USA / Gran Bretagna
recensione in anteprima
analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
Tra remake e presunta profanazione gotica, ecco a voi, il blockbuster che difendiamo – a cura di Roberto Bernabò
Wolfman
titolo originale: The wolf man – L’uomo lupo
nazione: U.S.A. / Gran Bretagna
anno: 2010
regia: Joe Johnston
genere: Horror / Fantasy
durata: 125 min.
distribuzione: Universal Pictures
cast: Benicio Del Toro (Lawrence Talbot) • E. Blunt (Gwen Conliffe) • A. Hopkins (Sir John Talbot) • H. Weaving (Isp. Francis Abberline) • G. Chaplin (Maleva)
sceneggiatura: Andrew Kevin Walker, David Self, che hanno riscritto il film basandosi sulla sceneggiatura originale di Curt Siodmak (autore di quella dell’originale film del 1941)
musiche: P. Haslinger
fotografia: S. Johnson
montaggio: W. Murch • D. Virkler • M. Goldblatt
Sinossi: L’infanzia di Talbot è finita la morte in cui la madre è morta. Dopo aver lasciato il paesino addormentato Vittoriano di Blackmoor, ha passato decenni per riprendersi e cercare di dimenticare. Ma quando la fidanzata di suo fratello, Gwen Conliffe, lo rintraccia per chiedergli aiuto per cercare il suo perduto amore, Talbot ritorna a casa e si unisce alla ricerca. Scoprirà che qualcosa dotato di una forza bruta e di un’insaziabile sete di sangue sta uccidendo i paesani e che un sospettoso ispettore di Scotland Yard chiamato Aberline è venuto ad investigare.
Non voltarti mai indietro Lawrence, non voltarti mai … il passato è una landa desolata di orrori
Sir John Talbot
1. Introduzione – dedicato ai detrattori del film
Che io poi già me le immagino le reazioni scomposte a questo film.
Si griderà, anzi si urlerà, alla profanazione, al sacrilegio.
La Universal che usurpa e danneggia se stessa, ed il mostro sacro del primo film “The Wolf Man” (scritto separato), del maestro del genere George Waggner, anche lui americano, nato nel 1894, e, per gli appassionati della cabala, morto nel 1984. Autore di ben 10 episodi del serial televisivo americano di Batman (tra il 1966 ed il 1967).
Autore e regista tanto televisivo quanto cinematografico.
Figurarsi, vi sentirete dire, questo Joe Johnston alla fine chi è (?), e con quali credenziali si è assunto l’onere di terminare il film iniziato da Mark Romanek, anch’egli autore e regista sia televisivo (musicale per lo più) che cinematografico, specializzato nel genere horror, ma non solo, eccovi alcuni titoli:
- The Work of Director Mark Romanek (2005)
- From Janet. To Damita Jo: The Videos (2004) (V) (video “Got ‘Til It’s Gone”)
- Corporate Ghost (2004)
- Weezer: Video Capture Device – Treasures from the Vault 1991-2002 (2004) (V) (video “El Scorcho”)
- Red Hot Chili Peppers: Greatest Videos (2003) (V) (video “Can’t Stop”)
- Best of Bowie (2002) (V) (videos “Jump They Say” and “Black Tie White Noise”)
- One Hour Photo (2002)
- Morrissey: ¡Oye Esteban! (2000) (V) (video “The More you Ignore me, the Closer I Get”)
- Madonna: The Video Collection 93:99 (1999) (V) (videos “Rain” and “Bedtime Story”)
- Closure (1997) (V) (segments “Closer” and “The Perfect Drug”)
- Michael Jackson: HIStory on Film – Volume II (1997) (V) (video “Scream”)
- R.E.M. Parallel (1995) (V) (video “Strange Currencies”)
- MTV’s 10th Anniversary Special (1991) (TV)
- Static (1986)
Oppure che alcuni specifici filmici gotici, dell’opera prima, sarebbero stati – dal film fortemente voluto dal premio oscar Benicio del Toro, che lo ha anche prodotto oltre che interpretato – come dire … banalizzati, traditi, profanati, resi troppo accessibili, da questo remake del lungometraggio.
E’ ovvio che i detrattori dell’opera potrebbero continuare, per pagine e pagine, a parlarvi di come lo specifico filmico del genere sia, in qualche modo, inquinato da soluzioni faciloneristiche, come gli improvvisi innalzamenti dell’audio del film, e che il film che farebbe paura, a loro dire, sempre e solo grazie a simili espedienti.
O ancora che Benicio Del Toro non avrebbe le physique du rôle dell’uomo lupo (troppo magro, ed emaciato, e troppo poco ambiguo, nel suo modo di mettere in scena il personaggio di Lawrence Talbot), rispetto a Lon Chaney Jr. che lo interpretò nel film del 1941.
Eppure.
Eppure vi dico, invece, che, se è vero che certo gli esegeti ed i puristi del genere potranno anche storcere il naso, il film, a nostro giudizio, funziona per tutta una serie di motivi che tenteremo di argomentare in questo post.
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2. Benicio Del Toro versus genere horror licantropesco
La prima argomentazione, forse anche banale, è che Benicio del Toro è un premio Oscar, sulle cui capacità attoriali e professionali c’è davvero poco da discutere.
E’ un attore serio, capace, che ha sempre svolto delle scelte rigorose sugli esistenti da interpretare, senza mai strizzare l’occhio al compromesso.
Non esiste un film da lui interpretato, e da me visto in sala, in cui la sua resa non mi abbia convinto al 100%.
Se, ad un certo punto dei suo percorso artistico, ha deciso di rendere omaggio ad un genere, che lo ha da sempre affascinato sin da quando era bambino, e che, forse, ha svolto un ruolo determinante nella sua vita di attore … noi non possiamo che essere lieti di scoprire l’umiltà con cui, questo grandissimo attore, si è avvicinato al personaggio ed al genere.
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3. Una sceneggiatura fedele alla prima stesura originale
Qui si entra un po’ nel mio specifico, e, devo riconoscere, che sul piano narrativo, oltre ad una sostanziale e dichiarata, peraltro, ortodossia formale della sceneggiatura di Andrew Kevin Walker e di David Self, verso quella originale del 1941 di Curt Siodmak, l’impianto narrativo è riscritto in maniera direi perfetta.
3.1 Cenni sul film The Wolf Man del 1941
The Wolf Man, 1941 è sicuramente il film che ha creato il mito cinematografico del licantropo, l’ultimo degli “stra classici” della Universal, in un periodo già di decadenza per il genere. Il protagonista è Larry Talbot (Lon Chaney Jr.), che torna a casa nella villa di famiglia dopo la morte del fratello, dove è accolto con molta gioia dal padre Sir John (Claude Rains). Talbot s’invaghisce di Gwen (Evelyn Ankers), la bella figlia di un antiquario, ma una sera, quando tutto sembra andare per il verso giusto fra loro due, Larry deve soccorrere una ragazza aggredita da quello che sembra un lupo e viene morso dalla belva, che è lo zingaro licantropo Bela (Bela Lugosi, in un simbolico passaggio di consegne tra un mito classico e quello che avanza). Larry così è costretto a trasformarsi in un sanguinario mostro nelle notti di luna piena, e la sua vita si trasforma in un incubo.
Soggetto e sceneggiatura sono di Curt Siodmak, bravo autore di fantascienza e horror (e fratello del regista Robert Siodmak). Il film è di grande atmosfera e diretto con attenzione da George Waggner: ne esce una suggestiva favola che riprende i miti del folklore e li rende più attuali, umanizzando il mostro tanto da renderlo pieno di pathos e impossibile da odiare. Lon Chaney Jr. (1906-1973) si appropria del personaggio facendone un ritratto ben riuscito e toccante; interpreterà ancora Larry Talbot in ben altri quattro film della Universal: ‘Frankenstein contro l’Uomo Lupo‘ (Frankenstein meets the Wolf Man, 1943) di Roy William Neill, poi ‘Al di là del Mistero‘ (House of Frankenstein, 1944) e ‘La Casa degli Orrori‘ (House of Dracula, 1945), entrambi diretti da Erle C. Kenton, ed infine la parodia ‘Il Cervello di Frankenstein‘ (Abbott and Costello meet Frankenstein, 1948) diretta da Charles Barton.
Stupende le scenografie di Jack Atterson, debitrici dell’espressionismo tedesco, ma originali nel superarlo per modernità. Jack Pierce è invece colui che ha inventato il trucco dell’Uomo Lupo, che pur avendo poco di ‘licantropesco‘ è riuscito a creare una nuova originale icona del fantastico.
3.2 L’impianto narrativo
La progressione degli eventi, ad esempio, è assolutamente, non solo accattivante, ma direi addirittura ricca di suspence.
Anche se in questa ontologia di cinema tutto è, in qualche modo, già scritto e conosciuto, dobbiamo ammettere che gli svelamenti progressivi, i colpi di scena, le trame che costruiscono la drammaturgia degli eventi, ed al tempo stesso i climax narrativi, sia di genere, che di recitazione, sono incastrati in maniera assai più che accettabile, ed il film non risulta, in alcun momento, prevedibile, nemmeno allo spettatore più colto sul genere.
Senza dimenticare che si, ok, gli effetti speciali, e si, ok, qualche eccesso di audio alzato all’improvviso, non sono sufficienti a muovere l’accusa di sacrilegio verso il testo originale.
Siamo nel 2010, il cinema non è più quello del 1941, ma a parte questa scontata considerazione, direi che il film resti, nei fatti, tutto sommato, assai rispettoso della ontologia alla quale si rifà, ovviamente in chiave blockbuster.
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4. Le ambientazioni scenografiche originali
Uno dei pregi del film è proprio questa sorta di ricerca spasmodica di ambienti non ricostruiti scenograficamente, che credo sia davvero da segnalare come determinante, nell’impatto visivo dell’opera.
Nei titoli di coda della versione in lingua originale (che, in verità, consiglierei a tutti, per il perfetto inglese sia di Benicio Del Toro, anche se con un leggero accento americano, che di Anthony Hopkins), che ho visto a Roma, nella sede della Universal (mai luogo fu più appropriato), sono certo di avere letto che il castello dei Talbot, dove si svolgono molti degli eventi del film, è la vera tenuta di un duca inglese, di cui mi sfugge il nome, che ha prestato la residenza per le riprese sia di molti degli esterni che degli interni.
Solo quella residenza, ed il modo in cui è ripresa, in verità, meritano il prezzo di una visione in sala.
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5. Le rese attoriali
Sono tutte degne di nota.
Si va dal cameo di Geraldine Chaplin, una irrituale sciamana “Gipsy“.
Alle più che convincenti interpretazioni di un po’ tutti gli altri interpreti degli esistenti del film.
Dalla coppia protagonista dell’opera: Benicio del Toro alias Lawrence Talbot notevole a nostro modo di vedere, ed Emily Blunt alias Gwen Conliffe mai così dolce e soave.
Al perfido, algido ed anaffettivo (ed è dire poco), padre di Lawrence: Antony Hopkins alias Sir John Talbot, davvero sin troppo incredibile nella sua drammaturgia. Forse troppo, volendo proprio cercare delle pecche all’impianto degli esistenti. Che, guarda caso, proprio nella narrazione di questo personaggio, si distacca dalla sinossi originale dell’opera del 1941, per dare vista ad uno scontro padre figlio che sembra essere una delle cose forse più eccessive del remake, anche se l’interpretazione di Antony Hopkins rimane comunque straordinaria.
Arrivando all’ultimo esistente centrale della trama.
Hugo Weaving alias l’Ispettore Francis Abberline. Beffardo, ma nella ontologia, il suo destino.
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6. Conclusioni
In conclusione di questa analisi che altro dire, se non che certo non siamo difronte ad un film che ci cambierà la vita.
Che forse la dimensione spirituale ed arriverei a dire religiosa del limitatissimo genere licantropesco-gotico, è in parte, ammettiamolo, sacrificata a vantaggio di un’operazione più come dire …. divulgativa, che ha il sapore dell’ennesimo tentativo di rendere accessibile un genere, che, forse, ha il suo fascino nella poliedricità di temi sui quali l’intreccio si sviluppa.
E lunga sarebbe la teoria di argomenti per descrivere lo sviluppo del conflitto in questa specifica chiave di lettura del film.
Ma una critica di questo genere non avrebbe senso, in quanto non coglierebbe la prospettiva di un film che, infondo, non si rivolge, e mi ripeto, ai puristi del genere, ma che tenta un’operazione forse più commerciale, che si pone l’obiettivo di affascinare, verso questa ontologia del cinema, una gamma più ampia di pubblico, operazione che tentò, con tutt’altro approccio, anche John Landis, qualche anno fa, con il suo riuscitissimo “Un lupo mannaro americano a Londra“, ma che ritengo, comunque, realizzata con grande sapienza narrativa, e rispetto, verso il capolavoro al quale si rifà.
Una pellicola che ha dovuto superare tante difficoltà, e che ci arriva direi proprio grazie alla grande ostinazione del suo principale interprete: Benicio Del Toro, che ci è sempre piaciuto assai da queste parti, ed al quale auguriamo ogni bene.
Per i cinefili poi, e chiudo, infinite sono le citazioni, io ne ho annotate diverse … e se volete potete divertitivi a segnalarmi quelle che noterete voi, nello spazio commenti.
Il film esce nelle sale italiane il 19 febbraio 2010.
Alla prossima.