Nei cinema dal 3 e dal 5 marzo 2010
dal 3 marzo 2010
- Alice in Wonderland (in 3D) – di Tim Burton
dal 5 marzo 2010
- Crazy Heart – di Scott Cooper
- Revanche – Ti ucciderò – di Götz Spielmann
- Shutter Island – di Martin Scorsese
- L’amante inglese – di Catherine Corsini
- Diamond 13 – di Gilles Béhat
Dal 3 marzo 2010
Alice in Wonderland
titolo originale: Alice in Wonderland
nazione: U.S.A.
anno: 2010
regia: Tim Burton
genere: Fantasy
durata: 110 min. – 3D
distribuzione: Buena Vista International
cast: M. Wasikowska (Alice Kingsley) • J. Depp (Cappellaio matto) • H. Bonham Carter (Regina di cuori) • C. Glover (Re di cuori) • A. Hathaway (Regina bianca) • S. Fry (Cheshire Cat) • C. Lee (The Jabberwock) • M. Sheen (Bianconiglio) • A. Rickman (Brucaliffo) • T. Spall (Segugio) • M. Csokas (Charles Kingsley) • F. de la Tour (Zia Imogene) • E. Tomlinson (Fiona Chataway) • J. Powell (Margaret Manchester)
sceneggiatura: L. Woolverton
musiche: D. Elfman
fotografia: D. Wolski
montaggio: C. Lebenzon
Sinossi: Alice ha diciassette anni e scappa da un party altezzoso e segue il Bianconiglio giù per il buco, che la riporta nuovamente al Paese delle Meraviglie. Il Bianconiglio è convinto di avere la ragazza giusta, quella che ha visitato il magico mondo dieci anni prima. Ma Alice non si ricorda la sua visita precedente nel Paese delle Meraviglie, le cui creature sono pronte per una rivolta e sperano e aspettano che Alice li aiuti. Ma lei vorrà farlo? Lo potrà fare?
Cosa volete che vi dica sul film di un genio come Tim Burton, basato sulla fantasiosissima fiaba di Alice nel paese delle meraviglie in 3D?
Oserei dire finalmente in 3D, se non che questo film non ve lo dovete perdere per nessuna ragione al mondo e quando dico nessuna dico NESSUNA !!!!
Io sono già in sala con i miei occhialini ;-)
Finalmente capiremo le potenzialità vere del cinema che tocca la terza dimensione.
Altro che Avatar !!!
Crazy Heart
titolo originale: Crazy Heart
nazione: U.S.A.
anno: 2009
regia: Scott Cooper
genere: Drammatico
durata: 112 min.
distribuzione: 20th Century Fox
cast: J. Bridges (Bad Blake) • M. Gyllenhaal (Jean Craddock) • R. Duvall (Wayne) • C. Farrell (Tommy Sweet) • T. Bower (Bill Wilson)
sceneggiatura: S. Cooper
musiche: S. Bruton • T. Burnett
fotografia: B. Markowitz
montaggio: J. Axelrad
Sinossi: Basato sul romanzo d’esordio di Thomas Cobb, “Crazy Heart” è incentrato sulla vicenda di un cantante country alcolizzato e caduto in disgrazia che grazie alla relazione con una giovane reporter tenta di rimettere in carreggiata sia la sua vita che la sua carriera.
Di questo film ci piace proprio tutto.
L’idea che una vecchia canaglia come Jeff Bridges un attore bravo ma che forse non ha mai trovato il film della definitiva consacrazione si misuri con un plot del genere (Anche se io l’ho letteralmente adorato ne “Il grande Lebowski” dei fratelli Coen).
L’idea che tra il personaggio e l’attore ci sia una sorta di sovrapposizione di condizione, un po’ come avvenne per il Wrestrler Mickey Rourke.
L’idea che l’esistente si trovi nella necessità di agire per un suo riscatto.
Insomma un po’ tutti gli ingredienti che mi fanno non solo segnalare il film (per il quale, credo, Jeff Bridges si sia conquistato la nomination agli Oscar), come film da vedere e da non perdere della settimana, ma che mi fanno anche dire il cantante di country del film meriterebbe, addirittura, una visione in lingua originale, tanto il vecchio Jeff, pare, sia entrato nel personaggio.
A contorno ok, un’ambientazione non proprio fedelissima, rispetto al reale contesto della musica country, che dovrebbe essere fatta dai personaggi un po’ grossiè della provincia americana, irrealtà, che, forse, non aiuta a restituire tutta la sporcizia desertica di una storia disperatamente romantica.
Ma il cantante-disperato-ultima-spiaggia-Bad Blake-Jeff Bridges catturerà i vostri cuori, e le vostre anime, scommettiamo?
E va bene, lo ammetto, sono affascinato dall’auto-distruzione, e dai personaggi perdenti che tentano un riscatto tardivo, anche quando è tutto contro di loro.
Non incarnano, in fondo, proprio solo loro, dopo tutto, l’archetipo dell’eroe romanico, nell’accezione più pura e rigorosa del termine?
Revanche – Ti ucciderò
titolo originale: Revanche
nazione: Austria
anno: 2008
regia: Götz Spielmann
genere: Thriller
durata: 121 min.
distribuzione: Fandango
cast: J. Krisch (Alex) • I. Potapenko (Tamara) • A. Lust (Robert) • U. Strauss (Susanne)
sceneggiatura: G. Spielmann
fotografia: M. Gschlacht
montaggio: K. Ressler
Sinossi: Disperatamente innamorati, Tamara, una prostituta ucraina, ed Alex, il fattorino del suo protettore, sono costretto a vivere clandestinamente la loro relazione. Per scappare dalla squallida vita dei quartieri a luci rosse, Alex e Tamara mettono in atto un piano per rapinare la banca di un remoto villaggio e fuggire con i soldi. Ma la rapina non ha successo e l’ufficiale di polizia insegue la giovane coppia, che nella fuga in macchina si è trascinata dietro sangue e cadaveri.
Fermi tutti anche se arriva solo adesso nelle sale italiane questo film ha ricevuto una candidatura come miglior film straniero agli Oscar del 2008 per l’Austria.
Senza considerare i 14 premi vinti in 36 festival internazionali.
Che poi ben 3 dei 14 award vinti, ben tra furono conquistati al Berlino Film Festival del 2008 (C.I.C.A.E. Award Panorama a Götz Spielmann, Femina-Film-Prize a Maria Gruber per la progettazione di produzione, Etichetta Europa Cinema a Götz Spielmann).
“Revenge”, in scena il thriller solido implacabile
Alex lavora in un bordello nel quartiere a luci rosse di Vienna, dove la sua ragazza, un immigrata clandestina prostituta ucraina.
Nonostante alcuni difetti evidenti (tra i quali la possibilità benedetto attraverso il quale l’eroe senza saperlo terra vicino alla casa del suo nemico), Revenge mantiene interesse da parte della forza della sua messa in scena e il comportamento di personaggi senza scrupoli .
Accampati in una natura simbolica, punteggiato da strumenti affilati, lo studio psicologico non lascia indifferente nessuno.
Il film affronta l’incapacità di amare, l’inevitabilità che cresce a vendere il proprio corpo, false felicità, il senso di colpa.
Götz Spielmann, uno registi austriaci più promettenti (il suo film precedente, l’Antares, era già stato nominato per l’Oscar per il miglior film straniero nel 2004), confuta l’idea che questa seconda candidatura possa essere una “curiosa coincidenza”, ma che al contrario debba essere considerata il frutto del miracoloso impulso che hanno le sue messe in scena.
Si coglie, ok, nell’incontro con i suoi personaggi, come una deriva mitologica.
Ma mai, in tutta la trama, il pubblico riesce ad indovinare che cosa succederà (capito James Cameron?)
Inesorabilmente, piuttosto si ritroverà ad essere spettatore curiosamente partecipe dello sviluppo del percorso degli eventi e degli esistenti, ed, inevitabilmente, finirà per legarsi a loro, ciascuno (pubblico e personaggi) in possesso di un segreto che tiene gli uni e gli altri, uniti in un complice silenzio.
Shutter Island
titolo originale: Shutter Island
nazione: U.S.A.
anno: 2010
regia: Martin Scorsese
genere: Thriller / Drammatico
durata: 148 min.
distribuzione: Medusa Film
Official site: http://www.shutterisland.com/#/home
cast: L. Di Caprio (Teddy Daniels) • M. Ruffalo (Chuck Aule) • B. Kingsley (Dr. John Cawley) • E. Mortimer (Rachel Solando) • M. Williams (Dolores Chanal) • M. Von Sydow (Dr. Jeremiah Naehring) • P. Clarkson (Ethel Barton) • J. Haley (George Noyce) • T. Levine (Guardiano) • E. Koteas (Andrew Laeddis)
sceneggiatura: L. Kalogridis • D. Lehane
fotografia: R. Richardson
montaggio: T. Schoonmaker
Sinossi: 1954, ospedale psichiatrico su Shutter Island. Teddy Daniels e Chuck Aule, due agenti statunitensi, sono incaricati di scoprire cosa si nasconde dietro la scomparsa di un paziente. Teddy si ritrova con la vestaglia bianca e senza alcuna arma a vivere nell’ospedale psichiatrico tra i degenti. Il direttore dell’ospedale presto si trova davanti a un duro faccia a faccia con Teddy sostenendo che l’ospedale da lui diretto rappresenti qualcosa di molto importante. Importante per cosa però? Forse non tutti i medici della struttura rispettano il patto di Ippocrate … Nel frattempo un temporale interrompe la comunicazione dell’isola con l’esterno e alcuni detenuti riescono a evadere.
Capisco che un maestro come Martin Scorsese, alla sua età, si diverta anche a lavorare anche sul cinema di genere.
Capisco, anche, che oramai tra lui è Leonardo di Caprio sia nato, come dire, un sodalizio artistico, che, credo, abbia toccato l’acme con “The Departed“.
Adesso il vecchio Martin ci prova con un plot borderline tra genere horror e genere thriller. Sono operazioni complesse, soprattutto all’età del maestro, che secondo i più vicini agli ambienti americani, sarebbe ormai sul viale del tramonto.
Ed è un peccato, perché con “The Departed“, nonostante tutte le mie riserve espresse all’epoca, circa l’utilizzo del plot originale di Infernal Affairs, mi aveva stupito e colpito e meravigliato.
Ma qui, temo, che Il regista di Toro Scatenato, di Taxi Driver, metta in campo un cast che coinvolge anche il premio Oscar Ben Kingsley, temo, per sopperire ad una sostanziale carenza di idee. O quanto meno d’idee che non aggiungono proprio sulla all’ontologia del cinema di genere.
E dire che volevo incensarlo come pellicola da vedere e da non perdere, mentre, invece, mi ritrovo bonariamente costretto a salvarla, per il rotto della cuffia, con un dubbio amletico, nonostante il sito ufficiale molto curato.
Se volete perdervi con lui in un manicomio ubicato in un’isola, fate vobis.
In Italia distribuisce Medusa, che non è, proprio, sempre, una garanzia.
L’amante inglese
titolo originale: Partir
nazione: Francia
anno: 2009
regia: Catherine Corsini
genere: Drammatico / Sentimentale
durata: 95 min.
distribuzione: Teodora Film
cast: K. Scott Thomas (Suzanne) • S. López (Ivan) • Y. Attal (Samuel) • B. Blancan (Rémi) • A. Reibel (Dubreuil) • A. Vidal (David)
sceneggiatura: C. Corsini • G. Macé
fotografia: A. Godard
montaggio: S. Jacquet
Sinossi: Lasciata l’Inghilterra fin da giovane, Suzanne vive in una bella villa nel sud della Francia, con un marito conservatore e due figli adolescenti. Stanca della routine quotidiana e annoiata da un matrimonio senza entusiasmi, Suzanne trova il coraggio per incontrare segretamente Ivan, un operaio spagnolo rude e silenzioso che le sta ristrutturando lo studio. La donna si sente desiderata e viva come non le era mai accaduto e quella che doveva essere solo un’avventura si trasforma in una passione travolgente. Decisa a rinunciare a tutto per seguire la sua storia d’amore, inizia una lotta senza esclusione di colpi con il marito che li spingerà fino alle scelte più estreme.
L’amante inglese, traduzione, come al solito, inspiegabile dell’originale Partir (anzi spiegabile perchè l’attrice Kristin Scott Thomas è la stessa de “Il Paziente inglese” di Anthony Minghella), non aggiunge nulla all’ormai sin troppo abusato tema del classico triangolo marito-moglie-amante, e non è certo citando (ed a mani basse) Françoise Truffaut, dal quale prende possesso il tema musicale de “La signora della porta accanto“, o plagiando Flaubert (anche la sua Emma Bovary era moglie di un medico), che il film si alza magicamente dalla sua mediocrità.
Eppure.
Eppure è proprio nel rifiutare il costume del melodramma e nella sua arida lucidità di sguardo, che la pellicola di Catherine Corsini, pare trovare le sue cose migliori, il suo carattere.
Non certo nel classico canovaccio della love story tra la signora e il proletario (e basta), ma nel modo in cui un vertice di questo triangolo, la casella del marito, viene portato in su fuori misura, abbandonando gli altri due a terra, letteralmente.
La regista enfatizza ancora una volta la condizione sfavorita della donna, economicamente ricattabile e (ancora letteralmente) imprigionabile, in un film, però, privo di particolari altre sotto letture, diventando per questo un qualcosa che sa troppo di già visto, se non fosse per una realizzazione tesa e asciutta, che evita la noia, e per qualche interessante luce sinistra che emana dalla coppia Yvan Attal/Kristin Scott Thomas e permette, ad esempio, la sequenza di chiara ispirazione hitchockiana del marito che aiuta la donna, che ha distrutto, a bere, per rimettersi in piedi.
Ma proprio perché lo scarto rispetto al meló da feuilleton è stato già effettuato, anche con la proposta di un’eroina che rifiuta di piangersi addosso, non si comprende, fino in fondo, la scelta di un finale improntato ad un revanscismo femminile, che ci pare troppo una brutta copia di quel maschilismo d’antan rappresentato da Samuel.
Un gesto vano in partenza, che il finalissimo si premura di chiudere, di fermare di un’unica interpretazione possibile, nuovamente nell’ottica pessimistica dell’impossibilità e dell’equazione amore uguale follia uguale distruzione.
Noi lo licenziamo con un pollice verso.
Diamond 13
titolo originale: Diamant 13
nazione: Francia / Belgio
anno: 2008
regia: Gilles Béhat
genere: Thriller
durata: 98 min.
distribuzione: Moviemax
cast: G. Depardieu (Mat) • A. Argento (Calhoune) • O. Marchal (Franck) • A. Coesens (Léon)
sceneggiatura: G. Béhat
musiche: F. Vercheval
fotografia: B. Malaisy
montaggio: T. Faber
Sinossi: Il film, tratto dal romanzo di Hugues Pagan “L’Etage Des Morts”, è ambientato a Parigi e racconta la storia di un poliziotto che si trova alle prese con il suo migliore amico, diventato uno dei più grandi trafficanti di droga della città.
E’ triste non trovate vedere un attore come Gerard Depardieu adattarsi a girare certi film perché sono ormai gli unici per i quali lo scritturano?
Secondo me si.
Sarà forse colpa della regia affidata a Gilles Béhat, che ha diretto una stagione di Paris Enquête Criminelle, che manca di quella sobrietà necessaria al genere, che ci propone dei cliché consolidati lasciando poco spazio all’immaginazione.
Anversa e Lussemburgo che vorrebbero sembrare Los Angeles ed un plot che non dimentica tutti gli archetipi stereotipati di genere:
- i locali jazz,
- i poliziotti corrotti,
- il commissario dai metodi violenti (a cui Gérard Depardieu si dedica comunque con passione)
- e le donne fatali (Asia Argento, ma che fa in un film del genere?)
Meno sentito di un vero film di Marchal, ne sembra un po’ una copia meno appassionante e ben costruita.
Eppure.
Eppure, secondo alcuni, sarebbe proprio questa mancanza di idee originali, la forza del genere poliziesco francese.
Io, personalmente, non lo credo, e dico che questo film tra gli evitabili, anche se Diamant 13 potrebbe anche essere uno di quei film dove, chi vuole, trova tutto quello che stava cercando, anche se rimane con l’idea che, forse, avrebbe potuto, (io dico dovuto), riuscire a trovare non qualcosa, ma molto di più.
Ed è questo che fa, alla fine, la differenza tra un bel film ed uno brutto.
Alla prossima.
A cura di cinemavistodame.com
ciao roberto, come mai shutter island no? l’ho visto è un bel film, riprese, inquadrature, inquietante pazzia che si sviluppa in un crescendo incalzante di profondità, fantasmi, tormenti, verità nasocste che dimostrano follia e scherzi della mente;
con un magistrale colpo di scena che ti lascerà incredulo. ,alo hai visto?
ciao devid