il nuovo film della Pixar
analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
La sostenibile leggerezza dell’essere (e della sua casa) – a cura di Roberto Bernabò
Up
titolo originale: Up
nazione: U.S.A.
anno: 2009
regia: Peter Docter • Bob Peterson
genere: Animazione
durata: 104 min.
distribuzione: Buena Vista International
sceneggiatura: B. Peterson
musiche: M. Giacchino
montaggio: T. Gonzales • C. Hsu
Trama: Carl Fredricksen è un anziano ultrasettantenne che ha sempre desiderato di vedere il mondo, ma è sempre stato ostacolato dal tran tran quotidiano e dagli impegni di lavoro. Quando però incontra Russell, un boyscout di otto anni che gli offre l’ultima occasione per realizzare il sogno della sua vita, decide di mettersi in viaggio portandosi appresso la propria casa.
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1. Introduzione
Chi è Carl Fredricksen?
Perché la sua storia parla di noi?
Dov’è il segreto di questo (ennesimo) capolavoro della Pixar?
Beh, non è che sia proprio facilissimo rispondere, univocamente, a questa domanda.
Chi conosce la storia della Pixar Animation Studios, e della sua straordinaria ascesa, potrebbe essere addirittura portato a credere, ad esempio, che “UP” possa rappresentare un titolo celebrativo dei 10 anni di esistenza in vita della partnership strategica con la Disney, e del crescente successo che ogni lungometraggio di questo incredibile laboratorio, fondato dal genio di George Lucas e dal 1996 acquistata e sviluppata da Steve Jobs, l’alchemico co-creatore della Apple, è riuscito sempre a ripetere nel tempo, in maniera sempre superiore rispetto al precedente, sia come risultato al box office che come critica.
E l’ipotesi, intendiamoci, non è che sia peregrina.
[UP è, esattamente, il decimo film realizzato dalla Pixar, diretto da Peter Docter (con la collaborazione di Bob Peterson) che è stato anche il film di apertura dell’ultimo Festival di Cannes 2009, (primo film di animazione a ricevere questo onore).
Ed è stata proprio la direzione di Cannes a concedere, a questo lungometraggio, una proiezione speciale in 3D, fortemente voluta dagli organizzatori. Perché, come forse pochi ancora sanno, il film, prodotto da Jonas Rivera e John Lasseter, in realtà è stato girato, come per tutti gli altri film Pixar, solo in 2D, e solo successivamente, proprio in previsione dell’onore concesso dal Fetival di Cannes, ne è stata realizzata una versione in tre dimensioni, che non è esattamente lo specifico campo di expertise dell’azienda californiana.
Infatti, se si tratta della prima volta in 3D per la Pixar, non lo è certamente per la casa madre Disney che in questo ben specifico campo attualmente detiene il primato (basti pensare a Bolt, alla riedizione di Nightmare Before Christmas o ai film-concerto per giovanissimi di Hannah Montana o dei Jonas Brothers ) e che ha in fase di lancio tantissimi nuovi progetti.]
Ciò non di meno io credo che UP, sia un titolo, invece, straordinariamente evocativo della prospettiva esistenziale dei personaggi protagonisti del film.
2. La légèreté degli esistenti
Ed in particolare quella che i francesi definiscono la légèreté, che è stata, ad esempio, uno dei valori fondanti, nonché centrale tema degli aspetti estetici ed etici, del cinema di Charlie Chaplin, e di alcuni autori – registi della Nouvelle Vague francese, come, ad esempio, François Truffaut.
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2. Circa “la leggerezza” secondo Italo Calvino e secondo la Pixar
Traggo dalle “Lezioni Americane” (six memos for the next millenium) – di Italo Calvino:
Calvino dedica la prima delle lezioni americane all’opposizione leggerezza-peso, dichiarando di sostenere le ragioni della leggerezza, in quanto sulla leggerezza pensa di avere “più cose da dire”.
Il suo lavoro di scrittore è stato, infatti, una sottrazione di peso.
Egli ha cercato di togliere peso soprattutto alle strutture del racconto e del linguaggio.
Per Calvino, quindi, la leggerezza è un valore che egli riconosce in opere del passato, vede attuale nel presente, e che proietta nel futuro. La leggerezza è una qualità che Calvino vede nelle “Metamorfosi” di Ovidio, in particolare nel rapporto fra Perseo e la Medusa e in Lucrezio nel “De rerum natura“. In Lucrezio ed in Ovidio la leggerezza è un modo di vedere il mondo che si fonda sulla filosofia e sulla scienza; ma in entrambi i casi “La leggerezza è qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta, indipendentemente dalla dottrina del filosofo che il poeta dichiara di voler seguire”. E’ presente anche in un romanzo come “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera.
Anche la scienza dimostra che è possibile dissolvere la pesantezza, quando prova che il mondo si regge su entità sottilissime. Per quanto riguarda l’informatica, il software non potrebbe esercitare il potere della sua leggerezza, se non mediante la pesantezza dell’hardware.
La leggerezza, per Calvino, si associa comunque sempre alla precisione e alla determinazione: può essere associata al linguaggio, che diventa così un elemento senza peso “che aleggia sopra le cose come una nube“; ci può essere un alleggerimento nella narrazione di un ragionamento, o di un processo psicologico, o in qualunque descrizione; ci possono, infine, essere immagini di leggerezza, che assumono un valore emblematico.
Calvino riporta molti esempi tratti da Cervantes, Shakespeare, Cyrano de Bergerac, Leopardi; qual è il filo che accomuna esempi tanto diversi? E’ la scrittura intesa come metafora della sostanza pulviscolare del mondo; la parola, come la intende Calvino, è quindi “inseguimento perpetuo delle cose, adeguamento alla loro varietà infinita“. E chissà, se in queste prospettive, non aggiungerebbe, oggi, questo film della Pixar.
Alla base della letteratura come ricerca della leggerezza, in quanto reazione al peso di vivere, c’è un bisogno antropologico; lo sciamano rispondeva alla precarietà dell’esistenza della tribù annullando il peso del suo corpo, trasportandosi in volo in un altro mondo, in un altro livello di percezione.
La letteratura perpetua questo dispositivo antropologico, questo nesso tra lievitazione desiderata e privazione sofferta, che si trasforma in leggerezza, e permette di volare nel regno dove ogni mancanza sarà magicamente risarcita.
Aldilà delle illuminanti e geniali intuizioni contenute nelle citazioni calviniane, che pure ho inteso, in parte, riprendere, credo che quello della légèreté sia un po’ il fil rouge di tutte le opere della Pixar.
Tutti gli esistenti del film UP, risolvono, a guardare bene, il loro problema esistenziale trovando un sicuro rifugio nella leggerezza.
Lievitare è un po’ il segreto delle loro vite.
E potremmo agevolmente sostenere che tutto, nel film UP, viene ricondotto alla “sostenibile leggerezza dell’essere“.
E sarà proprio, infatti, nell’incontro tra Carl, questo apparentemente imperturbabile vecchietto (pensato, a detta degli autori, come un mix di Walter Matthau e Spencer Tracy), e la sua casetta volante, con:
- il piccolo Russell, un esploratore junior di otto anni che si trovava sul portico di Carl e che sarà così il suo fedele compagno di viaggio
- un misterioso ma affettuoso uccello goloso di cioccolato
- un cane parlante di nome Dug
- ed infine del redivivo Charles Muntz – esploratore eroe della giovinezza di Carl
che il concetto di leggerezza (ed il suo contrario) saranno, un po’ pervasivamente, la chiave di volta per la risoluzione di un po’ tutti i conflitti, e dei punti di snodo del racconto.
Peraltro, se solo ragionaste, con un po’ di memoria, a molti altri esistenti dei film della Pixar (come non rievocare il genio di Wall-e o di Ratatouillle), trovereste chili, o … ehm pardon volevo dire grammi, di leggerezza anche lì.
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3. Il tempo che scorre, i sogni da realizzare vs. il rimpianto degli eldoradi perduti, ed il rapporto tra vecchio e nuovo
Se è vero che la légèreté è la lente con la quale il regista Peter Docter, coadiuvato da Bob Peterson, guarda un po’ a tutti gli esistenti del film, gli eventi di UP narrano, ovviamente a mio modo di vedere, alcuni concetti che, oserei dire, sia nello specifico filmico, che in quello narrativo, ripropongono alcuni archetipi del mito americano e, perchè no, anche di quelli della Pixar.
Cerchiamo, rapidamente, di analizzarli tutti.
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3.1 Il tempo che scorre
Qui siamo, quasi, sul filosofico, oltre che nell’esistenziale.
Nella prima parte del film assistiamo, infatti, all’incontro di quelli che in quel momento della narrazione, sono solo due bambini (il protagonista Carl e sua moglie Elle), uniti dalla comune passione per le avventure e le esplorazioni. (Altro riferimento alla mission della Pixar).
Sempre nelle rapide sequenze iniziali li vediamo, poi, semplicemente crescere insieme, amarsi, e trascorrere il resto della loro vita uniti, tra gioie e dolori, un po’ come tutti.
Quando incontriamo, quindi, per la prima volta, Carl Fredricksen da anziano, (ben doppiato, in italiano, dal veterano Giancarlo Giannini), conosciamo già il suo passato, il suo grande amore per la oramai scomparsa moglie, il suo più grande rimpianto, quello di non aver mai mantenuto la promessa fatta all’amata Ellie: portarla in Sud America per una grande avventura e costruire una casetta colorata in un luogo magico e dimenticato chiamato Paradise Falls, (forse un vago riferimento “Paradise lost” di John Milton), proprio dove il loro mito di gioventù, l’esploratore Charles Muntz (che ha la felliniana voce di Arnoldo Foà), scomparve anni or sono, alla ricerca di un mitico pennuto.
Qui subentrano altri due elementi narrativi.
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3.2 L’importanza di realizzare i sogni vs. gli eldoradi perduti
Quello che muove all’azione Carl Fredricksen, a guardare bene, è il conflitto interiore tra due oscure forze contrastanti tra loro.
Paradossalmente anche evocata nel rapporto protagonismo – antagonismo tra Carl Fredricksen e del suo giovanile eroe, l’esploratore Charles Muntz.
Il rimpianto per quelli che chiamo gli eldoradi perduti, e cioè la felice vita trascorsa con la moglie, e la forza di realizzarne il sogno.
Se non ci fosse l’uno non ci sarebbe l’altra.
In questo rapporto entrano, quasi come guidati da una forza divina o, se preferite, da un deus ex machina molto spirituale, gli altri esistenti del film.
Il petulante, ma affettuosissimo giovane esploratore Russel, il cane Dug, lo struzzo colorato e gigante goloso di cioccolato.
La cosa straordinaria di questa avventura è proprio quella di farci assistere alla realizzazione di un sogno.
Devo dire che, aldilà di esilaranti trovate, come quando il cane dice “punta” e si mette a fissare qualcosa, o la parolina magica per rendere inoffensivi i “cani nemici” di Charles Muntz: “Scoiattolo“, la cosa che mi ha colpito di più del film è stata proprio quella di questa quasi mistica apparizione. Come se il cinema, ancora una volta, diventasse il luogo delle magie, dove non solo le case volano sospinte dai palloncini ad elio, ma dove la forza, anche visiva di un sogno ,riesce, non senza difficoltà, a trovare il suo epico epilogo.
C’è qualcosa di alchemico nell’opera di dare attuazione ad un sogno, qualcosa che si avvera solo se, a quel sogno, ci si crede con tutte le proprie forze, e se, in nome di quel sogno, si è disposti a rischiare tutto. (Vedi la casa che scompare tra le nuvole).
Non trovate che, anche qui, faccia capolino il mito della Pixar?
Ed arriviamo al messaggio finale del film.
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3.3 Il rapporto tra il vecchio ed il nuovo
Forse avrei dovuto dire il rapporto tra vecchio e giovane, e, forse, ancora meglio, tra genitori e figli.
O, forse, avrei dovuto accennare al gap che, da sempre, divide generazioni successive.
E già perché è proprio come se gli sceneggiatori avessero voluto, sapientemente, inserire, anche, tutti questi elementi sociali, nel raccontare, sempre con la lente della leggerezza, l’universo dei valori che cambia e che evolve.
Come nel mutamento, già accennato, del rapporto tra Carl Fredricksen con il suo idolo giovanile, l’esploratore Charles Muntz, che da bambino vs. il suo mito, si trasforma in una potente relazione protagonismo – antagonismo.
O come il fatto che mentre nella figura di Carl Fredricksen, la passione per l’esplorazione nasce libera e pura, al limite indirizzata dalla moglie bambina, nel caso del giovane Russel è come se derivasse, invece, da un vuoto affettivo e familiare, frutto dell’evoluzione sociale e valoriale dei rapporti familiari.
Ma il film ci parla proprio di questo, alla fine.
Di quanto sia importante che il vecchio dialoghi con il nuovo.
E di come importante sia, alla fine, che il progetto contenga sia tutta la prorompente ed ardente voglia del giovane di essere nuovo, sia l’esperienza del vecchio, intesa come origine, insostituibile, di patrimonio di conoscenze, non solo, ma, anche, di esperienza di vita.
Insomma alla fine di questa analisi mi sono convinto di una cosa.
Che questa storia ci parli, infondo, di una cosa ed una sola: della Pixar, signori.
Alla prossima.
Ah si certo … le musiche. Ok, sono importantissime. Ecco, l’ho detto.
E del resto tutti questi premi e nomination per John Lasseter … mica piovono dal cielo.
l’ho visto ieri sera ed è bellissimo, poi leggo quello che scrivi del film e ci prendi davvero.
io poi ho ancora il film di Jonze nella testa e con questo fanno una coppia formidabile.
a rileggerti presto.
ciao
Un post eccezionale per un film eccezionale. Ogni volta che ti leggo gli spunti di riflessione che dai si contano a dozzine.
Complimenti.
Ciao
@pilloledicinema E’ inutie nascondere che ricevere commenti come questo fa sempre molto piacere. Grazie per la stima, che ti assicuro è reciproca.
Tu hai un dono che a me manca. La sintesi ;-)
Rob.
Come sempre un post magistrale davvero :).
Hai approfondito tante questioni che in tanti (me più che compreso) erano solo riusciti ad accennare. Interessantissime in particolare le considerazioni da Calvino…
“Up” comunque è davvero un film grandissimo che fa davvero riflettere e anche commuovere.
La stima è assolutamente reciproca :).
Un caro saluto
Chimy
@Chimy Esatto. La meraviglia dei film della Pixar è che possono divertire semplicemente (sia adulti che bambini e commuoverli), ma che riescono, sempre, a soddisfare anche il palato di fruitori cinefili.
Questa è sicuramente una delle caratteristiche di forza di questo laboratorio di animazione, veramente notevole, che continua a battersi per il 2D, proprio per non mettere fuori mercato i tanti che ancora lavorano con questa tecnologia, anche se questo film in è in 3D.
Davvero mitici !!!
Con stima.
Rob.
Robi bravo! Abbiamo apprezzato molto la tua analisi. La leggerezza e’ proprio l’elemento fondamentale, hai ragione!
Ti leggeremo ancora, promesso!
A presto,
Riki e Marzia
@Riccardo Dopo 5 anni e mezzo di blog ho finalmente l’onore di un tuo commento in coppia con Marzia. E chi ha il coraggio di scrivere altro, dopo tanto onore ;-)
Si credo che la leggerezza sia la chiave di lettura più appropriata per analizzare questo film, ed, in generale, gli intenti formali e contenutistici, del lavoro della Pixar.
A presto.
Rob.