L’uomo che ama – di Maria Sole Tognazzi (2008)
breve analisi di eventi esistenti e linguaggio audiovisivo
L’uomo che ama
titolo originale: L’uomo che ama
nazione: Italia
anno: 2008
regia: Maria Sole Tognazzi
genere: Sentimentale
durata: 102 min.
distribuzione: Medusa Film
cast: P. Favino (Roberto) • M. Bellucci (Alba) • X. Rappoport (Sara) • P. Degli Esposti (Giulia) • M. Alhaique (Carlo) • M. Paredes (Dr.ssa Campo) • F. Sciarappa (dottore) • A. Ninchi (Vittorio) • G. Blackhall (Yuri)
sceneggiatura: M. Tognazzi • I. Cotroneo
musiche: C. Consoli
montaggio: W. Fasano
Trama: Una pellicola adulta sull’amore. Un film che racconta la grande passione di un uomo per una donna dal punto di vista maschile. L’uomo che ama è un uomo normale che in due storie diverse vive situazioni opposte: abbandona e viene abbandonato, diventa carnefice e poi vittima.
1. La prima – le ancronie usate in modo a-tipico
1.1 Portata e ampiezza delle anacronie
Genette distingue tra la "portata" di un’anacronia e la sua "ampiezza".
La portata è l’intervallo di tempo tra l’adesso, anticipato o retrospettivo, e l’inizio dell’anacronia, l’ampiezza è invece la durata dell’anacronia stessa. Vi sono, inoltre, mezzi differenti per congiungere l’anacronia con la storia che procede. Mezzi "interni", mezzi "esterni" e mezzi "misti".
In un anacronia "esterna", inizio e fine si verificano prima dell’adesso, una anacronia "interna" inizia dopo l’adesso, ed infine un’anacronia "mista" inizia prima e finisce dopo l’adesso.
Le anacronie interne possono, inoltre, distinguersi in quelle che non interferiscono con la storia interrotta ("etereodiegetiche") e quelle che invece interferiscono ("omodiegetiche"). In questo ultimo caso si può distinguere tra anacronie "completive" e "iterative".
Le anacronie "completive" riempiono lacune passate o future. Quelle future possono essere, a loro volta, ellissi dirette o "frontali", o ellissi "laterali" o paraellissi, in cui le omissioni non riguardano gli eventi che si verificano, ma piuttosto gli elementi di una situazione di fatto.
Le anacronie "iterative", viceversa, ripetono quanto è già stato detto, in quanto il racconto torna apertamente ed esplicitamente sui propri passi, sebbene con un diverso modo di vedere gli eventi. Espediente che è divenuto familiare nel cinema dopo Ejzenststejn.
Infine la terza possibile categoria di relazione è quella che Genette definisce ellissi o figura parallela. La stessa non concede alcuna relazione crono-logica (anche inversa) tra storia e discorso. L’associazione è o casuale o basata su principi di organizzazione appropriata ad altri tipi di testi – vicinanza spaziale, logica, discorsiva, tematica.
Nel film di Maria Sole Tognazzi la regista azzarda un linguaggio anacronico che mentre conduce in avanti nel tempo la narrazione per lo spettatore, intende, al contrario, condurre, nello stesso tempo, all’indietro la narrazione degli eventi, come mi piace, con buona pace di chi mi critica, definire la storia.
La cosa di per se, intendiamoci, non è né è nuova né, quindi, originale.
Ci sono pellicole come "Memento di Christopher Nolan" – (2000), ad esempio, in cui la giustificazione drammaturgica di tale accorgimento era abbondantemente assai più giustificata, dalla particolare malattia di amnesie di cui soffriva Guy Pearce … Leonard Shelby. Ricorderete la frase "Non riesco a ricordarmi che ti devo dimenticare" [Leonard Shelby].
Ma diciamo che, sotto il profilo della storia e del discorso, altrimenti eccessivamente melenso sotto ogni punto di vista, questo vezzo, che tende peraltro, a nostro avviso, più a dimostrare l’idea di possedere cognizioni di screenplay, piuttosto che di provare di saperle applicarle con adeguata maestria, lo possiamo segnalare come elemento degno di nota.
2. La seconda – la recitazione di Pierfrancesco Favino
Sotto il profilo della resa attoriale, mentre registriamo un netto calo di un’attrice che ci era piaciuta al suo esordio, la russa proveniente dalla ella scuola teatrale, Xenia Rappoport (sarà che gli errori di definizione di un esistente si ripercuotono anche nella capacità degli attori di saperli rendere), la mai convincente Monica Bellucci, checché ne pensino altri famosi cinebloggers, quello che, nonostante la visione stereotipata e troppo femminea (a nostro modo di vedere nel senso di troppo espressione di un uomo così come nell’immaginario femminile della regista), nonché alcune situazioni drammaturgiche sul bilico del peggio del peggio che un uomo possa dare in circostanze analoghe, (figurasi poi se lo stesso è un farmacista bello come l’attore che lo interpreta) diciamo che il potenziale recitativo di Pierfrancesco Favino è una di quelle cose che ha impedito di accordare ancora meno stars al film, soprattutto in considerazione che lo stesso ha aperto il Roma Film Festival 2008. Quasi ad avvalorare la mia idea del cinema italiano come una casta, ecco. Ma non c’erano pellicole e registi che lo meritavano di più, per dire?
La terza – le musiche di Carmen Consoli
Per il resto archiviate pure la pellicola come film da dimenticare sia per gli uomini che per le donne. senza considerare e chiudo il fastidio quasi fisico ed ideologico che provo nel prendere sempre più atto, che in questo paese, certo cinema per potere essere deve essere quasi come dettato, nei temi centrali, da una sinistra che non sa e non riesce più osare nella politica, e che cerca subdolamente di costringere certi registi, che peraltro allegramente si prestano pur di rimanere tra quelli del giro, a portare avanti battaglie come quella dei gay che devono infarcire, quasi come una marchetta, queste storie.
Faccenda veramente triste a pensarci seriamente, che a me fa sempre più ribollire il sangiue nelle vene.
E non ho più davvero nient’altro da aggiungere sull’argomento come diceva Forrest Gump.
@ornella … sarà … io l’ho trovato di una banalità a dir poco allucinante. Non credo di avere compreso il significato del tuo commento … comunque grazie.
Un saluto.
Rob.
il film l’uomo che ama è recitato in maniera spettacolare da pier francesco favino perchè è spettacolare lui trovo che sia una persona talmente bella dentro che non puo che rispecchiarsi fuori nel suo fisico e nei suoi occhi, occhi che parlano e che dicono quanto sia solare la sua vita e la sua coscienza. Per quanto riguarda il film a me è piaciuto tanto da vederlo sette volte perchè lo trovo pieno di momenti veri di riflessione dai quali si vede che sia un lasciare che prendere non è non sofferto ma ponderato da una condizione vera.