Italia / 2008
analisi di eventi esistenti e linguaggio audiovisivo
Gomorra
titolo originale: Gomorra
nazione: Italia
anno: 2008
regia: Matteo Garrone
genere: Drammatico
durata: n.d.
distribuzione: 01 Distribution
cast: T. Servillo • G. Imparato • S. Cantalupo • M. Nazionale • G. Morra • S. Abruzzese • M. Macor • C. Petrone
sceneggiatura: Matteo Garrone; Roberto Saviano; Maurizio Braucci; Ugo Chiti; Gianni Di Gregorio; Massimo Gaudioso
fotografia: M. Onorato
montaggio: M. Spoletini
Trama: Tratto dall’omonimo bestseller di Roberto Saviano. Potere, soldi e sangue. In un mondo apparentemente lontano dalla realtà, ma ben radicato nella nostra terra, questi sono i “valori” con i quali gli abitanti della provincia di Caserta, tra Aversa e Casal di Principe, devono scontrarsi ogni giorno. Quasi sempre non puoi scegliere, quasi sempre sei costretto a obbedire alle regole del Sistema, la Camorra, e solo i più fortunati possono pensare di condurre una vita “normale” …
«Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità.»
Roberto Saviano, Gomorra
«Comprendere cosa significa l’atroce, non negarne l’esistenza, affrontare spregiudicatamente la realtà.»
Hannah Arendt
In questo post:
1. Introduzione – l’importanza di Gomorra indipendentemente dal film
2. Analisi di eventi esistenti e lo specifico filmico del linguaggio audiovisivo
2.1. Specifico della narrazione: Dallo spettatore partecipe del libro alla macchina da presa che riprende l’azione nel film
2.2. Riferimenti neorealisti: l’uso del dialetto e degli attori non professionisti
2.3. Le scelte degli esistenti
3. Conclusioni – quanto ci riguarda, personalmente, questo film?
4. Links: Il mio impegno verso Roberto Saviano datato ottobre 2006.
§§§
1. Introduzione – l’importanza di Gomorra indipendentemente dal film
Anche al di là di quello che si sa. Di quello che nel bene o nel male si conosce. Da letture distratte dei giornali, notizie gracchianti di una radio, speciali televisivi, appelli accorati di madri passati in qualche programma di cronaca vera. Noi in realtà non sappiamo. Non conosciamo, non siamo messi in grado di valutare con cognizione di causa.
E questo non per caso, non per distrazione o peggio per colpa nostra. No. Noi non sappiamo perché la verità è spesso assai semplice da capire e proprio per questo fa paura a chi avrebbe il dovere non solo etico ma spesso istituzionale di farcela conoscere. Ma la paura di cui parlo non è quella a cui si pensa normalmente. No la paura è quella di svelare troppo la trama nascosta della connivenza, della collusione.
Ma, per fortuna, esiste un modo altro per avvicinarsi alla verità o meglio di far si che altri possano avvicinarsi alla verità.
Questo modo di accedere alla gnosi della camorra, della mafia, di tutti quei poteri occulti che pure controllano gran parte dell’economia che deriva dai delitti, è nelle mani dello storico, del documentarista ed un tempo anche del giornalista inviato, categoria in avanzata fase di sparizione, e della quale Roberto Saviano rappresenta un esemplare raro. Tanto di più nell’Italia di oggi.
Chi altri se non questi studiosi meticolosi di ciò che accade, dal loro punto di vista rigoroso, collegano i fatti che fanno la storia, restituendocene la spiegazione spesso contorta?
Il libro di Roberto Saviano è, in quest’accezione, non solo un atto di denuncia ma anche ed al tempo stesso un atto di amore e di speranza.«Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità.»
Saviano sa e per questo di quello che sa parla.
Ha deciso di dire no, di ribellarsi non con la violenza. Non con la scissione. Ma con un’arma assai meno violenta, ma, nella storia, sempre molto potente … quella della parola.
E forse, e sottolineo forse, la sua è una ribellione rivolta non solo ai camorristi che combatte nel livello più esteriore, ma anche contro tutti quegli inquietanti tenutari delle verità, quei guardiani della soglia della conoscenza, che la mantengono sotto certi livelli di sicurezza in modo che le masse non riescano ad afferrarne, olisticamente, il senso compiuto.
In un intervista ad Enzo Biagi Roberto ebbe a dire che il modo in cui il suo primo, ed al momento unico libro, Gomorra, si era diffuso ed era diventato un caso letterario era una specie di miracolo … e che lo stesso si era compiuto essenzialmente grazie non agli organi d’informazione istituzionali, ma ai ragazzi.
La prima edizione era di sole 5.000 copie. Oggi a distanza soli due anni dalla sua uscita grazie ai blog, ad internet, ad Anno Zero, ad Enzo Biagi, ma, soprattutto, alla potente crudezza e lucidità della denuncia contenuta nelle sue pagine, Gomorra è diventato un caso letterario, vincendo “Il premio Viareggio 2006 opera prima“, ed il “Premio Siani“.
Saviano in quella intervista a Biagi disse cose che poi gli ho sentito ripetere in tante altre occasioni.
Che il libro ha peggiorato la sua vita, che spesso ha maledetto il giorno in cui ha deciso scriverlo. Ricordo che vive sotto scorta e sotto costante minaccia di morte da parte di coloro i quali denuncia.
Ma credo che anche lui sappia che, in fondo, non è così.
Che ogni scrittore sogni di riuscire a realizzare quello che sta accadendo a lui ed alla sua opera.
Roberto allora non si è fermato. Ha trasposto il suo Gomorra prima in un opera teatrale, e adesso in un film affidato al giovane talento di Renato Garrone, romano, classe 1968: Gomorra (2008); “Primo amore” (2004); “L’imbalsamatore” (2002); “Estate romana” (2000); Ospiti (1998); “Silhouette” (1996); “Terra di mezzo” (1996).
Insomma la sua denuncia si fa multi-mediale e multi-artistica.
Si amplifica attraverso una diversificazione ed una moltiplicazione delle forme di comunicazione.
Per raggiungere masse sempre più rilevanti di persone.
Perché non pochi lettori di una cronaca locale sappiano e comprendano.
Perché le connessioni tracimino verso livelli nazionali e transnazionali di persone in grado di valutarne la gravità.
Perché solo quando un problema diventa così ingombrante non può non essere risolto.
Perché di quello che sta tuttora accadendo a Scampia a Casal di Principe nella lotta di camorra per il governo tutti i racket che in quella zona si controllano non siano più dominio di pochi.
Dei soliti pochi che, pur sapendo, non agiscono.
Il film di Garrone è arrivato a Cannes proprio in questi giorni ed è stato accolto molto bene.
Io lo so, voi lo sapete, non è un Leone d’oro ad un prestigioso Festival di Cinema che potrà cambiare quello che non è esagerato definire urgente cambiare.
Ma disturbare i poteri camorristici di quelle zone … beh questo è proprio quello che Saviano sta riuscendo a fare.
Vivendo sotto scorta, limitando la sua libertà personale come se anche lui fosse un malavitoso bisognoso di protezione.
Ma con rigore e forza ammirevoli porta avanti con tutto il fracasso di cui è capace un uomo mite la sua missione, non saprei come altro definirla.
2. Analisi di eventi esistenti e lo specifico filmico del linguaggio audiovisivo
Nella mai semplice opera di trasposizione dal letterario al filmico il gruppo di sceneggiatori (ben sei compreso lo stesso Roberto Saviano) ha svolto una scelta di campo.
Nell’attuare l’operazione di selezione del materiale ha scelto di non mantenere un’ortodossia assoluta verso il format di denunzia adottato con le parole.
Ha scelto di arrivare emotivamente con la sola potenza delle immagini.
Decadono quindi i nomi ed i cognomi che tanto al cinema verrebbero presto dimenticati e si lasciano le immagini affidate a cinque esistenti, come dire, guida. Cinque storie.
Sotto il profilo della narrazione a me molto caro come ha giustamente sottolineato anche il mio amico Francesco decade il punto di vista narrativo di Roberto Saviano del libro che è un punto di vista interno.
Saviano è il personaggio che nel libro parla descrivendo fatti di cui è testimone partecipe.
Nel film di Garrone questa cosa avrebbe reso la narrazione farraginosa.
Costringendola ad una voce fuori campo che avrebbe restituito un film poco narrativo e molto più documentario.
2.1. Specifico della narrazione: dallo spettatore partecipe del libro alla macchina da presa che riprende l’azione nel film
Garrone allora che fa? Semplice, si affida alla macchina da presa.
Sarà lei a raccontare attraverso le cinque storie.
E la macchina da presa ci racconta tutto senza né misericordia, ma anche senza eccessi. Non sempre, proprio come nel libro, riuscendo a farci vedere tutto.
A volte è il buio di certi anfratti, altre la penombra di una zona, altre ancora la velocità dell’azione ad impedire una cattura totale dell’immagine rivelata.
Ma quello che arriva è comunque il senso della denunzia del libro.
Se è vero che Gesù Cristo disse a Tommaso “Beati coloro che crederanno e non vedranno” è come se avesse ammesso che esiste una sorta di potere divinatorio nell’atto della visione.
Come se vedere costituisse una forte semplificazione, una sorta di scorciatoia al raggiungimento ed alla penetrazione della verità.
Ed allora io dico che questo film è un film importante.
Proprio nel momento in cui l’emergenza rifiuti in Campania è così ormai palese ed evidente.
Dovremmo probabilmente tutti essere grati che il Paese esprime persone come Roberto Saviano. Uomini che non hanno vergogna di parlare della propria gente per il come l’hanno conosciuta. Svelandone la claustrofobica condizione di vita.
La mancanza di alternative.
2.3. Le scelte degli esistenti
In questo specifico argomento Garrone ha il merito di selezionare cinque storie che, come ha giustamente sottolineato Paolo Mereghetti, hanno tutte un qualcosa in comune. Si trovano tutte ad un bivio.
I loro esistenti protagonisti hanno, tutti, la necessità di operare una scelta. E questa scelta ha quasi sempre a che fare con il delitto, con il crimine, con il varcare quella soglia che dalla legalità sposta la narrazione nell’illegalità.
Quasi a suggellare la progressiva perdita di significato che, in quel contesto s’interiorizza rispetto a cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, nonostante le evidenti tragiche conseguenze di quelle scelte.
L’unico esistente che si ribella è proprio Roberto, l’aiutante di Tony Servillo il manager dei rifiuti tossici pulito al Nord e gestore di discariche abusive al SUD, in cui io ho visto un esplicito riferimento a Roberto Saviano.
Vengono in mente nomi del calibro di Pier Paolo Pasolini con i suoi “Ragazzi di vita” ed anche il mai dimenticato “Pater Familas” di Francsco Patierno.
A me personalmente il film ha evocato certe strategie del racconto riconducibili al cinema dei fratelli Joel e Ethan Coen con il loro “Non è un paese per vecchi“, per la tensione che lo stile narrativo filmico impone allo spettatore, uno stile che calibra in bit a volte serratissimi, altre molto dilatati, il mai facile rapporto tra suspance e sorpresa, e che lo costringe a non intuire, quasi mai, cosa aspettarsi nella sequenza che sta vedendo. Pur, magari, avendo letto il libro.
2.2. Riferimenti neorealisti (l’uso del dialetto e degli attori non professionisti)
Altra scelta formale che ho molto apprezzato è lasciare il dialetto di quelle zone sottotitolato.
Così che anche un campano, come me, possa apprezzare nelle differenze dello slang, quella sorta di progressiva barbarie in cui s’immerge per tutta la durata del film.
Ciò non di meno Garrone usa la sua macchina da presa con un occhio che si attacca alle cose, attenta a non tradire la realtà, ma neanche a volerla a tutti i costi inseguire, come ho già avuto modo di dire nell’introduzione.
- È vero che i riciclatori di scorie tossiche usano ragazzini rom per spostare i camion con i rifiuti tossici?
-
È vero che l’iniziazione al coraggio nei clan di Scampia avviene facendosi sparare da pochi metri, con indosso un giubbotto antiproiettile?
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È vero che i cinesi nascondono un sarto nel portabagagli per portarlo a dar loro lezioni di cucito?
-
E’ vero che Scarlett Johansson (nel libro Angelina Jolie) indossa un manufatto realizzato nel casertano in una di quelle aste a cui assistiamo?
Per trasferire un senso che non è esagerato definire neorealista alla pellicola Garrone che non è nuovo a questo espediente usa molti attori non professionisti nelle riprese.
Lo fa a ragion veduta. Nulla di quello a cui assistiamo deve parlarci di cose già viste. L’atmosfera deve evocare un mondo altro che deve necessariamente scioccarci per assolvere alla sua funzione drammaturgica.
In questa accezione la pellicola è un vero gioiello in quanto a:
- cura dei sopralluoghi per l’individuazione delle location, tutte rigorosamente reali;
- capacità nel dirigere gli attori non professionisti.
Questi accorgimenti, che da sempre hanno caratterizzato il cinema sia del primo che del secondo neorealismo italiano, amplificano il senso della verità che il libro di Saviano ha tentato di restituirci, e che il film di Garrone descrive con occhio spietato e dolente al tempo stesso.
In realtà, e per la precisione, gli attori sono tutti o quasi tutti professionisti e se non proprio cinematografici sono attori teatrali.
Garrone al riguardo ha dichiarato in una recente intervista:
Voglio precisare che gli attori sono tutti, o quasi tutti, degli attori professionisti, e che il loro percorso si differenzia: da quello che può essere di Tony o di Gianfelice, che è un percorso più tradizionale, ad altri che magari hanno cominciato a fare teatro in carcere come Salvatore Striano, o altri ancora come Totò, Simone che appartengono a una realtà molto importante di teatro che avviene a Scampia e si chiama Revuoto, e che io ho avuto la fortuna di poter vedere recitare proprio in teatro; o Ciro per esempio che ha fatto un film a 14 anni per il cinema; quindi sono tutti attori professionisti e non, come si può pensare, attori presi così, per caso, dalla strada.(Fonte: Cinema del Silenzio).
Quasi sempre la verità è più sconvolgente ancora, mentre altre volte il film diventa il mezzo con cui una realtà irraccontabile prende corpo.
Un punto di vista narrativo che il regista usa con un rigore e una moralità dello sguardo davvero encomiabili. Come solo i veri grandi maestri del cinema sanno fare.
3. Conclusioni – quanto ci riguarda, personalmente, questo film?
Che dire se non che “Gomorra” è un’opera importantissima sotto molti profili.
Non ultima, ed è di stasera, la scelta di Roberto di non calpestare il red carpet di Cannes.
Qualcuno ha ipotizzato per prudenza, lui ha chiarito anche perché “Non sono una persona di cinema ma di parole.”
Un gesto di grande correttezza verso gli autori e gli attori del film,ed, al tempo stesso, la conferma di una personalità schiva, amante più della sostanza che della forma.
Vorrei dire ancora tante cose. Per ora mi fermo qui perché ho avuto un weekend molto lungo e faticoso.
Tutte e cinque le stelle che ho a disposizione per questo film che travalica i meriti pur notevoli degli aspetti formali, e verso il quale mi corre l’obbligo di ricordare ancora che coinvolge tantissimi attori non professionisti, scelti tra i veri abitanti di quelle zone, perché tra questi ci sono l’amico Ettore Cuocolo (il mitico direttore della nota pizzeria di Roma Pizza Forum, un angolo di vero folklore made in Napoli, alle spalle del Colosseo), a cui va il mio augurio di una pronta e completa guarigione e che ha avuto un ruolo attivo anche nei sopralluoghi per alcune delle location del film, ed il suo collaboratore, da tutti conosciuto come il Barone, che svolgono, soprattutto Ettore, assai bene il loro compito.
Un’ultima considerazione la voglio svolgere ponendomi una domanda che chissà quante volte si sarà posto Roberto Saviano.
Quanto ci riguarda, personalmente, questo film?
Anche aldilà di una facile risposta, che troviamo nelle scritte finali del film che ci restituiscono le impressionati cifre dei danni e del business che la Camorra produce in Campania, credo che quest’opera cinematografica ci riguardi tutti.
Non possiamo più rimanere inermi difronte alla verità, al male che a tutta la società italiana questa gente, priva di scrupoli, fa.
E se non lo vogliamo o possiamo fare per un senso etico o morale, dobbiamo farlo, molto banalmente, per consentire a noi stessi, ed ai nostri figli, di vivere in mondo più sano, più onesto, meno avvelenato in tutte le accezioni possibili del termine.
Non dico migliore.
Ma almeno uguale a quello di tutti gli altri paesi civili, dove la quella parola sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia, come la definiva Giorgio Gaber, assolve, però, ancora, tutto il suo irrinunciabile ruolo.
4. Links
Il mio impegno verso Roberto Saviano in tempi non sospetti in un post dell’ottobre 2006: qui.
[…] non professionisti) 3. Conclusioni – quanto ci riguarda, personalmente, questo film? + Clicca qui e leggi l’analisi. + A cura di […]
stupendo, a dire il vero ho avuto qualche difficoltà a seguire l’intrecciarsi dei clan e delle storie.
ma è veramente potente come dicono, è un pugno in pancia.
non ho letto il libro ma dopo questo capolavoro (macchiato dalla piccola imperfezione di cui sopra) non credo sia possibile non leggerlo 8D
film memorabile! il poco tempo e i pochi soldi gli hanno dato ancora più “naturalezza”, difficile far meglio…
che film!
un saluto
cla
molto bella la tua analisi, 5 stelle anche per me. credo davvero che garrone (come sorrentino) sia il futuro del nostro cinema, il futuro che merita. Considero L’imbalsamatore ma anche le conseguenze dell’amore o l’amico di famiglia dei capolavori.
Testimonio anch’io il mio sostegno a roberto qui
http://viaggidellamente.splinder.com/post/9586998/Per+Roberto+Saviano
E la libertà di scrivere? Non nego che dopo aver scritto la recensione di Gomorra con evidenti attacchi alla malavita campana ho avuto un po’ di paura…
Una bellissima e completa analisi che affronta il film sotto ogni aspetto collegando l’opera d’arte al senso ultimo che ogni opera d’arte deve avere, rispondendo a questa domanda: a cosa serve un film sulla camorra oggi? Mi ha fatto riflettere la tua acuta osservazione, quando ti sei riferito alla libertà di ascolto. Ecco, questo ci manca: la libertà di seguire, ascoltare, vedere, in sintesi, conoscere. La verità non è ancora democratica. Grazie^^
Vorrei lasciare un commento fuori dal coro per questo film.
A mio parere non bisogna giudicare il film per i contenuti, i messaggi di denuncia ed il ritratto di una realtà degradata e di pesonalità limitate nella cultura e nelle capacità intellettuali e per questo reclutati agevolmente dalla malavita.
Questo compito è stato già assolto dal libro.
Cosa aggiunge il film a quanto già detto nel libro, alle emozioni e iritratti già disegnati sulla carta.
Veniamo al film: le scelte fatte dall’autore sulla regia le ambientazioni e i personaggi, assolutamente credibili, rendono molto forte la pellicola ma io non riscontro il coinvolgimento vissuto in altri film, il film scorre raccontando qualcosa che impressiona ma non mi cattura, non è riuscito a farmi cercare continuamente sulla poltrona la pozione … per avere la massima attenzione .. delle cinque storie l’unica che maggiormente mi ha catturato e quella dei due giovani del casertano , probabilmente poichè dalle prime battute si intuisce la fine che faranno. La lotta tra gli sciossionisti è solo una cronaca di violenza, il percorso del bambino è già stato raccontato con maggior incisività nel ‘certi bambini’, e la storia del geometra è assolutamete insipida, raccontata n volte in innumerevoli film e mi colpisce solo per la scena dell’aereoporto nella figura del padre inferimere ospedaliero.
Infine dopo un racconto del genere, come anche viene fatto nel libro, andava fatto un riferimento all’altra parte della citta di Napoli …. tutti quelli che guarderanno il film si cheideranno se esiste davvero e noi sappiamo che esiste.
@ Rob: Saviano è… un miracolo! Un ragazzo che a 26 anni, laureato in Filosofia, si mette a scrivere della realtà che lo circonda in modo così lucido, non può che essere un miracolo. Il suo è un libro frutto di un’urgenza: quella di urlare a Napoli, al resto d’Italia e al mondo intero in che realtà viviamo. Proprio per questo dico che il libro non è bello ma inportante. Io non ho chiuso le pagine di Gomorra pensando di aver concluso una lettura “godibile” di un autore che scrive bene, anzi. Saviano non è minimamente paragonabile a un Pasolini, ad esempio. Non è ancora uno scrittore.
Sono rimasto, invece, a meditare su quella realtà che conosco anch’io. Nel mio Liceo, nella mia classe, avevo (e ho ancora) diversi amici che provenivano da Scampia. Venivano dai parchi appena di fronte le Vele (mostrate da Garrone nel film). Quelli sono luoghi attraverso i quali io ho passeggiato quando avevo sedici anni. Ironia della sorte: la strada dove sorgono le Vele e i parchi dei miei vecchi amici (scappati dalle loro “gate community“, come le chiamano in America) si chiama Viale della Resistenza. La cosa da un nuovo senso alla parola Resistenza. Lì non c’è da pensare ai partigiani, ma a come portare a casa “‘a mesata” e a come resistere alla criminalità che ti circonda! Se sapeste quanta brava gente abita in quei parchi all’interno di cancelli elettrici, sentendosi come in una “riserva indiana”!
Altra questione il film. Quell’urgenza di Saviano si è come sedimentata. A me è parso che nell’atto di sceneggiare il libro si sia persa proprio quell’urgenza di cui sopra. Le immagini sono fantastiche, i dialoghi superlativi ma le storie perdono un poco della loro violenza. Non urlano più l’orrore di questa realtà, lo raccontano. Se lo facessero, se lo urlassero, saremmo usciti tutti storditi dalla visione del film. Faccio un esempio: quando, anni fa, uscii dalla proiezione de “L’Odio” di Kassovitz, ero sconvolto. Mi sentivo come se mi avessero dato un pugno in faccia. Quello shock io l’avrei voluto anche da Garrone.
Ho visto il film venerdì con Rob e altri amici. Sul momento, in fase di critica, ho avvertito che mancasse qualcosa per definire appieno la bellezza dell’opera.
Nei giorni successivi, nelle mie giornate successive, i fotogrammi della pellicola mi sono via via venuti in mente con particolare forza ed evidenza. Mi è apparso chiaro che al film mancasse (volutamente) quel calore e quella furbesca capacità di provocare emozioni cui facilmente si può far ricorso nel denunciare fatti a noi vicini ma essenzialmente lontani. Meno male che Garrone non ha fatto questa scelta.
Quersto è un film che non vuole emozionare, non vuole colpire al cuore ma alla testa, vuole innanzitutto far capire in quale parte e in che momento del mondo viviamo, non deve far cambiare, deve far prendere atto. Non è un punto di arrivo è un semplice, pesantissimo, primo passo.
Il film non mi è piaciuto. Nel senso che non mi sono compiaciuto. Ed è per questo che è un grande film. Mi ha ricordato le stesse sensazioni che provai vedendo la prima volta “Umberto D”: un fastidio, una grave sospensione dell’anima per l’assensa del lieto fine. C’ era solo la fastidiosissima certezza del “così è!”; e vi assicuro che, in tempi di iperinutileinformazione, non è poco.
Bellissima analisi, lo vedrò a giorni…
Un saluto
Chimy
Ottima, come sempre, recensione Roberto… l’ho salvata e adesso la stampo così me la rileggo con calma.
Io l’ho visto il film e devo confessare che una volta ultimato sono rimasta a lungo a riflettere… ti lascia senza parole e ti colpisce dritto nello stomaco (più che nel cuore). Poi i titoli di coda erano accompagnati dalla musica coinvolgente dei Massive Attack che non mi sono passati certo inosservati… La regia di Garrone è originale e ho notato alcune sue caratteristiche come i secondi piani sfuocati e le luci… impressionante la caverna dove il capo camorra reclutava i ragazzini con il rito di iniziazione del giubbotto antiproiettile. E le scene dei due ragazzi nella villa modello Scarface?
Un capolavoro, un film da vedere e rivedere e mi auguro che possa uscire da Cannes con un premio… se lo meriterebbe.
Chiara
@fuoridalmucchio Questo film ha una sola pecca, credo. E’ stato girato in troppo poco tempo e con troppi pochi soldi.
Ma è comunque un film notevole.
E va giudicato anche per il difficile compito che si è scelto, secondo me.
Certo mancano i nomi … ed a me un poco questo ha scioccato, ma non manca la verità.
Poi, certo, ognuno è libero d’innescare le aspettative ed i giudizi che crede.
Ma in questo pantano d’immobilismo politico, istituzionale in cui tutti, anche chi farebbe meglio a tacere come Bassolino, per fare un nome, parla, l’azione di Saviano mi sembra un miracolo.
Speriamo che serva a qualcosa.
Un saluto.
Rob.
Sabato pomeriggio sono andato a vedere Gomorra. Un gran bel film. In realtà, sotto sotto, speravo fosse ancora più potente e violento nel “mettere in scena” la realtà raccontata da Saviano nel libro.
Il libro è incredibile! Non è un bel libro, in senso estetico-letterario ma è un libro molto importante. Non è un romanzo vero e proprio né un saggio-reportage con dati assoluti e incontrovertibili (se non quelli del numero di morti). E’ allo stesso tempo la meticolosa descrizione di eventi ignoti ai più e la descrizione delle emozioni che certe visioni hanno prodotto nel cuore dell’autore. Per questo rimane un libro IMPORTANTISSIMO! E speravo che la sua trasposizione cinematografica fosse ancora più “forte”, “emotiva”. Si, devo ammettere che, forse a causa delle eccessive aspettative che mi ero creato, speravo in qualcosa ancora di più, in uno slancio “caldo” maggiore. Insomma, io gli avrei dato quattro stelle perché secondo me gli manca qualcosa per essere un assoluto capolavoro e quel qualcosa è la visceralità.
@honeyboy Non sai quanto siamo d’accordo ;)
Rob.
un film di una importanza difficilmente misurabile…