Intervista in anteprima al regista Jacques Audiard
a cura di Roberto Bernabò
Gran Premio della Giuria – Cannes 2009
Premio European Film Awards 2009 a Tahar Rahim
Candidato al Premio Oscar 2010 Come Miglior Film Straniero
Candidato a 13 Premi César 2010
Il Profeta
titolo originale: Un Prophète
nazione: Francia
anno: 2009
regia: Jacques Audiard
genere: Drammatico
durata: 149 min.
distribuzione: Bim Distribuzione
cast: T. Rahim (Malik El Djebena) • N. Arestrup (César Luciani) • A. Bencherif (Ryad) • A. Oumouzoune (prigioniero ribelle) • R. Kateb (Jordi lo zingaro) • H. Yacoubi (Reyeb) • J. Ricci (Vettorri) • S. Dazi (Lattrache)
sceneggiatura: J. Audiard • T. Bidegain
musiche: A. Desplat
fotografia: S. Fontaine
montaggio: J. Welfling
Sinossi: Condannato a sei anni di prigione, Malik El Djebena non sa né leggere né scrivere. Solo al mondo, appare più giovane e fragile degli altri detenuti. A prenderlo sotto la sua ala protettrice sono un gruppo di prigionieri corsi che gli insegnano tutti i trucchi per sopravvivere. Malik sfrutta, però, tutto quello che ha appreso a suo vantaggio facendosi amici i Musulmani, l’altro clan del carcere. Quando esplode una guerra tra i due gruppi Malik dovrà decidere da che parte stare.
CHIC FILMS, PAGE 114 E WHY NOT PRODUCTIONS
presentano
Il Profeta
un film di
JACQUES AUDIARD
Con
TAHAR RAHIM NIELS ARESTRUP
Una coproduzione
Why Not Productions / Chic Films / Page 114 / France 2 Cinéma / UGC Images
/ Bim Distribuzione / Celluloid Dreams
Con il supporto del Programma MEDIA dell’Unione Europea
Cast Tecnico
Regia | Jacques Audiard | |
Da un’idea di | Abdel Raouf Dafri | |
Sceneggiatura | Thomas Bidegai
Jacques Audiard |
|
Basato sul copione originale di | Abdel Raouf Dafri
Nicolas Peufaillit |
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Direttore della fotografia | Stéphane Fontaine (a.f.c) | |
Montaggio | Juliette Welfling | |
Musica originale | Alexandre Desplat | |
Direzione artistica | Michel Barthélemy (a.d.c) | |
Suono | Brigitte Taillandier
Francis Wargnier Jean-Paul Hurier Marc Doisne |
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Costumi | Virginie Montel | |
Casting | Richard Rousseau | |
Organizzazione generale | Martine Cassinelli | |
Collaboratore artistico | Thomas Bidegain | |
1° assistente alla regia | Serge Onteniente | |
2° assistente alla regia | Jean-Michel Correia | |
Segretaria di edizione | Nathalie Vierny | |
Trucco | Frédérique Ney | |
Parrucchiere | Pierre Chavialle | |
Fotografo di scena | Roger Arpajou | |
Post-produzione | Béatrice Mauduit | |
Trailer e pubblicità | SoniaToutCourt | |
Grafica | Rageman | |
Vendite internazionali | Celluloid Dreams | |
Una coproduzione di
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Why Not Productions
Chic Films Page 114 France 2 Cinéma UGC Image Bim
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Con la partecipazione di | Canal + / CinéCinéma
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Con il sostegno di
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La Région Ile-de-France e La Région Provence Alpes-Cote d’Azur
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In collaborazione con | CNC
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In associazione con | Sofica UGC 1 Sofica Socicinéma 4 Sofica Soficinéma 5 | |
Con la partecipazione di | France 2
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Distribuzione e vendite internazionali | Celluloid Dreams
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Distribuzione italiana
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BIM DISTRIBUZIONE
Via Marianna Dionigi 57 00193 ROMA Tel. 06-3231057 Fax 06-3211984 www.bimfilm.com |
Cast Artistico
Malik El Djebena | Tahar Rahim | |
César Luciani | Niels Arestrup | |
Ryad | Adel Bencherif | |
Jordi lo zingaro | Reda Kateb | |
Reyeb | Hichem Yacoubi | |
Vettorri | Jean-Philippe Ricci | |
Prof | Gilles Cohen | |
Pilicci | Antoine Basler | |
Djamila | Leïla Bekhti | |
Sampierro | Pierre Leccia | |
Antaro | Foued Nassah | |
Santi | Jean-Emmanuel Pagni | |
Direttore del carcere | Frédéric Graziani | |
Lattrache | Slimane Da |
Intervista a Jaques Audiard
Durante la conferenza stampa a Cannes, Lei ha accennato all’ironia presente nel titolo di IL PROFETA.
L’ironia è un elemento concreto anche se non evidente. Ad esempio il film avrebbe potuto anche chiamarsi LITTLE BIG MAN. Il titolo è un’allusione, costringe a capire qualcosa che non viene necessariamente sviluppata nel film, e cioè che il nostro protagonista è un piccolo profeta, un nuovo prototipo di uomo.
Inizialmente volevo trovare l’equivalente francese di una canzone di Bob Dylan intitolata “You Gotta Serve Somebody”, secondo la quale tutti noi siamo sempre al servizio di qualcun altro. Mi piaceva il fatalismo e la dimensione morale di questo titolo ma non sono riuscito a trovare una traduzione soddisfacente e quindi il film è rimasto IL PROFETA.
Come mai ha scelto di raccontare questa storia?
Io e Thomas Bidegain, con cui ho scritto il film, eravamo interessati a sviluppare il soggetto di Abdel Raouf Dafri e Nicolas Peufaillit in una storia cinematografica. Volevamo trovare il modo di rendere Il Profeta contemporaneo, creando eroi che nessuno conosce, scritturando attori che non fossero già icone del grande schermo, come gli arabi ad esempio. In Francia si tende a rappresentarli sempre in modo realistico o sociologico. Noi invece volevamo creare un film puramente di genere, un po’ alla maniera di un western che racconta le gesta eroiche di persone comuni.
Cosa l’ha spinta a scritturare Tahar Rahim con la sua faccia d’angelo nel ruolo di Malik El Djebena ?
Sono sempre stato attratto da prototipi maschili non necessariamente caratterizzati dal testosterone.
Potrei tracciare un parallelo fra Matthieu Kassovitz, con cui ho lavorato diverse volte, e Tahar Rahim. Non perché l’uno mi ricordi per forza l’altro, ma perché entrambi sono due tipi di uomo che colpiscono la mia attenzione.
E’ stato anche un modo per consentire allo spettatore di identificarsi con il personaggio?
Ho dei problemi a proiettare l’identificazione al di fuori di me, ma certamente, c’era anche questo desiderio. L’ho trovato più adatto, rispetto al solito cliché del film ambientato in prigione, popolato da uomini super virili. I detenuti del mio film non hanno muscoli, non sono neanche granché adatti a quell’ambiente ma paradossalmente riescono a sviluppare quelle qualità che permettono loro di emergere e dominare sugli altri.
Attraverso il personaggio di Malik, il film trasmette l’idea che la conoscenza e il know-how siano un modo per conquistare il potere.
Si, ed è proprio questo, secondo me, l’elemento più interessante. Malik rompe gli schemi, non è il solito hooligan. Il film segue soprattutto il suo percorso mentale, una mente che lavora e che mostra una straordinaria capacità di adattamento, che il personaggio sfrutterà in ogni modo: all’inizio per salvarsi la pelle, poi per sopravvivere e migliorare la sua condizione e infine per raggiungere un livello superiore di potere.
Questa dimensione del film ricorda un altro dei Suoi personaggi, Dehousse in UN HÉROS TRÈS DISCRET.
Infatti. Si potrebbe dire che questi personaggi sono il frutto di un certo tipo di background.
L’idea è quella di presentare queste persone nella condizione peggiore in cui un essere umano possa trovarsi, e poi di offrire loro una possibilità, l’occasione di costruirsi una personalità eroica. La storia di Il Profeta racconta come qualcuno riesca a raggiungere una posizione di potere che non avrebbe mai ottenuto se non fosse andato in prigione. E qui sta il paradosso.
In che modo ha trasformato Malik in un eroe?
In parte ho attinto all’immagine dell’arabo al cinema, che viene rappresentato come uno stupido – e in questo caso spesso è anche un terrorista – o semplicemente come la vittima di un contesto sociale rappresentato realisticamente. Partendo da questi stereotipi, mi sono posto il problema della scelta degli attori. Per il ruolo di Malik avevo bisogno di una persona estremamente versatile che incarnasse perfettamente il tema dell’identità presente nel film. Un uomo giovane, senza storia, che però ne scriverà una davanti ai nostri occhi. Fin dall’inizio sapevamo che questo ruolo non poteva essere recitato da un attore conosciuto, proprio perché è la storia di qualcuno che sale al potere, e che gradualmente acquista visibilità.
C’è anche un Suo desiderio di svincolarsi dalle categorie create dal cinema francese?
Va da sé con il progetto. Non vanto una lunga filmografia, ho diretto solo cinque film. Ho lavorato con Matthieu Kassovitz, Vincent Cassel, Romain Duris, e altri attori dal talento formidabile ma dopo DE BATTRE MON COEUR S’EST ARRETE’ (Tutti i battiti del mio cuore), volevo collaborare con attori sconosciuti. Quest’idea riflette la mia convinzione che il cinema debba avere un forte connotato sociale e che la sua funzione sia quella di raccontare il mondo reale. La mia non è una polemica, bensì il mio modo di creare finzione con una parvenza di realtà.
Penso che in Francia oggigiorno il cinema sia troppo limitato da questo punto di vista. Non so di quale realtà parli il cinema francese. Abbiamo cercato di stravolgere la comune idea di casting, anche per riflettere i grandi cambiamenti che hanno luogo nel mondo, che necessita di nuove figure eroiche. E’ necessario costruire nuove mitologie con nuovi volti e nuovi percorsi.
Malik sembra aver sviluppato un rapporto distaccato e opportunistico con la sua identità.
I corsi lo considerano un arabo e gli arabi un corso. E’ diviso fra due mondi, anche se tende naturalmente verso la sua comunità, dove scopre ciò che ignorava. Perché in realtà non appartiene a niente e a nessuno.
Può parlarci del fantasma che accompagna Malik e che ispira le sue visioni mistiche?
Il film ha dei momenti di fantasia ma non ha alcuna intenzione di essere mistico. Il fantasma di Reyeb è funzionale agli sceneggiatori perché offre delle possibilità, conducendo lo spettatore verso un altro livello di immaginazione, che lo aiuta a liberarsi da ciò che è stato appena raccontato. Attraverso il fantasma evochiamo le idee dei sufi e dei dervisci e la sceneggiatura acquista un’altra dimensione.
Il cinema d’oggi tende verso eroi più oscuri, esistenze danneggiate. Anche in IL PROFETA la personalità ‘maledetta’ viene condotta verso una sorta di redenzione.
Si, con strumenti che generalmente non sono raccomandabili. Anche per gli anti-eroi esistono gli stereotipi. Ma questi metodi non mi interessano granché. Per quanto mi riguarda, voglio che il mio eroe impari qualcosa e la metta a frutto. Trovo che il cinema abbia questa funzione: guardare al reale per insegnare a vivere. Forse la lezione che Malik dovrà imparare è paradossale ma è proprio questo che mi interessa.
In ogni caso bisogna imparare qualcosa …
Bisogna imparare, prestare attenzione, non aprire mai bocca, essere riservati e soprattutto non ripetere lo stesso errore due volte perché potrebbe essere fatale.
Secondo Lei IL PROFETA è un film morale?
Si, sarebbe stato immorale creare un personaggio senza coscienza. Tuttavia il protagonista conosce sia il bene che il male perché di male ne ha subito parecchio.
Come spiega l’indecifrabile sorriso di Mailk al momento della sparatoria?
Malik improvvisamente ha la sensazione di trovarsi in un film e questo lo fa sentire invulnerabile come un personaggio fittizio, mentre gli altri a un certo punto giungono a un punto morto. Malik è una persona che, al posto di restare schiacciato dal peso delle sue vicissitudini, diventa sempre più leggero e gradualmente riuscirà a diventare libero.
La prigione è una metafora?
E’ evidente che i film di genere si presentano sempre come una metafora. Il personaggio viene incarcerato per servire una lunga pena, e in prigione capirà ciò che gli servirà dopo, all’esterno, arrivando pertanto a tracciare una liaison fra i due universi.
Lei definisce il personaggio di Cesar – interpretato da Niels Arestrup – come un “re senza distrazioni”.
Mi riferisco al personaggio di Giono. Un re, un orco che alla fine della sua strada regnerà su una tribù di ragni.
Il personaggio di Cesar ricorda un archetipo quasi mitico.
E’ vero ma non volevamo essere troppo letterari. Niels Arestrup nel ruolo di un padrino corso è alquanto improbabile ed è proprio per questo che il film diventa così interessante.
Come caratterizzerebbe il suo particolare rapporto con Malik?
Nello scrivere il copione volevamo sottolineare l’idea di padre e figlio per riflettere il rapporto fra padrone e schiavo. Cesar non è il padre di Malik ma lo tiene in suo potere, è duro con lui e non mostra alcuna tenerezza paterna nei suoi confronti. Non c’è sentimento di amicizia o di affetto fra loro, si tratta unicamente di un rapporto di controllo.
Gli altri Suoi film sono grandi storie d’amore mentre IL PROFETA ne è privo in modo quasi brutale. Perché?
Il tutto è legato a Malik, a ciò che gli facciamo fare. Malik è una persona che arriva dal nulla, non c’è tempo per costruire una storia d’amore. E’ per questa ragione che alla fine del film, suggeriamo un suo legame con Djamila. Dato che la sua vita è stata ‘amputata’ dal periodo che ha trascorso in prigione, Malik prende la vita di qualcun altro che gli corrisponde. In fondo, restare accanto a Djamila è il suo più grande desiderio. E’ una decisione che gli regala pace e serenità e probabilmente sarà un ottimo padre.
La fine del film suggerisce che ci potrebbe essere un sequel.
E’ vero. Il finale ci induce a farci domande sul destino di Malik con questa donna, questo bambino e la vita che lo aspetta. Specialmente dal momento che Malik è un hooligan che odia gli hooligan, perché li trova inaffidabili, stupidi e pericolosi. Il suo punto di vista è molto critico. Non tollera accessori vistosi o evidenti manifestazioni di vandalismo.
Se ci fosse un sequel, di cosa parlerebbe?
Mi piacerebbe vedere Malik che continua a sviluppare le sue qualità e osservarlo mentre impara. Un po’ come in DE BATTRE MON COEUR S’EST ARRETE’ (Tutti i battiti del mio cuore), in cui il protagonista vuole diventare un pianista. E’ come Malik, lo lasciamo con l’impressione che lo attenda un futuro interessante …
Abbiamo la sensazione che una delle Sue qualità come regista sia quella di creare le condizioni ideali per fare un film: si occupa della scrittura, del casting, e delle riprese.
Questa affermazione presuppone che io sia presuntuoso in qualche modo, ma in realtà non è così. Solo le società di produzione come Why Not riescono a far coincidere l’oggetto con lo strumento. Altrove sarebbe complicato per me. Dirigere un film è difficile, è un lavoro pesante, ma è l’unico mestiere che conosco. Credo che la gente veda in me delle qualità che non necessariamente possiedo. Chi mi circonda ha fiducia in me e mi incoraggia ad andare avanti. Ho impiegato molto tempo a scrivere, a metabolizzare la mia storia, mettendola in discussione, addirittura dubitando del soggetto stesso, svolgendo ricerche e immergendomi in un vero progetto cinematografico, con una lunga fase preparatoria; tutto questo mi ha fatto entrare completamente nel film. Subito dopo però bisogna riuscire a trasmettere agli altri il mondo in cui il film è ambientato e questa è una fase molto importante. Il cinema è un processo collettivo in cui tante persone insieme realizzano un progetto creativo. L’unica cosa che so è ciò di cui un film ha bisogno per brillare. Qualche volta il lavoro d’equipe non funziona e può generare momenti di solitudine e di dubbio. Ci sono momenti in cui non si sa più cosa ha senso o meno. E’ per questa ragione che sono felice e grato per il sostegno ricevuto dalle persone che hanno lavorato con me.
In questo film si è sentito costretto in qualche modo dal budget?
Ho sentito la pressione a vari livelli, in questo film! Con una sceneggiatura così densa, sapevamo che sarebbe stato un lavoro lungo e faticoso, infatti il film dura ben 2 ore e trenta minuti. Inoltre era impossibile girare nei luoghi naturali quindi abbiamo dovuto costruire una prigione, una decisione forzata che ci ha distanziato un po’ dal realismo. Poi abbiamo dovuto popolare la prigione, farla vivere, e questo comporta un considerevole numero di persone da gestire quotidianamente sul set. A quel punto la prigione stessa era diventata un personaggio, con un ruolo importante da interpretare. Come regista devi lavorare anche a ritroso e creare un background per gli attori. Soprattutto in questo ho avvertito la costrizione di dover girare in un tale ambiente.
Lei è consapevole che IL PROFETA è un film ancorato nella cultura popolare?
Si, era questa la mia intenzione. Il nostro obiettivo era fare un anti SCARFACE. Secondo me i nevrotici sono dei cretini e non possono diventare oggetti di identificazione.
L’ascesa al potere di una persona assolutamente folle non mi interessa affatto.
D’altro canto, un film come L’HAINE (L’odio) di Matthieu Kassovitz, tocca delle corde a cui sono molto sensibile. Non è un caso che Il Profeta occasionalmente tratti gli stessi temi. Questi due film sono simili nel denunciare che nel cinema manca qualcosa.
Lei è generalmente considerato un regista molto bravo nel dirigere gli attori. Come ha affrontato questo aspetto del suo lavoro?
Insieme agli attori ho cercato di esplorare profondamente i loro personaggi, ma se gli comunichi le tue paure e le tue preoccupazioni, gli attori non riescono più a esprimere pienamente il loro talento. Bisogna stargli vicino, sperimentare con loro la sorpresa, il dubbio e lo spavento… ma se le cose diventano scontate allora è come dormire.
Cosa si aspetta Lei da un attore?
Quello che cerco in un attore è proprio la sorpresa. Che sia capace di creare qualcosa che non mi aspettavo. Anche gli attori desiderano lo stesso, e cioè essere condotti, da me, verso luoghi che non conoscono.
Rispetto ai Suoi primi film, il Suo cinema sembra essersi liberato delle costrizioni di una inquadratura più tradizionale.
Sicuramente prima ricorrevo a un metodo di lavoro più geometrico e meccanico. Pensavo sempre all’aspetto tecnico prima di iniziare le riprese. Ma dopo SUR MES LEVRES (Sulle mie labbra) ho iniziato a fare il contrario. Nonostante l’importanza dell’aspetto tecnico, ciò che conta soprattutto è l’attore.
In tutti i Suoi film c’è un punto in cui l’immagine è totalmente oscurata per far risaltare un unico dettaglio.
Si, è un piccolo effetto che chiamo ‘La Mano Negra’, che ho iniziato ad utilizzare nei miei primi film in super 8 e che ora uso su larga scala; è un effetto speciale piuttosto costoso. Infatti, spesso trovo che ci siano troppe immagini, troppe luci, troppo ‘campo’, che l’inquadratura sia troppo aperta e che abbia bisogno di essere ridotta. Si tratta di un rapporto assolutamente feticista che ho con le immagini. Sono sempre affascinato dai film muti che ci arrivano dopo generazioni di immagini inter-positive e inter-negative. Sembrano emergere da un mondo lontanissimo.
La considera una sorta di firma personale?
No e smetterei di ricorrere a questo metodo se diventasse tale. Secondo me bisogna interrompere il legame tra film e strumenti chimici. E’ un rapporto troppo feticista che può risultare limitante. Non credo che sia un buon metodo per osservare il mondo.
E’ qualcosa che possiamo solo immaginare in cinemascope.
Ho provato molti metodi diversi per questo film. HD, 16mm, cineprese ultraleggere e tante altre cose che però non mi hanno convinto. Certamente ho pensato al cinemascope ma non ho abbracciato l’idea perché ‘scope’ presuppone una eccessiva definizione. Ho pensato che dopo due settimane mi sarei stancato perché la storia e la scenografia stavano creando dei veri anticorpi in me … Ho anche provato altri ‘stili’ ma mi sono reso conto che non avrebbero mai funzionato. Alla fine è stato il film a dettare la sua estetica, un’estetica molto ben definita.
Vorrebbe girare più spesso?
Si. Quando va tutto bene faccio un film ogni 3-4 anni. Vorrei girare di più perché questo risolverebbe molti problemi, in particolar modo la paura. Sono troppo apprensivo, impiego troppo a scrivere. Ci abbiamo messo tre anni per scrivere questo copione, troppo tempo.
Non vuole scrivere più?
No, ne sono certo, non posso più farlo. Ci sono tanti temi che mi interessano ma che poi non riesco a mettere a fuoco. Sul set, il copione alla fine mi annoia, ho l’impressione di conoscerlo a memoria e inizio a dubitare di me stesso. Voglio che la prossima volta le cose vadano diversamente. Una sera durante le riprese, la segretaria di edizione e mi ha detto ‘Devi smettere di dubitare del copione’, implicando che stavo perdendo solo tempo. Sono certo che se non fossi così coinvolto in ogni fase del copione, e se girassi più spesso, mi sentirei molto più libero.
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Il film è in uscita nelle sale italiane dal 19 marzo 2010.
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FILMOGRAFIA di JACQUES AUDIARD
2009: IL PROFETA (Un Prophète)
2004: TUTTI I BATTITI DEL MIO CUORE (De battre mon cœur s’est arrêté)
2001: SULLE MIE LABBRA (Sur mes lèvres)
1996: UN HÉROS TRÈS DISCRET
1994: REGARDE LES HOMMES TOMBER
Gli attori
Tahar Rahim
Malik El Djebena
Tahar Rahim ha esordito nel 2005 nel documentario di Cyril Mennegun TAHAR THE STUDENT; in seguito ha recitato per la prima volta al cinema in A L’INTERIEUR di Alexandre Bustillo e Julien Maury.
Jacques Audiard lo ha notato nella serie televisiva trasmessa su Canal+ dal titolo LA COMMUNE per la regia di Philippe Triboit. Ha deciso di offrire a Malim El Djebena il ruolo di IL PROFETA dopo mesi di casting e di prove.
NIELS ARESTRUP
César Luciani
Dopo TUTTI I BATTITI DEL MIO CUORE (De battre mon coeur s’est arreté) che gli è valso il César Award per il Miglior Ruolo Non Protagonista, Niels Arestrup e Jacques Audiard hanno lavorato insieme per la seconda volta in IL PROPHET.
Autore di Cinéma
2007: L’EFFACEMENT
2006: LE CANDIDAT
Autore di Teatro
2008: LE TEMPS DES CERISES (Francia, Belgio, Svizzera)
LE TEMPS DES CERISES diretto da Stéphane Hillel
Regista di cinema
2006: LE CANDIDAT
Regista di teatro
2008: BEYROUTH HÔTEL di Rémi De Vos
Attore cinematografico
Lungometraggi
2008: FAREWELL diretto da Christian Carion
UN PROPHÈTE diretto da Jacques AUDIARD
2007: BOURNE ULTIMATUM diretto da Paul Greengrass
LE SCAPHANDRE ET LE PAPILLON diretto da Julian Schnabel
2006: LE CANDIDAT diretto da Niels Arestrup
2005: LES FRAGMENTS D’ANTONIN diretto da Gabriel Le Bomin
DE BATTRE MON COEUR S’EST ARRÊTÉ diretto da Jacques AUDIARD
2004: LA PART ANIMALE diretto da Sébastien Jaudeau
2002: PARLEZ MOI D’AMOUR diretto da Sophie Marceau
UNE AFFAIRE PRIVÉE diretto da Guillaume Nicloux
2000: LE PIQUE NIQUE DE LULU KREUTZ diretto da Didier Martiny
1998: REWIND diretto da Fabrice Rivail
1994: DÉLIT MINEUR diretto da Francis Girod
1991: LA TENTATION diretto da Ivan Szabo
1988: DOUX AMER diretto da Franck Apprederis
VILLE ÉTRANGÈRE diretto da Didier Goldschmitt
1987: BARBE BLEUE diretto da Fabio Carpi
CHARLIE DINGO diretto da Gilles Behat
LA RUMBA diretto da Roger Hanin
1985: LES LOUPS ENTRE EUX diretto da José Giovanni
DIESEL diretto da Robert Kramer
SIGNÉ CHARLOTTE diretto da Caroline Huppert
1984: LE FUTUR EST FEMME diretto da Marco Ferreri
1980: U BLUES PLEIN LA TÊTE diretto da Hervé Palud
SEULS diretto da Francis Reusser
LA FEMME FLIC diretto da Yves Boisset
1979: LA DÉROBADE diretto da Daniel Duval
1978: LA CHANSON DE ROLAND diretto da Franck Cassenti
1977: LES APPRENTIS SORCIERS diretto da Edgardo Cozarinsky
PLUS CA VA MOINS CA VA diretto da Michel Vianey
1976: LE GRAND SOIR diretto da Francis Reusser
SI C’ÉTAIT Á REFAIRE diretto da Claude Lelouch
DEMAIN LES MOMES diretto da Jean Pourtale
LUMIÉRE diretto da Jeanne Moreau
1974: JE, TU, IL, ELLE diretto da Chantal Ackerman
MISS O’GYNIE ET LES HOMMES FLEURS diretto da Samy Pavel
L’AFFAIRE STAVISKY diretto da Alain Resnais
Cortometraggi
1986: LE GOÛTER CHEZ NIELS diretto da Didier Martiny
1979: LA PASSION D’UNE FEMME SANS COEUR diretto da Moïse Maatouk
Interprete teatrale
2009: EN ATTENDANT GODOT di Samuel Beckett – regia di Hans Peter Cloos
2008: BEYROUTH HÔTEL di Rémi De Vos – regia di Niels Arestrup
2006-2007: EVA di Nicolas Bedos – regia di Daniel Colas
LETTRES À UN JEUNE POÈTE di Rainer-Maria Rilke – adattamento di Rainer Biemel – regia di Niels Arestrup
2005: LETTRES À UN JEUNE POÈTE di Rainer-Maria Rilke – adattamento di Rainer Biemel – regia di Niels Arestrup
2004: QUARTETT di Heiner Müller – regia di Hans Peter Cloos
2003: L’HOMME, LA BÊTE ET LA VERTU di Luigi Pirandello – regia di Jean-Claude Idée
1984: MADEMOISELLE JULIE – regia di Andréas Voutsinas
MARIE BLANCHE di M. Bashkirtseff – regia di Niels Arestrup
COPENHAGUE di M. Frayn Adap. J.-M. Besset – regia di Michaël Blakemore
QUI A PEUR DE VIRGINIA WOOLF ? di E. Albec – regia di John Berry
LA MUSICA DEUXIÈME di M. DURAS – regia di Bernard Murat
LETTRES A UN JEUNE POÈTE di R-M. Rilke – regia di Niels Arestrup
ÉCRITS SUR L’EAU – regia di Niels Arestrup
LE MISANTHROPE di Molière – regia di Pierre Pradinas
SADE, CONCERT D’ENFERS di Enzo Cormann – regia di Philippe Adrien
LA MOUETTE di Anton Tchekhov – regia di Andreï Konchalovsky
LES TROIS SOEURS di Anton Tchekhov – regia di Maurice Benichou
LE RADEAU DE LA MORT – regia di Hans-Peter Cloos
B 29 – regia di Berek GOLBY
FOOL FOR LOVE – regia di Andréas Voutsinas
DOM JUAN – regia di Maurice Bénichou
LA DERNIÈRE NUIT DE L’ÉTÉ – regia di Yves Bureau
LA CERISAIE – regia di Peter Brook
L’AMANT di Harold PINTER – regia di Philippe Ferran
PLATONOV – regia di Gabriel Garran
HAUTE SURVEILLANCE – regia di Claude Mathieu
THE FAMILY – regia di Berek Golby
GILLES DE RAIS – regia di Roger Planchon
HÔTELS BALTIMORE – regia di Alexandre Arcady
CRIME ET CHÂTIMENT – regia di André Barsacq
2000: FERNANDO KRAPP M’A ECRIT CETTE LETTRE – regia di Bernard Murat
Adel Bencherif
Ryad
Cinema
IL PROFETA – Jacques Audiard
(Un Prophète)
GO FAST – Olivier Van Hoofstadt
FRONTIÈRES – Xavier Gens
ANDALUCIA – Alain Gomis
CAGES – Olivier Masset – Depasse
PARIS JE T’AIME – Olivier Schmitz
(19ème arrondissement)
ZE FILM – Guy Jacques
GRANDE ÉCOLE – Robert Salis
Televisione
LES INTOUCHABLES – Patrick Dewolf
LES LIENS DU SANG – Régis Musset
DJIHAD – Olivier Félix
PRÉJUDICES – Frédéric Berthe
NUIT NOIRE – Alain Tasma
LA CRIM’ – Vincent Monnet
ACTION JUSTICE – Alain Nahum
SAMI LE PION – Olivier Guignard
Cortometraggi
SAFYA ET SARAH – Caroline Fourest
KOURTRAJME – Kim Chapiron
Reda Kateb
Jordi lo zingaro
Cinema
UN PROPHÈTE – Jacques Audiard
QU’UN SEUL TIENNE LES AUTRES SUIVRONT – Léa Fehner
Televisione
ENGRENAGES – Gilles Bannier
208 – Karim Aliane e Gilles François
(Pilota di una serie in 27 puntate)
KD2A – Ospite
Cortometraggi
NIF: Laurent Bounhik
CHICOTS: Ulysse Maj
Teatro
PAR LES VILLAGES de Peter HANDKE – regia di Olivier Werner
LES CHIENS NOUS DRESSERONT di Godefroy SÉGAL – regia di Godefroy Ségal
MERLIN OU LA TERRE DÉVASTÉE di Tankred DORST– regia di Jorge Lavelli
Théâtre du CHAOS Sara VEYRON
Theatro interattivo con pièces di Georges DE CAGLIARI – Rappresentazioni presso i licei, le prigioni, le associazioni, i teatri 2003/2004
LE POËTE ENCERCLÉ di Kateb YACINE – adattamento e regia di Reda Kateb
GEORGES DANDIN di Molière, regia di Olivier Baucheron.
ABDU RIMB di Serge Rivron – regia di Emmanuel Depoix Rôle
MOHA LE FOU MOHA LE SAGE di Tahar BEN JELLOUN, adattamento e regia di Malek Kateb
Hichem Yacoubi
Reyeb
Cinema
IL PROFETA (Un Prophète) – Jacques Audiard
MUNICH – Steven Spielberg
UNE COULEUR CAFÉ – Henri Duparc
SEPT JOURS DE MALHEUR – Gaël Morel
Televisione
L’AFFAIRE BEN BARKA – Jean-Pierre Sinapi
NAVARRO – Patrick Jamain
ENGUERRAND – Bernard Dumont
ORCHESTRE OU BALCON – Frédéric Demond
Cortometraggi
LES ORANGES DE BELLEVILLE – Léandre-Alain Baker
CHEZ LULU – Robert Sitbon
UN ENFANT SANS TÊTE – Olivier Hemon et Malika Saci
UN PLAN SIMPLE – Al Hadi Ulad Mohand
ALLEGRO – Marina Trucchi
DESORMAIS – Daniel Kupferstein
BARBEROUSSE “PAS DE CHANCE” – Mounir Bekka
LA BLANCHE – Jean-Marc Phan
Teatro
L’ILE AUX ESCLAVES – di Marivaux
TITUS ANDRONICUS – di Shakespeare
PAS DE DEUX – di Emmanuel Dupuis
LES LARMES DE FATMA – A travers le sourire de la Joconde de Youcef Hamid
Didon et Enee
Hichem Yacoubi ha inoltre frequentato un corso di danza classica e moderna.
Ha preso parte a numerosi spettacoli di danza fra cui:
NI ANGE NI BÊTE (opera/balletto) – Laura Vega Orfeo
MILLE ET UN SOLEIL (commedia musicale)