analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
L’altro (non) siamo (ancora) noi – a cura di Roberto Bernabò
Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio
Interpreti ed Esistenti
Kasia Smutniak (Giulia)
Daniele Liotti (Marco Manfredini)
Serra Yilmaz (Nurit)
Ahmed Hafiene (Amedeo)
Isa Danieli (Benedetta)
Roberto Citran (Antonio Marini)
Milena Vukotic (Signora Fabiani)
Francesco Pannofino (Sandro Dandini)
Ninetto Davoli (Riccardo)
Marco Rossetti (Gladiatore, Lorenzo)
Kesia Elwin (Maria Cristina)
Luigi Diberti (Angelo Manfredini)
Paolo Calabresi (Commissario Bettarini)
Fabio Traversa (Sostituto Bettarini)
Manuela Morabito (Manuela)
Vincenzo Crivello (Tano)
Lamine Labidi (Iqbal)
Sara Labidi (Penelope)
Massimo De Santis (Leo)
Renato Nicolini (Funzionario)
Brando Pacitto (Gladiatore Bambino)
Gresy Cipriani (Poliziotta)
Pierluigi Cicchetti (Tenente)
Franco Mennella (Funzionario)
Gabriel Zagni (Abdallah)
Crew tecnica
soggetto: Amara Lakhous
sceneggiatura: Isotta Toso, Maura Vespini, Andrea Cotti (Collaborazione)
musiche: Gabriele Coen, Mario Rivera
montaggio: Patrizio Marone
costumi: Eva Coen
scenografia: Anna Forletta
fotografia: Fabio Zamarion
suono: Gilberto Martinelli
casting: Barbara Giordani
aiuto regista: Gianluca Mazzella
produttore: Sandro Silvestri, Maura Vespini
organizzazione generale: Tommaso Calevi
direttore di produzione: Francesco Tató
coordinatore post produzione: Franco Casellato
operatore alla macchina: Roberto Luzi
regia: Isotta Toso (opera prima)
anno di produzione: 2010
durata: 96′
tipologia: lungometraggio
genere: drammatico
paese: Italia
produzione: Emme; in collaborazione con Rai Cinema
formato di proiezione: 35mm, colore
ufficio stampa: Pierluigi Manzo
vendite estere: Intramovies
titolo originale: Scontro di Civiltà per un Ascensore a Piazza Vittorio
sito web: http://www.scontrodiciviltailfilm.it
ambientazione: Roma / Guidonia (RM)
periodo delle riprese: 8 settimane
Sinossi
Roma. La Piazza Vittorio del titolo, si trova al centro dell’Esquilino, storico quartiere romano, residenza borghese della burocrazia di fine Ottocento. Circondato dalla Roma più turistica e mondana, la sua vicinanza alla stazione centrale ne ha fatto negli anni, come in tutte le metropoli del mondo, un variegato luogo di approdo e stratificazione etnica e culturale. In un suo vecchio palazzo umbertino si snodano le vicende di un eterogeneo gruppo di inquilini, una piccola “folla multietnica” segnata da forti differenze culturali, di provenienza, di religione, di modi di intendere la vita. Nell’ambiente chiuso del palazzo e del condominio si consuma lo “scontro di civiltà” in cui tali differenze emergono prepotentemente nel quotidiano e diventano malintesi, piccole prevaricazioni, diffidenze… (continua). Le storie dei personaggi seguono i propri percorsi, incrociandosi l’un l’altra in ragione di una condivisione forzata dello spazio, del quartiere, del palazzo e del suo ascensore, puntualmente all’origine di tante dispute condominiali. Ognuno di questi personaggi esprime la sua solitudine, il suo male di vivere, offrendo uno spaccato, un sunto della sua esperienza di vita, le sue riflessioni e i suoi sentimenti in una prospettiva sociale. Chi cerca l’ispirazione per una fotografia, chi il cane improvvisamente smarrito, chi convive con le proprie rinunce, chi con la malavita locale, chi con le ruggini burocratiche a cui devono sottostare gli extracomunitari. Una morte improvvisa rompe il già instabile equilibrio condominiale. Tutti possono essere potenziali assassini e tutti si trovano ad incolparsi l’un l’altro. Saranno loro, insieme, allontanando per un momento ogni contrasto, a svelare al commissario il nome dell’assassino, al posto di quell’unico testimone, che però non può parlare: l’ascensore.
“Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” è stato sostenuto da:
Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC)
Regione Lazio
FILAS
Libro da cui è tratto il film: “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” – di Amara Lakhous, 189 pp, E/O, collana Assolo, 2006.
Piazza Vittorio è il simbolo della nuova Roma (e della nuova Italia) multietnica, così come le liti condominiali attorno all’ascensore sono da anni l’emblema della difficile convivenza con i propri vicini di casa. Attorno a questi due momenti emblematici, l’autore, algerino romano d’adozione, ha costruito questo romanzo giallo. Prezzo di copertina: € 12,00
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1. Introduzione – dedicata alle registe italiane che girano “fuori dal coro”
Tratto dall’omonimo romanzo di Amara Lakhous e realizzato dal team produttivo e creativo di “Notturno Bus” (Maura Vespini e Sandro Silvestri per la Emme, con la partecipazione di Rai Cinema), “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” è distribuito, in una manciata di copie, dalla Bolero Film.
Il film è stato girato della regista esordiente Isotta Toso (già autrice del soggetto, ed aiuto regista, del film del 2007: “Notturno Bus” – di Davide Marengo), e si è avvalso di un interessante e multietnico cast: Kasia Smutniak, Serra Yilmaz, Ahmed Hafiene, Roberto Citran, Milena Vukotic, Marco Rossetti, Francesco Pannofino, Luigi Diberti.
Ammettiamolo, non è mai facile trasporre dal letterario al filmico un romanzo.
Tanto meno quando si tenta, poi, di affrontare un tema così caldamente complesso nel vissuto dei cittadini italiani (che su questo argomento si dividono, anche in maniera esacerbata), quello della immigrazione, che tanto scompiglio sta creando, anche, in seno alla maggioranza di governo, grazie alle posizioni garantiste di Gianfranco Fini, diametralmente opposte a quelle di Umberto Bossi e della Lega, che raccolgono, però, consensi, anche nelle regioni del Sud, come la Basilicata.
Bene, aggiungeteci il fatto che anche la scelta del cast non è operazione semplice, dovendo, per necessità di ortodossia verso il romanzo (parzialmente violata, peraltro, con l’aggiunta dei due esistenti protagonisti Kasia Smutniak alias Giulia e Daniele Liotti alias Marco Manfredini), coinvolgere attori di diverse etnie.
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2. Sprazzi autoriali
Quello che rimane è un lungometraggio che ha degli ottimi sprazzi autoriali.
Interessante e ben organizzato, in primo luogo, il tema dello “sviluppo del conflitto“, condotto ed agito, nella sceneggiatura, su più piani.
In una prospettiva etica e sociale:
- tra le diverse etnie,
- tra gli italiani tra di loro,
- tra gli italiani e le differenti culture delle eterogenee razze,
ed, ancora, in una prospettiva infra-personale (ed è forse il piano meno convincente dell’intreccio), anche:
- all’interno della coppia,
ed aggiungerei infine, in una prospettiva inter-personale, anche:
- all’interno di alcuni personaggi, come nel caso di Amedeo e dell’esistente protagonista Marco Manfredini.
Buona la direzione della fotografia.
Interessanti e sapienti, oserei dire, alcuni movimenti di macchina, ed alcune scelte formali nelle inquadrature.
Risulta gradevole lo spleen agro-dolce usato nella narrazione degli eventi, grazie al quale le caratterizzazioni, molto accentuate, degli esistenti, abilitano contrappunti di ambientazione, anche filmica, che spaziano, tangendoli, in più generi. Non solo nello specifico filmico del giallo, tanto per intenderci.
Apprezzabile, anche, una certa qual atmosfera poetica, creata grazie soprattutto alla convincente interpretazione (anche se il doppiaggio, imposto da esigenze di copione, la limita molto) dell’attore, di origine algerina, Ahmed Hafiene, che è forse la cosa che, personalmente, ho maggiormente gradito del film, insieme alla sua splendida colonna sonora.
Voglio dire … rispetto a quello che gira nelle sale italiane ultimamente, siamo su livelli non consueti. Eppure.
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3. I perdonabili limiti del film
Eppure non tutto convince in questo film.
3.1. La tesi (faziosa?) sui “migranti“
In primis la tesi.
Il film è, chiaramente e verosimilmente, una forte provocazione molto politically uncorrect.
Il problema, nello sviluppo dell’intreccio, non sono i “migranti” con le loro accentuate diversità, le loro idiosincrasie verso il nostro paese, le loro culture così difficili da combinare e da comprendere.
No. Il problema siamo noi italiani. Con la nostra arrogante ignoranza, la nostra approssimazione culturale, la nostra incapacità di accogliere e di capire l’altro.
Anche se, lo devo proprio ammettere, mi è sembrato di cogliere dei riferimenti anche all’opera letteraria di Enzo Bianchi: “L’altro siamo noi“ (lettura che consiglio a tutti), quando dice:
La violenza, l’aggressione, innanzitutto verbale, non è forse un habitat al quale oggi assistiamo attoniti, in un’impotenza ad agire che ci rende tristi, e che amareggia i nostri giorni?
Basta accendere la televisione – cosa che personalmente mi capita assai di rado e solo fuori casa – per assistere a talk-show in cui si misura da subito il sistematico non ascolto dell’altro, mentre il tono di voce, gridato, copre ogni altra opinione, e passa, sovente, al disprezzo ed all’insulto, che negano l’altro nella sua soggettività e dignità.
Insomma il problema dei migranti c’è nel nostro paese, e questo film propone una tesi precisa.
Di contro lo fa in maniera così plateale, che non si può non cogliere, anche, una certa ironia di fondo, volta a fare sorridere amaramente, più che a denunziare.
Resta, infine, l’altro limite del film.
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3.2. Le capacità attoriali
Pur comprensivi delle oggettive difficoltà, per una regista esordiente, di garantire questo aspetto in maniera uniforme, non possiamo tacere le ripercussioni, di questo specifico aspetto, sul risultato complessivo dell’opera.
Al dunque non sono tutte, ammettiamolo, sullo stesso livello, e non sempre espresse, nella giusta assonanza, anche rispetto all’ortodossia verso il romanzo.
Tra quelle che mi hanno convinto di più mi piace citare: Marco Rossetti (Gladiatore, Lorenzo), Serra Yilmaz (Nurit), Francesco Pannofino (Sandro Dandini), Ninetto Davoli (Riccardo), Kesia Elwin (Maria Cristina).
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Intendiamoci però. Peccati veniali per un’opera prima, e per una regista esordiente. Non trovate?
Io ne consiglio la visione (ammesso che riusciate ancora a trovarlo).
Alla prossima.