cinemavistodame.com di Roberto Bernabò

Nord – di Rune Denstad Langlo

Norvegia – 2009

analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo

Le direzioni improvvise, sbagliate, giuste, e travagliate del filosofico snow road movie del promettente regista norvegese Rune Denstad Langlo – a cura di Roberto Bernabò

Nord

titolo originale: Nord … aka North (Europe: English title: festival title) (International: English title)
nazione: Norvegia
anno: 2009
regia: Rune Denstad Langlo
genere: Drammatico
durata: 78 min.
distribuzione: Sacher Distribuzione
cast: A. Baasmo Christiansen (Jomar Henriksen) • T. Almenning (giocatore tennistavolo) • M. Aunemo (Lotte)
sceneggiatura: E. Loe
musiche: O. Kvernberg
fotografia: P. Ogaard
montaggio: Z. Stojevska

Sinossi: Dopo un esaurimento nervoso, lo sciatore professionista Jomar decide di ritirarsi in un’esistenza solitaria come guardia di un parco sciistico. Quando scopre che potrebbe essere il padre di un bambino nato nell’estremo Nord del paese, inizia un viaggio attraverso la Norvegia su una motoslitta, con cinque litri d’alcol come unica provvista. Durante il tragitto attraverso paesaggi artici, Jomar sembra fare il possibile per non arrivare a destinazione.

“La vita è spesso dura, quasi sempre … ma non per sempre”
Jomar Henriksen

Vecchio: “Oltre 60 anni ci separano, ed in 60 anni si può rimediare a molti errori”
Jomar: “Ma se ne possono commettere degli altri”
Vecchio: “Si può rimediare anche a quelli”

Dialogo tra Jomar Henriksen ed un vecchio in una tenda

1. Introduzione – dedicato a chi è in cerca di se stesso

Ci sono delle pellicole che all’inizio … mentre le guardi pensi … chissà il regista dove vuole andare a parare. (?)

Sono pellicole strane, che ti colpiscono, che fanno fatica a narrarsi, perchè il ritmo è ricercatamente lento, ma, anche, perchè le scelte di struttura narrativa sono ardue, sperimentali.

Gli eventi della storia si dipanano in modi a te non del tutto chiari. Rifletti, non ancora entrato nel film, e pensi … adesso vedrai che, piano piano, mi lascerò cadere anche dentro questa storia strana.

Poi capisci che non è quello il problema, e che, forse, ti stai imbattendo con qualcosa che vale la pena essere compreso meglio.

In questo post tenterò, pertanto, di restituirvi, con il mio solito rigore, ma anche con la mia solita mente sconclusionata, un’analisi di questo film, che, personalmente, avrei anche valutato con 5 stelle, ma sarei stato preso, proprio come gli esistenti del film, e paradossalmente è proprio per questa ragione che le assegno 3 stars virgola cinque, che comunque è un ottimo voto da queste parti, un po’ pazzo.

In particolare – a parte la strana sensazione che ho provato durante una delle sequenze iniziali del film (quando cioè Jomar si pianta con la sua moto-slitta nella neve ed inizia ad urlare parolacce), nella quale il film mi ha riportato alla memoria un’altra sequenza, del tutto simile, anche se accadeva a Jack Nicholson nel deserto, in “Professione: reporter – di Michelangelo Antonioni, pellicola che rappresenta, per tutta una serie di motivi, credo, la vera nascita del mio interesse per il cinema d’autore, e del quale vi lascio in un rarissimo trailer in inglese (la clip della Jeep inizia al minuto 1,33 e Jack Nicholson urla, semi disperato, per il suo insabbiamento) – il film credo sia da ascrivere un genere di difficile catalogazione. Drammatico, si certo, per molti versi, ma io direi soprattutto filosofico.

Nella più pura accezione del termine.

Si, insomma, in quanto tenta, in maniera assai particolare, di affrontare e di risolvere, con un mood molto originale, peraltro, le più classiche e radicali questioni filosofiche.

Chi siamo?

Da dove veniamo?

Dove andiamo?

Cos’è la vita?

Cos’è la morte?

… etc.

Ovviamente il tutto filtrato nelle atmosfere nordiche, e per noi forse un po’ più difficili da comprendere, di primo acchito, del cinema norvegese di questo regista – Rune Denstad Langlo (che ha esordito nel 2005 con il film Alt for Norge – 2005 – dal quale è stata anche tratta una mini serie TV con il medesimo titolo), e che, va detto, con questa pellicola, si è aggiudicato bene 5 award e 4 nominations di cui ben due al cinquatanovesimo Festival di Berlino.

Il film è stato anche premiato all’ultimo Torino Film Festival.

Rune Denstad Langlo, ha lavorato per dieci anni come regista e produttore nell’ambito del documentario. Ha cominciato la sua carriera per la società di produzione Motlys come assistente di produzione e ricercatore per documentari storici sull’esploratore norvegese Roald Amundsen. Ha diretto i film documentari Too much Norway (2005) e 99% Honest (2008), entrambe usciti in sala con un buon successo di critica. Tramite il documentario, Rune ha dimostrato la sua grande abilità di narratore, nonché il suo approccio caldo e originale a quei personaggi che ha poi portato con sé nel suo primo film.

§§§

2. Circa gli eventi e gli esistenti

Potrei sostenere, per semplificare questo paragrafo, che gli eventi e gli esistenti di questa particolarissima pellicola, si muovono attraverso la combinazione di tre differenti strategie narrative.

Che maggiormente incidono sullo specifico filmico del regista norvegese che, dopo una decennale attività come documentarista, esordisce con questo lungometraggio, che è approdato al Festival di Torino, dopo avere già vinto il premio per la miglior regia al Tribeca Film Festival 2009, ed il premio internazionale della critica FIPRESCI a Berlino 59.

Più, sicuramente, una quarta, forse più tradizionale.

Le prime tre le definiremo:

  1. Direzioni improvvise
  2. Direzioni giuste
  3. Direzioni sbagliate

La quarta la definiremo:

4. Viaggio dal mondo conosciuto verso il mondo sconosciuto

§§§

2.1 Direzioni improvvise

Sia l’evento dinamico – quello cioè che da l’inizio all’avventura di Jomar Henriksen (una scazzottata con il suo migliore amico che comprenderemo nell’intreccio ha un rapporto con la ex compagna di Jomar che soffre di crisi di panico), dopo la quale, in un momento di apparente avvicinamento, questi gli confessa che lui, Jomar, è il padre di una bambina di 4 anni – che molti altri, appaiono all’improvviso, senza, cioè una ragione scatenante che possa essere, in qualche modo, prevista dallo spettatore.

L’amico che bussa ala porta e che picchia il protagonista, una casa che s’incendia, la moto-slitta che si guasta, altre abitazioni che appaiono lungo la sua fuga verso il Nord, alcune deserte ed altre abitare che Jomar, incontra, in questa sorta di viaggio iniziatico che intraprende, sin dalle prime sequenze, per partire alla ricerca di chi?

Sua figlia?

Se stesso?

La sua ex compagna?

Il suo personale Eldorado perduto?

Il film, a guardarlo bene, aumenta, ad ogni bit narrativo, interrogativi più che risposte.

E’ per questo che trovo corretto definirlo filosofico.

§§§

2.2 Direzioni giuste

Molti sono gli incontri che Jomar Henriksen farà, durante il suo peregrinare verso la lontana meta, con la quale vuole, ed ha, allo stesso tempo, paura di ricongiungersi.

In alcuni di questi Jomar, compirà, come dire, delle traiettorie corrette.

In alcuni momenti ci parrà addirittura che tutto inizi, piano piano, ad avere un senso.

La sincerità con cui rimane a casa di una bambina orfana, e di sua nonna, regala momenti che mi sono sembrati di rara intensità narrativa, nei quali sembra quasi di assistere ad una duplice guarigione.

Dal momento di cecità (altra figura allegorica?), dovuto al troppo tempo trascorso sulla neve, e dal dolore psichico, che sembra avere una requie in questo incontro.

In questa prospettiva, vorrei anche aggiungere, però, che bisognerebbe essere, probabilmente, dei nordici, ed assistere ad una proiezione in lingua originale del film, per comprendere, intimamente, a fondo, il senso assoluto e, mi ripeto, allegorico, che certe sequenze hanno, nel cinema norvegese.

§§§

2.3 Direzioni sbagliate

Continuo ed alterno a quello della direzione giusta, è il tema che definirei palindromo, in chiave narrativa, della direzione sbagliata.

Come un compendio, un completamento, la direzione sbagliata rappresenta, sicuramente, l’altra parte del percorso, anche spirituale, della vita.

E’ la metaforizzazione visiva di quelli che, tutti noi, commettiamo.

Nel cinema di Rune Denstad Langlo l’errore è reso visibile, e diventa un incendio, che per sbaglio Jomar, appicca in una delle case che abita, nella sua singolare peregrinazione verso il Nord, una uscita di pista con la moto slitta, un furto compito in maniera maldestra, etc..

La direzione giusta, e la direzione sbagliata, sono, però, vorrei chiarirlo, la stessa cosa.

Rappresentano quell’insieme di esperienze che l’esistente deve compiere per raggiungere la sua meta.

Trovo che, in questa prospettiva, il film rievochi, con tutt’altri specifici filmici, intendiamoci, alcune strategie narrativa del regista finlandese Aki Kaurismäki (un autore che mi è sempre piaciuto molto), e forse alcune allegorie sono tipiche del Nord Europa.

Anche se, forse, e sottolineo forse, il passato di regista documentarista, impedisce, allo specifico filmico di Rune Denstad Langlo, di filtrare la narrazione in quelle atmosfere così catartiche, e misticamente religiose, che sono il punto di forza, invece, del cinema del regista finlandese.

§§§

2.4 Viaggio dal mondo conosciuto verso il mondo sconosciuto

Esiste un canovaccio classico in sceneggiatura, a cui ad esempio ha fatto ampio ricorso il cinema di Gabriele Salvatores.

Scaraventare l’esistente protagonista da un mondo conosciuto, e forse protettivo, in un mondo sconosciuto e sicuramente più scomodo da affrontare.

Una sorta, e mi ripeto, di viaggio iniziatico, che è un classico persino delle favole.

Nell’immagine che ho riportato, per questo paragrafo, Jomar si ferma dentro un tunnel.

Forse assistiamo alla metaforizzzione di questo elemento narrativo, che si chiarisce, gradualmente, mano a mano che l’esistente affronta e supera le sue prove.

Gli archetipi narrativi che, normalmente, s’incontrano in questo viaggio, sono molto allegorici, e tendono a rifarsi, drammaturgicamente, alle varie fasi del processo evolutivo della natura umana.

2.4.1 Snow Road Movie ed i riferimenti a Jacl Kerouac

Nel caso di specie buona, e sicuramente apprezzabile, è l’idea, di trasporre, sulla neve, il concetto di racconto “on the road” alla Jack Kerouac, meno, forse, l’efficacia e la tenuta della narrazione.

Anche se i riferimenti alla droga ed all’alcol, paiono avere alcune assonanze anche con questo vero e proprio idolo della beat generation, riteniamo però che altri siano gli intenti narrativi del regista norvegese, che tende più a sublimare, a nostro modo di vedere, questa sua opera, in una sorta di favoletta morale, con non qualche imperfezione e qualche leggera caduta di ritmo.

Il film risulta, proprio per la mancanza di appigli verso l’evento successivo, complessivamente difficile da seguire, in quanto impone allo spettatore di rimanere concentrato su di uno sviluppo, peraltro surreale, che, in alcuni punti di snodo, manca un po’ di quella suspence che, forse, avrebbe dato un maggior ritmo alla narrazione.

Ma, … come dire, peccati veniali.

Il film vale la pena di essere visto, perché è molto particolare, nella sua cifra un po’ sopra le righe.

§§§

3. Circa il linguaggio audiovisivo – il freddo esteriore  quale suggello del freddo interiore

La cosa che ho trovato più di pregio del film, è proprio la sua dimensione visiva.

Mentre l’atmosfera, forse eccessivamente surreale degli eventi e degli esistenti, fa un po’ fatica a diventare convincente per lo spettatore, la dimensione visiva del film sopperisce a questa carenza, grazie ai paesaggi molto ben ripresi (certo che le Dolomiti sono molto più belle), anche se è, infondo, proprio questa montagna diversa, così battuta dalla neve, a diventare il suggello formale più evocativo, del freddo interiore che alberga, a volere ben guardare, in un po’ tutti gli esistenti del film.

Ad iniziare dal protagonista, per finire con l’ultimo degli incontri, un vecchietto che vive in una tenda con una caviglia legata con una catena ad una moto-slitta, sulla cui fine vi lascio nel dubbio, per non essere ancora più spoiler, di quanto lo sono stato fino ad ora.

Un freddo che neanche il disgelo della primavera riuscirà a riscaldare.

Manca, volendo essere rigorosi e sinceri fino in fondo, al film, qualcosa che leghi la dimensione surreale della narrazione, all’atmosfera visiva, quasi come se questi due elementi del film si rifacessero ad ontologie differenti, non rappresentate, adeguatamente, con una coerenza ed una comunione complessiva.

Ma forse è proprio questa la cifra più interessante, ed innovativa, di questo film, che andrebbe visto, ne sono più che certo, in lingua originale.

Eccellenti le rese attoriali, tutte. Quella di A. Baasmo Christiansen (Jomar Henriksen), in particolare, è davvero notevole, e degna di nota.

Alla prossima.

snow

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