assolutamente reali, ma cambiati nel racconto, proprio per rendere perfetta una ricostruzione che, altrimenti, non avrebbe raggiunto la medesima forza drammaturgica.
Io non ho più mio padre che persi nel 1997 e capisco benissimo cosa voglia dire un rapporto difficile con questa figura.
Anche se, devo ammetterlo, per quanto sofferta, questa relazione è sempre e comunque una relazione profonda di amore.
Soprattutto quando questo amore vive di momenti d’incomprensione.
Nella pellicola di Montiel quello che ho apprezzato molto è stata proprio questa neutralità nel raccontare un dolore tremendo semplicemente per quello che è.
Una incomprensione che si agisce quasi senza una determinata consapevolezza.
Ciò non di meno con tutta la sua palese ingiustizia.
Sono molti i padri che farebbero bene a vedere questa pellicola ed a riflettere, finché sono in tempo, su quanto possa essere devastante la percezione di un’anaffettività in questa dinamica negli adolescenti ed incidere in maniera tragicamente determinante nello sviluppo della loro personalità.
2.1. L’impressionismo narrativo di Montiel Quello che mi ha molto colpito nella prospettiva filmica dell’opera – e non è mai cosa facile tentare l’ibridazione tra romanzo e cinema, e chi leggerà il libro potrà infatti apprezzare l’operazione di riduzione e di selezione che sempre comporta la trasposizione dal letterario al filmico – è proprio una sorta di potenzialità impressionista della pellicola.
Il sonoro della metropolitana, il languido sqaullore di certe location, la selezione di dialoghi scelta, la ricostruzione di certi eventi come le morti di due dei suoi amici sono narrate filmicamente in una prospettiva impressionista.
Provo a spiegarmi meglio.
Nella pittura impressionista europea quel movimento di artisti non proponeva solo un’immagine, una riproduzione di una certa realtà, ma tentava d’inserivi dentro una certa disposizione di stato d’animo.
Disposizione che Wim Wenders cita nel libro "Una volta" edito dalle Edizioni Socrates, a proposito della fotografia e che sarebbe, come dire, la contro-immagine del fotografo, la sua disposizione di animo rispetto a quell’oggetto.
Ecco è come se nell’opera di Montiel noi riuscissimo a scoprire la contro-immagine del regista, che esplora, rivivendole, le drammatiche vicende della sua adolescenza.
Questo accorgimento aiuta la narrazione a sublimare quella drammaticità ed a rivestirla di dolcezza, di sentimento, di disposzione psicologica appunto.
La cosa diventa tanto più difficile quando gli attori non sono attori professionisti.
Il cast scelto dalla produzione del film è un ibrido di attori eccellenti, e di giovanissimi interpreti non professionisti, che sono, però, i veri protagonisti della pellicola.
Ecco io non posso tacere la bravura di questo cast nel ricostruire un intero universo di riferimento attraverso le loro straordinarie interpretazioni.
Come non attribuire parte di questo indiscutibile merito a Montiel?
Concludo il posto con le ultime annotazioni sulle innovazioni nel linguaggio.
3. Elementi innovativi
3.1. Le scritte utilizzate su sfondi neri e le auto-dichiarazioni
degli esistenti
Le riassumo in unico punto giusto perché si fanno notare.
In effetti Montiel tenta anche alcune strategie innovative nella narrazione filmica.
Anticipa ad esempio l’audio di certe battute o meglio si ascoltano i sonori del personaggio Dito giovane e di quello attuale.
Oppure inserisce alcuni cartelli con scritte bianche su sfondo nero per anticipare o fare scorrere certi dialoghi, di cui è montata solo la traccia audio.
Crea alcuni effetti di suspance facendo fare delle dichiarazioni agli esistenti della storia, (che nel farle guardano in macchina), e che sono rilevanti ai fini dello svelamento anticipatorio circa la verità dei loro personaggi nell’intreccio.
Ti rimane impressa, ad esempio, l’affermazione del protagonista adolescente quando dice: "Sono Dito Montiel ed abbandonerò tutti in questo film".
Questa azzardata scelta formale, di vago sapere nouvelle-vogue-iano, denota una certa qual predisposizione al gusto di una narrazione filmica coinvolgente.
Ad un corso di recitazione mi fu peraltro detto una volta:
"Ogni personaggio di una storia racchiude in se una verità, compito dell’attore è quello di svelarla".
Mi piace concludere questo post con l’immagine della sequenza forse più catartica della pellicola, quella del dialogo e della riappacificazione tra Dito e sua madre.
Che dire di altro se non che il film è straordinariamente bello, struggente, commovente e girato magnificamente compresa, ovviamente, anche la colonna sonora e le musiche di Jonatham Elias, David Wittman e Jimmy Haun?
Lo dimostrano non solo gli ultimi film di Eastwood e di Scorsese, ma anche opere prime come appunto “Guida per conoscere i tuoi santi”, premiato al Sundance Festival 2006 per la migliore regia ed acclamato e premiato nel corso della settimana internazionale della critica alla Mostra del Cinema di Venezia.
Sembrerebbe proprio che non si possa aggiungere altro su questo film.
Ed invece un’ultima cosa fatemela dire.
Correte a vederlo.
Dal Corriere della sera: Moretti lancia gli sbandati di Sting".
Dal sito Close-up:
Incontro con Dito Montiel, Chazz Palminteri e Trudie Styler".
@Petarda Grazie mille ^___^
Rob.
ora vedo come fare… sono un po’ incasinata. appena posto ti do un tocco. ciao :)
@Petarda In pieno accordo come sempre, … Pollack m’interessa molto, tra l’altro è un vecchio amico di Woody Allen, compare in un sacco di suoi film.
Perché non posti al riguardo? Potrei linkare il tuo post se lo fai, che ne dici?
L’operazione è riuscita e adesso da 11,5 diottrie per occhio sono sceso a 3 per occhio … quasi non mi sembra vero.
Un saluto.
Rob.
visto ieri sera e piaciuto proprio tanto. riesce a non essere scontato. pur essendo un film violento non vi sono scene gratuite di violenza. è denso, intenso, ma anche delicato. si accenna, si sfiora. chissà, forse a questa leggerezza del tocco ha contribuito l’attitudine di montiel alla fuga…
trovo interessante il tuo riferimento ad allen.
l’ascolto di quella musica (che bella!) accomuna tutti quelli che adesso hanno più o meno 40 anni…
e la frase che citi, insieme a quella che conclude il film (“ho lasciato tutti, e nessuno, nessuno ha lasciato me”) e alla dedica “ad antonio” mi ha anche fatto pensare a come deve sentirsi uno che ha fatto successo mentre i suoi amici sono morti o in galera.
(OT, venerdì mattina ad alba sidney pollack ha tenuto una bellissima lezione di cinema, ci devo fare un post)
@Alessio Credo che sia quello che un giorno o l’altro girerò.
Un saluto.
Rob.
Mi sono imbattutto per caso qui sul tuo “blog” e ne sono felice,devo farti i complimenti per l’analisi dettagliata e ricca,io sono alla continua ricerca del “film perfetto” e quindi mi sforzo in qualsiasi momento di cercarlo in ogni cinema in ogni vecchia vhs.
Cerco informazioni utili in ogni angolo di internet e di bar,oltre che tra le righe di qualche giallo libro.
Tu sei riuscito a trovarlo il tuo film?
Alessio.
@onlylovely certo che è stato fatto. Il film è The Doors è di Oliver Stone ed è del 1991. Esiste anche un link wikipedia in italiano:
http://it.wikipedia.org/wiki/The_Doors_(film)
Un saluto.
Rob.
Ok Ok deve essere uno stupendo film ecc. ( ho letto tipo le prime 3 righe :D ).. ma tu che sembri intenderti di Cinema.. Sai per caso se è mai stato fatto un film su Jim Morrison?Se mi risponderai e (sopratutto) se mi risponderai di sì dicendomi pure il titolo del film ti adorerò per il resto della mia vita! ;)