Prosegue la mia collaborazione alla bellissima iniziativa “Rapporto Confidenziale“, la rivista gratuita di cinema in formato pdf.
numeroquattro – aprile 2008
rapportoconfidenziale_numeroquattro_high (9,48 MB)
http://confidenziale.files.wordpress.com/2008/04/rapportoconfidenziale_numeroquattro_high.pdf
rapportoconfidenziale_numeroquattro_low (4,54 MB)
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I miei ringraziamenti vanno sia ad Alessio Galbiati che a Roberto Rippa ai quali mi lega un sentire comune.
Come potrete leggere anche dal sommario la rivista contiene il mio secondo articolo della rubrica che curo: Storia e Discorso, con l’articolo:
Storia e discorso – articolo n° 2
Elementi di una teoria narrativa di Roberto Bernabò p. 47-48
Lo pubblico anche qui.
Storia e discorso – articolo n° 2
Elementi di una teoria narrativa
Se si considera la poetica una disciplina nazionale, ci si può chiedere, come fa lo studioso di lingue a proposito della lingua, quali debbano essere le componenti necessarie – e quelle sole – di una narrativa. Lo strutturalismo sostiene che ogni forma narrativa si compone di due parti (come spesso spiego nel mio blog): una storia (historie), il contenuto o il concatenarsi di eventi (azioni, avvenimenti), più quelli che possono essere chiamati gli esistenti (personaggi, elementi dell’ambiente), ed un discorso (discours), vale a dire l’espressione, i mezzi per il cui tramite viene comunicato il contenuto. In parole semplici la storia è ciò che viene rappresentato in una via narrativa, il discorso è il come. Si può proporre, al riguardo, lo schema riportato in figura 1:
Figura 1
Certo, questo tipo di distinzione era riconosciuto fin dalla Poetica. Per Aristotele l’imitazione delle azioni nel mondo reale, praxis, costituiva un argomento, logos, da cui venivano selezionate (ed eventualmente riordinate) le unità che formano l’intreccio, mythos.
Anche i formalisti russi hanno fatto la stessa distinzione utilizzando però soltanto due termini “favola (fabula) o materiale narrativo di base, la somma totale degli eventi che vengono riferiti in una narrativa, e, dall’altra parte l’intreccio (sjuzet), la storia come è materialmente narrata. Per i formalisti la favola è “l’insieme degli eventi che ci vengono comunicati nel corso dell’opera” ovvero “quello che è successo”, l’intreccio invece è “come il lettore, (o l’utente di un film nel caso del linguaggio audiovisivo) viene a conoscenza di “quello che è successo”, vale a dire, fondamentalmente, “l’ordine di apparizione” (degli eventi) dell’opera stessa, sia normale (abc) che in flashback (acb), o con l’inizio in media res (bc).
Anche gli strutturalisti francesi si sono appropriati di queste distinzioni. Claude Bremond ad esempio afferma che vi è un …
… livello di significazione autonomo, dotato di una struttura che può essere isolata dall’insieme del messaggio: il racconto (recit). Di conseguenza ogni tipo di messaggio narrativo, qualunque sia il procedimento espressivo impiegato, dipende dal medesimo approccio al medesimo livello. E’ necessario e sufficiente che racconti una storia. La struttura di queste è indipendente dalle tecniche impiegate. Essa si lascia trasporre dall’una all’altra senza perdere nulla delle sue proprietà essenziali: l’argomento di una fiaba può servire da soggetto per un balletto, quello di un romanzo può essere portato sulla scena o sullo schermo, si può raccontare un film a chi non l’ha veduto. Si leggono parole, si vedono immagini, si decifrano gesti, ma, attraverso questi, si segue una storia, e può essere la stessa storia. Il raccontato [racontè] ha i suoi significati propri [racontants], che non sono delle parole, delle immagini o dei gesti, ma gli avvenimenti, le situazioni ed i comportamenti significati da queste parole, da quelle immagini, da quei gesti.
Questa trasponibilità della storia è la ragione più valida per arguire che le narrative siano in realtà strutture indipendenti da qualsiasi medium. Ma cosa è una struttura e perché si è così propensi a classificare così la narrativa?
Nella migliore introduzione all’argomento ad esempio Jean Piaget mostra come discipline diverse, quali la matematica, l’antropologia sociale, la filosofia, la linguistica, hanno utilizzato il concetto di struttura richiamandosi in tutte le circostanze a tre nozioni chiave:
-
la totalità,
-
la trasformazione,
-
e l’autoregolazione.
Ogni gruppo di oggetti, privo di tali proprietà caratteristiche, è un mero aggregato non una struttura. Esaminiamo dunque le narrative sotto questo punto di vista per vedere se costituiscono effettivamente delle strutture.
Appare chiaro che una narrativa è una totalità, perché è costituita da elementi – eventi ed esistenti – che sono di natura differente da ciò che nel loro insieme costituiscono. Eventi ed esistenti sono isolati e distinti, mentre una narrativa è composta di sequenze. Inoltre gli eventi nella narrativa (a differenza di quanto accade nella complicazione casuale) tendono ad essere collegati ed interdipendenti).
Se si estraessero a caso da chiacchiere di salotto una serie di fatti accaduti in luoghi e momenti diversi a persone differenti, non avremmo evidentemente alcuna narrativa (a meno che non ne presupponessimo deliberatamente una – possibilità di cui si parlerà nei prossimi articoli). In una narrativa vera e propria gli eventi, per dirla con Piaget, “vengono sulla scena ordinati”. Al contrario di quanto accade agli eventi raggruppati disordinatamente, essi rivelano un criterio organizzativo.
In secondo luogo le narrative comportano sia la trasformazione sia l’autoregolazione.
Autoregolazione vuol dire che la struttura è chiusa e completa, che secondo le parole di Piaget, “le trasformazioni inerenti ad una struttura non conducono fuori dalle sue frontiere ma generano solo elementi che appartengono sempre alla struttura e che conservano le sue leggi. Così addizionando o sottraendo l’uno all’altro o l’uno dall’altro due numeri interi qualsiasi, otteniamo sempre altri numeri interi, i quali verificano le leggi del ‘gruppo additivo’ di questi numeri.
E’ in questo senso che la struttura si chiude in sé”. Il processo tramite il quale viene espresso un evento narrativo è la sua “trasformazione” (come in linguistica un elemento della “struttura profonda” deve essere “trasformato” per presentarsi nella rappresentazione in superficie).
Comunque avvenga questa trasformazione – poniamo il caso che l’autore scelga di ordinare il racconto degli eventi secondo la loro sequenza naturale o di presentarli con un effetto di flasback – soltanto certe possibilità possono verificarsi. Inoltre la narrativa non ammetterà eventi o altri fenomeni che non le appartengono … e [non] conservano le sue leggi. Naturalmente possono venire introdotti eventi o esistenti che non sono immediatamente pertinenti. Ma ad un certo punto del racconto la loro importanza deve emergere, altrimenti si può obiettare che la narrativa è “formata male”.
In questo modo le prove per chiamare “strutture” le narrative, anche nel senso rigoroso degli strutturalisti, appaiono abbastanza solide.
Fin qui abbiamo parlato solo di ciò che compone la storia e la narrativa. Il discorso narrativo, il “come” si divide a sua volta in due sottocomponenti: la forma narrativa stessa – cioè la struttura della trasmissione narrativa – e la sua manifestazione – cioè il suo apparire in un medium specifico che la materializza: verbale, filmico, musicale, pantomimico, etc. La trasmissione narrativa implica il problema della relazione fra il tempo della storia e il tempo in cui la storia viene raccontata, della fonte o autorità della storia: voce narrativa, punto di vista ecc. Naturalmente il medium influenza la trasmissione ma è importante, dal punto di vista teorico, distinguere tra le due cose.
Nel prossimo articolo:
La narrativa è una struttura semiotica?
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In questo quarto numero:
SOMMARIO del numeroquattro (aprile 2008)
Break up – L’uomo dei palloni di Samuele Lanzarotti p. 4
speciale
L’avventurosa storia della AMERICAN INTERNATIONAL PICTURES. Quarta parte: eroi neri e luoghi comuni bianchi – La Blaxploitation secondo la A.I.P. di Roberto Rippa p. 6-12
Con gli approfondimenti (a cura di Roberto Rippa):
Pam Grier – cenni biografici p. 9
Coffy di Jack Hill (USA, 1973) p. 10
Foxy Brown di Jack Hill (USA, 1974) p. 11
Truck Turner di Jonathan Kaplan (USA, 1974) p. 12
intervista
Ken Jacobs: il demiurgo dell’immagine in movimento di Alessio Galbiati p. 14-18
Milano calibro 9 di Francesco Moriconi p. 20-21
anteprima
In viaggio per l’India a bordo del Darjeeling Limited di Emanuele Palomba p. 23
Redacted di Alessandra Cavisi p. 24
nelle sale
Tutta la vita davanti di Roberto Rippa p. 26
Juno: la favola moderna di Jason Reitman di Emanuele Palomba p. 28
Spell – Dolce Mattatoio di Samuele Lanzarotti p. 29-30
lo schermo negato
Malen’kie ljudi di Roberto Rippa p. 31
Specularità: il tema del doppio come leit-motiv nel cinema di Alessandra Cavisi p. 33-35
Edward & Sweeney: lame a confronto di Matteo Contin p. 36
Abre Los Ojos vs Vanilla Sky di Emanuele Palomba p. 37-38
Finalmente Domenica di Ciro Monacella p. 38
Digimag
Mike Mills: Human Before All! di Alessandra Migani p. 41-42
Thumbsucker. Il succhiapollice di Alessio Galbiati p. 43-45
Storia e discorso – articolo n° 2
Elementi di una teoria narrativa di Roberto Bernabò p. 47-48
Digimag
Sex is a pain in the ass di Loredana Menghi p. 49-50
Ultimo tango a Zagarol di Walter Veltroni p. 51
Intrigo internazionale di Alessandra Cavisi p. 52-53
“Io non sono un animale! Sono un essere umano! Sono…un…uomo” di Samuele Lanzarotti p. 55-56
brevemente
EUROPA di Roberto Rippa p. 58-59
speciale
Il serial cinematografico americano degli anni dieci: le serial queen – Terza parte di Alessio Galbiati p. 61-63
indice filmografico p. 65
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Grazie e buona visione … ops … lettura.
A cura di cinemavistodame.
@Lia Ma grazie a te ci mancherebbe pubblicare quest’articolo è stato per me un atto che si è posto l’obiettivo di divulgare la struttura narrativa. Continua a leggermi allora ;)
Un saluto.
Rob.
Ti voglio ringraziare infinitamente per questa tua spiegazione della distinzione tra storia e discorso: sto finendo la laurea specialistica in relazioni pubbliche e nel mio programma di studi c’è anche un esame di semiologia del cinema. Come potrai ben immaginare non è che la materia sia molto attinente e quindi sto facendo una fatica mostruosa a capire tutto.. Ed è un’ora che bazzico su internet per capire una distinzione che tu, con uno schemino e quattro parole, hai reso chiara e semplice. Grazie infinite di cuore, e complimenti.