Cinemavistodame.com di Roberto Bernabò

Che – l’argentino – di Steven Soderbergh

2008 – U.S.A.

analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo

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Che – L’argentino

titolo originale: Che: Part One
nazione: U.S.A.
anno: 2008
regia: Steven Soderbergh
genere: Biografico
durata: 126 min.
distribuzione: Bim Distribuzione
cast: B. Del Toro (Ernesto ‘Che’ Guevara de la Serna) • R. Santoro (Raul Castro) • J. Ormond (Lisa Howard) • M. Díaz (María Antonia) • D. Bichir (Fidel Castro) • Y. Vazquez (Alejandro Ramirez) • S. Cabrera (Camilo Cienfuegos)
sceneggiatura: P. Buchman • B. Van Der Veen • B. Van Der Veen
musiche: A. Iglesias
fotografia: S. Soderbergh
montaggio: P. Zumárraga

Trama: 26 novembre 1956. Fidel Castro parte verso Cuba con un gruppo di un’ottantina di ribelli. Uno di loro è Ernesto Guevara, un medico argentino a cui presto verrà attribuito il soprannome ‘Che’. Il gruppo ha una finalità precisa: abbattere il regime dittatoriale di Fulgencio Batista sostenuto dagli americani. Il Che si dimostra da subito un combattente abile particolarmente versato nell’arte della guerriglia. Diventa così sempre più famoso tra i suoi compagni e tra la popolazione per la sua determinazione mista a una profonda passione per i più deboli e sfruttati. Ben presto diventerà un comandante e, con la vittoria dei castristi, uno dei miti di quella rivoluzione.

“Un popolo che non sa né leggere né scrivere è un popolo facile da manipolare.”
“La lotta s’intensificherà: “Patria o Morte!”
“Un grande rivoluzionario è animato da un grande sentimento d’Amore: Amore per l’umanità, amore per la giustizia e per la verità.”

Ernesto Che Guevara

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Ernesto ‘Che’ Guevara è convenzionalmente rappresentato o come un santo della rivoluzione, oppure come uno spietato carnefice. In verità, a mio modo di vedere, Steven Soderbergh, nella sua epica biografia del “Che“, non avverte la necessità di definire il personaggio in nessuna di queste due ontologie.

Il biopic, infatti, non è scritto dal punto di vista della storia, ma dal point of view di Guevara (non a caso la sceneggiatura è basata anche sul libro “Diario della rivoluzione cubana“, scritto dallo stesso Guevara), attraverso una sorta di cronaca giorno per giorno del processo che determinò il rovesciamento del regime di Batista a Cuba, e, successivamente (ma questo sarà oggetto della seconda parte del film Che: la Guerriglia), del tentativo analogo, ma fallito, in Bolivia.

Il film – che, va detto, è un’opera unica e come tale fu presentata a Cannes – nella sua versione per le sale si svolge in due parti, denominate “Che: L’argentino” e “Che: La guerriglia“.

La pellicola resiste, come dire, alla tentazione di esaltare eccessivamente il Che, e si sforza di delinearlo, attraverso un’interpretazione-transfert di Benicio Del Toro, così convincente, da avere meritato la palma d’oro come miglior interpretazione maschile di un esistente protagonista all’ultimo festival di Cannes, nella sua dimensione più umana, ma che si staglia, comunque, contro l’orizzonte degli eventi, riuscendo a toccare un po’ tutte le basi convenzionali del genere biografico.

§§§

2. Eventi ed esistenti: Il punto di vista narrativo – circa il Che Guevara’s pint of view

A Cuba, ci uniamo a lui, ma attraverso un processo parziale di documentazione.

Provo a spiegarmi meglio. Apprendiamo si, ad esempio, che è il Comandante è anche un medico, ma non conosciamo né come né perché lo sia diventato.

Quasi come se fosse un dato di fatto che si tratti di un rivoluzionario.

Di un leader naturale degli uomini.

demian-bichir-e-benicio-del-toro-in-un-immagine-del-film-che-l-argentino

Fidel Castro è il suo compagno, ma il film non ci mostra il loro rapporto in maniera dettagliata, la maggior parte del tempo, i due eroi sono separati. Non c’è una alcun riferimento alle decisioni politiche del rivoluzionario come, invece, descritto nel film del 2004 “I diari della motocicletta” di Walter Salles.

2.1. Il Che narrato al presente filmico

Che” è narrato sempre nel tempo presente.

Veniamo a conoscenza che ha, dentro di se, la decisione irrevocabile di rovesciare governi (direi che questo rappresenta, per lui, verso tutta l’America Latina, una sorta di imperativo categorico kantiano), e questo spiega il motivo per cui, nella sua descrizione di ingiustizia, egli si identifica con i contadini, e non con la classe dirigente del paese, e anche se è nominalmente un comunista, non viene documentata in alcun modo una riflessione ideologica.

Se si eccettua il rapporto non sempre facile con il comunismo sovietico, che Il Che non amava poi più di tanto, e comunque meno del compagno Fidel, perché considerava la libertà un bene talmente primario ed irrinunciabile, che non doveva essere assogettato a limitazione alcuna, nemmeno se suggerita dalla causa, comune, del comunismo.

Il Che ci appare, sempre, completamente concentrato, esclusivamente, sul compito immediatamente davanti a lui.

Il suo metodo è quello di dare voce al risentimento popolare nei confronti di un dittatore, conquistare il sostegno delle persone, e demoralizzare gli opposti eserciti di soldati.

Ha bisogno di pochi uomini, perché dentro e dietro di lui, è sostenuto da una idea molto forte che, nel caso di Cuba, era già nella coscienza collettiva, persino tra le fila del dittatore batista.

Con questo metodo, in verità, ha lavorato assai più agevolmente a Cuba, che non in Bolivia, ma questo lo si comprenderà meglio nella seconda parte del film.

2.2. La vita del Che come un arco

La pellicola di Soderbergh, durante i suoi lunghissimi 258 minuti, funziona un po’ come come un arco: verso l’alto per la vittoria a Cuba, (dove si chiude la prima parte del film), una pausa con la sua famiglia in Argentina, verso il basso alla sconfitta in Bolivia.

A Cuba i ribelli sono accolti dalla gente dei villaggi, vengono sempre aiutati nell’alimentazione, nel poter essere nascosti, ed il Che, in questa parte del film, è acclamato dalla gente tanto che il viaggio guerrigliero verso l’Havana, diventa una vera e propria marcia trionfale.

§§§

3. Linguaggio audiovisivo: Lo specifico filmico dell’opera e del regista

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Soderbergh, per questo film, si è calato nei panni di:

  • regista
  • direttore della fotografia
  • montatore

aiutato dalla macchina da presa digitale RED, di cui è un entusiasta e convinto utilizzatore.

Non c’è, volutamente, a mio modo di vedere, alcuna fantasia nel lavoro di inquadratura.

Il regista, direi, rimane sempre a ridosso costante del Che, con tenace e consapevole determinazione.

Nonostante tale scelta formale non ci sono, però, che pochi stacchi in soggettiva, ma che risultano tutti, peraltro, efficacissimi.

Il point of view del Che, quasi avulso dalla storia (se si eccettuano i suoi discorsi alle Nazioni Unite con la celeberrima frase: “O patria o Muerte“), è restituito, a mio modo di vedere, benissimo.

Probabilmente proprio perché è come se partecipassimo con lui nell’azione, e non lo guardassimo, come un eroe, da un punto di vista esogeno agli eventi.

L’opzione scelta dal Soderbergh, si insomma lo specifico filmico dell’opera, che è un po’ la cifra stilistica del regista, è quella di alternare due forme di narrazione filmica.

benicio-del-toro-e-demian-bichir-in-una-scena-del-film-che-l-argentino

Quella a colori, realizzata con la Digitale RED, nella Sierra Maestra, ricca di esperienze cromatiche, con macchina da presa a ridosso dell’eroe.

Qui l’intento drammaturgico è quello di restituirci l’esperienza dell’azione bellica con le sue atrocità, le morti dei compagni, la solidarietà tra i rivoluzionari, il rigore etico che esige la rivoluzione, la malattia del Che con i suoi continui attacchi di asma, tutti elementi che che ci fanno soffrire, con lui, le fatiche della lotta nella lunghissima battaglia per raggiungere l’Havana.

benicio-del-toro-che-o-patria-o-muerte

E quella in bianco nero, dove il Che ci appare in una lunga intervista, o ripreso nei suoi discorsi alle Nazioni Unite.

Qui, secondo me, l’intento drammaturgico è quello di ricordarci che il regista non desidera, più di tanto, prendere posizione, apparendo lui attraverso il suo personale punto di vista, e rafforzare l’idea archetipale del biopic, che esige che a parlare siano, invece, prevalentemente, se, non, addirittura esclusivamente, i fatti ed i loro autori, e non l’interpretazione, troppo spesso revisionistica, del documentarista, attraverso, però, la rivelatoria esperienza della loro visione.

Una vera e propria scelta di campo, non c’è che dire.

§§§

4. Rese attoriali: Circa l’interpretazione-transfert di Benicio Del Toro

benicio-del-toro-in-una-scena-di-che-l-argentino

Benicio Del Toro, uno dei produttori del film, offre una prestazione eroica, non da ultimo perché è auto-effacing.

La sua interpretazione non è né esaltante né esaltata, come quella della maggior parte degli eroi epici.

Il Che di Benicio Del Toro, emerge a Cuba nella vittoria, in Bolivia, come vedremo nella seconda parte, invece, scompare assorbito nella sconfitta, ed, a volte, è quasi difficile riconoscerlo dietro un groviglio di barba e capelli.

Direi che l’immedesimazione – aiutata anche dalla straordinaria somiglianza dell’attore con il rivoluzionario, ha contribuito nel lavoro, che l’interprete-produttore ha svolto, con una tale dedizione che ha sicuramente dei significati, questi si, politici – sul personaggio è totale, e non è un caso l’idea di contribuire alla produzione della pellicola, io credo.

benicio-del-toro-in-una-scena-del-biopic-che-l-argentino

Il suo Che è, infatti, rappresentato non tanto, e non solo, come una personalità, quanto come una sorta di testamento spirituale, come in un racconto a futura memoria di ciò che fu l‘idea rivoluzionaria. Quasi a suggerirci che esiste ancora si l’idioma rivoluzione, ma non più il corrispondente correlativo oggettivo.

benicio-del-toro-premiato-con-la-palma-d'ro-a-Cannes-per-il-film-il-Che-di-steven-soderbergh

Meritatissima pertanto la palma d’oro guadagnatasi a Cannes.

§§§

5. Conclusioni

Si può chiedere, in conclusione, ed è legittimo, se il film (unito nelle due parti), non sia troppo lungo.

Personalmente sono portato a ritenere che ci sia una valida ragione per la sua lunghezza.

che-guevara

L’esperienza di Guevara a Cuba (ed in Bolivia) non è stata, solo, una serie di eventi ed aneddoti, ma direi prevalentemente un’enorme, gigantesca, quasi sovrumana, arrivo a dire, prova di resistenza che potrebbe quasi essere definita come quella di un pazzo. Come del resto egli stesso ammette a Fidel Castro, in una delle sequenze iniziali del biopic, prima della loro partenza per l’isola.

Le dimensioni dell’enorme fatica e dell’altrettanto smisurata follia sia di Fidel che del Che, dovevano essere filtrate in una proporzione tra il racconto delle gesta e la durata del film, e questo per evitare le inevitabili (mi si perdoni l’allitterazione), semplificazioni e banalizzazioni, che un’operazione del genere corre sempre il rischio di portarsi dietro.

§§§

Del resto non sono, solo, le visioni, un po’ alterate dalla follia, d’immaginare un futuro diverso, quelle destinate a cambiare il corso della storia?

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[…] Su questo film ho già in pratica già detto tutto qui. […]

Roberto Bernabò
15 anni fa

@Francesco … curioso che mi parli proprio di The Reader. E sai perché?

Perché proprio come questo film, quella pellicola è una trasposizione, dal letterario al filmico, e più precisamente del romanzo “A voce alta“, di Bernhard Schlink.

Quello che voglio dire è che non sono i film ad essere poco corali.

Nei casi di specie: per Steven Soderbergh parliamo delle memoria del Che, e nell’altro di un romanzo centrato sul personaggio di Hanna Schmitz.

Si discute, pertanto, in entrambi i casi, di adattamenti, e di opere in cui il o la protagonista sono, come dire, il fulcro della narrazione.

Questi film non sono né “La vera storia della rivoluzione cubana” né, tanto meno, “La vera storia dei nazisti per caso”.

La verità è che nel cinema, chissà perché, si è fatta avanti l’idea di dover catalogare le opere in categorie.

Ma né il romanzo di Bernhard Schlink, né, a maggior ragione, in quello “Diario della rivoluzione cubana“ di Ernesto Che Guevara, gli autori si sono minimamente posti lo stesso problema.

Raro è, semmai, e chiudo, vedere adattamenti così rigorosamente fedeli alle corrispondenti opere letterarie.

Ma qui, caro amico mio, si apre un estuario di considerazioni, sia a ragione che contro, che vista anche l’ora, non credo sia il caso di esaurire nello spazio commenti di un post.

Scrivimi in privato o su FB, e ne parleremo in maniera più approfondita, perché la tua sollecitazione m’interessa … e non poco, visto che sei sempre uno dei miei commentatori più arguti ;)

Buonanotte e buona fortuna come diceva quel tale.

Rob.

Francesco
15 anni fa

Ho visto il film prima di leggere la tua analisi, mi trovo d’accordo con quello che scrivi, mi sembra un film non agiografico, purtroppo mi ha deluso una cosa: Benicio del Toro “è” il film, lui è immenso, mi sembra che dopo il film non ti ricordi di nessuno, se non di Che Benicio. Tutti scompaiono, al cospetto di Benicio, Fidel sembra una macchietta. Manca, mi pare, l’elemento corale, se posso fare un paragone è quello di Kate Winslet, Mendes fa un film dove tutti sono bravissimi e Kate W. grandissima, in “the reader” Kate W. è grandissima, ma c’è solo lei, da 10, il film appena sufficiente. Lo stesso in questo caso, secondo me.
A presto.

Roberto Bernabò
15 anni fa

@Valentina … in effetti i biopic in generale non sono certo un genere avvincente, se poi la scelta è quella di attenersi ad un libro di memorie che non ha di per se alcuna struttura narrativa forse anche per l’attore diventa difficile il lavoro sul personaggio.

Rappresentare un mito e ricondurlo ad una figura umana è personalmente la cosa che ho apprezzato di più del film.

Lui e Fidel vissero degli anni davvero straordinari e qualunque adattamento cinematografico sarà sempre approssimativo nel restituire un’atmosfera che anche psicologicamente forse non esiste più.

Un saluto e grazie del link che è reciproco ;)

Rob.

Valentina
15 anni fa

Link aggiunto con piacere!

Continuo a pensare che Soderbergh non sia assolutamente la persona adatta per un film di questo tipo e che abbia realizzato una pellicola fredda e noiosa.

La figura del Che che emerge da questo film non è che una pallida ombra dell’uomo carismatico esistito realmente.

Magari la seconda parte sarà migliore.

A presto!

^_^

Roberto Bernabò
15 anni fa

@cinemasema non c’è assolutamente nulla di revisionista … anzi … è tutto basato sulle memorie del Che ;)

Grazie delle parole di apprezzamento che dette da te valgono il doppio.

;-)

Rob.

cinemasema
15 anni fa

Non avevo prestato molta attenzione al film, non per l’argomento (anzi… i biopic di personaggi come Che mi interessano molto) ma perché credevo fosse (chissà perché) un film “revisionista” (scusami il termine politico). La tua come sempre ottima e precisa analisi invece mi ha convinto. Spero di poterlo vedere presto.

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[…] Qui la mia analisi al film fatta di là. […]

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