analisi di eventi, esistenti, e linguaggio audiovisivo
Le ragioni della lotta armata della sinistra italiana, in un esercizio di analessi storica e morale – a cura di Roberto Bernabò
Titolo originale: La Prima Linea
Altri titoli: Miccia Corta – The Front Line – La Première Ligne
Regia: Renato De Maria
Anno di produzione: 2009
Durata: 96′
Tipologia: lungometraggio
Genere: drammatico
Paese: Italia/Belgio
Produzione: Lucky Red, RTBF, Les Films du Fleuve; in collaborazione con Rai Cinema, Sky Cinema, Medusa Film, Quickfire Films Limited
Formato di ripresa: 35mm
Formato di proiezione: 35mm, colore
Ufficio Stampa: Lucky Red Ufficio Stampa
interpreti: Riccardo Scamarcio (Sergio Segio); Giovanna Mezzogiorno (Susanna); Daniela Tusa (Guardiana di Firenze); Awa Ly (Cantante Jazz); Fabrizio Rongione
soggetto: Sandro Petraglia; Ivan Cotroneo; Renato De Maria; Fidel Signorile
sceneggiatura: Renato De Maria; Sandro Petraglia; Ivan Cotroneo; Fidel Signorile
musiche: Max Richter
montaggio: Marco Spoletini
costumi: Nicoletta Taranta
scenografia: Alessandra Mura; Igor Gabriel
fotografia: Gian Filippo Corticelli
suono: Mario Iaquone; Marta Billingsley; Marc Bastien
casting: Francesco Vedovati
aiuto regista: Gianluca Mazzella
produttore: Andrea Occhipinti; Jean-Pierre Dardenne; Luc Dardenne; Arlette Zylberberg
Direttore di Produzione: Michela Rossi
Produttore Esecutivo: Delphine Tomson
Produttore Esecutivo: Gianluca Arcopinto
Produttore Associato: Stefano Massenzi
Produttore Associato: Carl Clifton
Sito Web: http://www.luckyred.it/laprimalinea
Ambientazione: Torino / Pinerolo (TO) / Venezia / Rovigo
Periodo delle riprese: Inizio riprese il 9 febbraio 2009
Budget: 5.000.000 euro
“La Prima Linea” è stato sostenuto da:
Film Commission Torino Piemonte
Eurimages
Wallimages
Tax Shelter ING invest de Tax Shelter
Productions Française Platteborse et Joëlle Levie
Inver Invest
Muriel Bostyn et Jean-Baptiste Piette
Tax Shelter del Governo Federale Belga
Libro da cui è tratto il film “La Prima Linea”:
“Miccia Corta. Una Storia di Prima Linea” di Sergio Segio, 256 pp, DeriveApprodi, collana DeriveApprodi, 2005: Sergio Segio, il “comandante Sirio”, è stato tra i fondatori di Prima linea, l’organizzazione armata che ha contato mille militanti e migliaia di simpatizzanti. In questo libro descrive una delle azioni più clamorose e audaci della lotta armata in Italia: l’assalto al carcere di Rovigo con cui liberò la sua compagna e altre tre detenute politiche. Il racconto si snoda in una sola giornata, il 3 gennaio 1982, con un ritmo incalzante tipico delle migliori sceneggiature di film d’azione. Sullo sfondo si intersecano alcuni fotogrammi delle lotte e dei movimenti degli anni Settanta.
Sinossi: 3 gennaio 1982. Sergio (Riccardo Scamarcio) è a Venezia, dove ha messo insieme un gruppo per attaccare il carcere di Rovigo e far evadere quattro detenute tra le quali Susanna (Giovanna Mezzogiorno), la donna che ama e con cui ha condiviso idee e scelte politiche. Tratto da una storia vera, quella di Rovigo è una delle più audaci evasioni mai messe a punto durante i turbolenti anni di piombo. Mentre il gruppo si avvicina al carcere, Sergio ricorda gli inizi della clandestinità, il passaggio alle armi e l’incontro con Susanna. Intanto la giornata del 3 gennaio volge al culmine: il gruppo è arrivato a Rovigo, all’interno del carcere Susanna e le altre attendono l’ora fissata. Un’esplosione fa saltare in aria il muro di cinta e comincia l’assalto. Susanna e Sergio si ritrovano, l’evasione è riuscita ma non tutto andrà come previsto …
“Noi di Prima Linea abbiamo fatto cose da pazzi. Avevamo scambiato il tramonto per l’alba. Eravamo convinti di avere ragione, ma invece avevamo torto …. solo che allora non lo sapevamo.“
Sergio Segio
La pellicola e’ ispirata al libro ““Miccia Corta. Una Storia di Prima Linea”” di Sergio Segio, l’ex comandante Sirio di Prima Linea, condannato a 30 anni per l’omicidio del giudice Alessandrini.
1. Introduzione – circa le ragioni della catarsi documentarista
Chi legge questo blog lo sa.
Amo molto il cinema documentarista.
Ho spesso scritto in favore di questa ontologia del cinema, perché una delle ragioni per cui amo così tanto la pratica della visione delle pellicole, in sala, è che spesso mi aiutano a capire, mi supportano in quel complesso lavoro che è la maturazione etica, civile, persino morale, arrivo a dire.
Vedere, assistere, in un documentario, alla ricostruzione di fatti realmente accaduti, come nel caso di specie, è come se mi liberasse dal dubbio.
E’ come se mi desse una prova inconfutabile di quello che realmente fu quella verità.
Con tutte le sue sfaccettature, i suoi dubbi, i suoi tormenti. Le sue molteplici, e sottili, e contraddittorie, angolature.
Questo processo, lento, che accade per il tramite dei nostri occhi, è una sorta di arte magica. Divinatoria. Trascendente arrivo a dire. E catartica.
In questo post:
1. Introduzione – circa le ragioni della catarsi documentarista
2. Circa il racconto non politico degli eventi e degli esistenti
3. Circa il linguaggio audiovisivo e le rese attoriali
4. Conclusioni
Cos’è la verità?
Anzi la Verità, per un uomo?
E’ un lavoro di ricerca, in salita, che può impiegare anche un’intera vita.
E l’arte della visione dei documentari, personalmente, la ritengo una pratica molto importante, per riuscire ad avvicinarla, la Verità.
Non dico a raggiungerla, ma avvicinarla, ed, alle volte, anche molto, si.
Ecco perché mi sgomentano le pressioni contro le intercettazioni. Ma non intendo parlare di politica in questo post.
Anche perché ritengo che tradirei lo spirito del film, e del romanzo dal quale, lo stesso, è tratto.
2. Circa il racconto non politico degli eventi e degli esistenti
Eh già, perché il vero protagonista del film non è la ragione politica, quanto piuttosto, in un racconto sapientemente anacronico, le ragioni morali ed etiche di un lungo percorso di revisione, e di analisi critica, di quello che fu, sul finire degli anni ’70, il movimento della lotta armata di sinistra: “Prima Linea“.
In questo genere di film il problema non è mai il cosa raccontare.
Tanto meno se stiamo parlando di una trasposizione dal letterario al filmico.
Ma è sempre il come gli eventi vengono narrati.
Nel caso di specie esiste una coerenza tra l’idea di un film documentarista e la restituzione della verità dei protagonisti.
Il film è, in primo luogo, raccontato in prima persona da Sergio Segio, il leader storico del movimento, interpretato, lo devo proprio riconoscere, davvero magistralmente, da Riccardo Scamarcio, un attore che non amo particolarmente, ma che è già la seconda volta che mi stupisce per le sue capacità attoriali.
Che dire, dalla lunga testimonianza, in flashback, di Sergio, emerge, lentamente, il quadro di un ambiente sociale semplice nei suoi contorni: “i capitalisti“, “il proletariato“, “le forze dell’ordine“, … in una parola “la lotta di classe“, e la contrapposizione dualistica, tipica di quegli anni, tra i “cosiddetti fascisti” ed i “cosiddetti comunisti“, che in Italia, almeno secondo me, non ci sono stati poi davvero mai.
Ma, al tempo stesso, complesso nelle sue ragioni.
Il contesto degli eventi è quello del protagonista. Un padre operaio. Una madre casalinga. L’incontro con il sindacato. La passione per le ragioni della classe operaia. L’intuizione che la lotta dovesse essere più dura, più esplicita, fino a diventare, tra i dubbi ed una consistente divisione tra la base e i frangisti, armata.
Quello che mi è piaciuto del film, oltre agli esistenti, carnefici e vittime, al tempo stesso, dell’ideologia della quale ritenevano di essere, a torto, come Sergio stesso ammetterà, nella sua lunga deposizione, gli unici fedeli interpreti, sono la storia d’amore vero tra Sergio e Susanna, raccontata con il procedere tipico della ricostruzione, lentamente. E l’amicizia tra Sergio ed un suo compaesano, che svolge, senza successo, il ruolo dell’archetipo narrativo di “guardiano della soglia“, e che tenta di frenare gli intenti omicidi dell’amico.
3. Circa il linguaggio audiovisivo e le rese attoriali
E le capacità registiche di dare, ad un racconto su carta, il ritmo tipico del cinema di genere.
Non c’è che dire. Un eccellente lavoro di adattamento prima, ma, direi, anche e soprattutto, di regia filmica dopo.
Crisi e climax che si alterano e si serrano con le dovute rapidità imposte dal film di azione, improvvise situazioni di suspance, risolte con un convincente rapporto tra suspance e sorpresa (come nelle sequenze fuori al carcere di Rovigo, quando la banda non sa se potrà agire o no, ed attende lo scioglimento dei posti di blocco).
Insomma, per essere un film costato solo 5.000.000 di euro, stiamo a livelli che, con mezzi maggiori, potrebbero raggiungere l’eccellenza.
Convincenti più o meno tutte le rese attoriali, tra le quali spicca quella di Riccardo Scamarcio, al quale, oltre alle sequenze di azione, viene affidato il complesso ruolo cornice, tipico della ricostruzione storica, della voce fuori campo narrante.
Brava, anche se non convincente come Scamarcio, anche Giovanna Mezzogiorno, che riesce a coniugare, nella resa del suo complesso personaggio, un volto spietato, idealista, integralista e fondamentalista, con uno molto umano, e sentimentale di una ragazza, tutto sommato, semplice.
Convincente l’impianto nel suo complesso, e bisogna dare atto che il materiale del romanzo ha fornito spunti di notevole pregio, al sempre difficile lavoro di adattamento.
4. Conclusioni
Un viaggio nel ricordo e nella memoria di tutti i principali eventi di quegli anni, visti, però:
- da un lato, con l’imparzialità della ricostruzione storica (e notevole è stata la ricerca d’archivio finalizzata ad integrare il racconto basato sul romanzo con inserti documentaristi, nella piena accezione del termine);
- e, dall’altro, con lo sguardo intimista, e, forse, addirittura credulone e romantico, come lo definirebbe Francesco de Gregori, di un gruppo di ragazzi troppo giovani, (Sergio quando fu arrestato aveva solo 27 anni), per reggere il peso di certe scelte.
Girato anche grazie ai fratelli Dardenne, sempre molto sensibili alle ragioni della comprensione, analitica e profonda, delle vicende umane che sento, per questo, molto vicini al mio “sentire” attuale, il film di Renato De Maria, narra anche il senso di responsabilità, l’angoscia della colpa, lo smarrimento etico e politico di quegli anni di piombo.
Ma anche, e, forse, dovrei dire soprattutto, la capacità di accettare le ragioni e ancor di più le conseguenze delle proprie scelte anche se ritenute errate,, una pratica abbastanza desueta, che sarebbe un bene fosse maggiormente esercitata da, che ne so, Sergio Marchionne, i sindacati attuali, e persino dai membri dell’attuale governo e dell’opposizione.
Non si riesce mai, infatti, a mio parere, a parlare in maniera convincente del passato, senza “mordere” il presente.
Alla prossima.
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Non me l’aspettavo. Innanzitutto il film: ricostruire un periodo complesso e difficile come gli anni ’70 non è semplice. Inoltre Scamarcio: ammetto che non riesco proprio a digerire l’attore. Per questi motivi la tua (come sempre) puntuale e interesasnte analisi mi ha incuriosito molto e ha incrinato i miei pregiudizi. Pertanto devo assolutamente vedere questo film.
@cinemasema Ecco, su Scamarcio restano alcune perplessità, ma magari solo perché ha iniziato con certi film.
Io dico che, oggi, in Italia, è difficilissimo, per gli attori nuovi, entrare ed affermarsi in questo mondo, e che bisogna, quando ciò accade, dare loro il tempo ed il modo di farsi le ossa, magari anche sbagliando qualcosa.
Il momento è quello che è.
Ed io apprezzo un attore che tenta di liberarsi delle classificazioni che purtroppo, troppo spesso, anche noi che scriviamo di cinema, affibbiamo senza possibilità di appello.
Io ho trovato, in questa sua interpretazione, uno spleen che vale la pena di essere preso in considerazione.
Con stima.
Rob.
Il mondo è vario e i gusti sono molteplici.
Il film è pessimo.
Lento, privo di sorprese, superficiale nell’analisi del complesso fenomeno “lotta armata anni ’70”, assente nelle motivazioni dei personaggi.
Terribile Scamarcio, specie la voce narrante.
Non è affatto un film documentaristico.
Non è minimamente un film d’azione.
Renato de Maria sembra confermarsi un regista non particolarmente interessante, dopo la prova bruttina di “Paz”.
Se è davvero costato 5milioni (ma non credo), questi soldi (tanti!) non si vedono sullo schermo.
Giustamente snobbato dal pubblico.
@Mario Ma sai Mario, il cinema italiano è quello che è.
Questo non dobbiamo dimenticarlo mai.
In questo mondo limaccioso, in cui è difficilissimo entrare, e quasi impossibile uscire, che rincorre solo, per il momento, il box office, non è facile arrivare al successo di pubblico.
Sorrido.
“Giustamente snobbato dal pubblico” … maddai su, andiamo, e te credo … dimmi in quali sale lo hanno proiettato …
Questione documentarista.
La pellicola, come avrai letto, si basa sul libro scritto dal reale protagonista delle vicende, Sergio Segio, “Miccia Corta. Una Storia di Prima Linea”, ed è, quindi, documentarista nella piena accezione del termine.
La storia è reale.
Le vicende narrate pure.
Gli inserti filmati dell’epoca sono documenti.
Avrei dovuto dire docufilm?
Questioni di lana caprina, credimi.
A me non è dispiaciuto.
Semmai la fotografia.
Quella luce di taglio sul primo piano di Scamarcio era sinceramente approssimativa.
Semmai, mi dirai, che a scrivere sono sempre gli stessi.
Il cinema italiano avrebbe bisogno, questo si, di puntare anche su nuovi giovani talenti anche in questo aspetto.
Su questo vedo margini di confronto e di critica, ma, magari, con toni un po’ più rispettosi per me, i lettori di questo blog, l’opera di chi con il cinema ci lavora e ci campa, ok?
Io dico, e chiudo, che rispetto a tanto altro cinema italiano, un film come questo è, come dire, qualcosa di più di un monocolo in terra di ciechi.
La ragione di questo post, peraltro, è anche commemorativa della strage della stazione di Bologna, toccata dalla narrazione degli eventi del film, ma questo, immagino, fosse sfuggito.
Poi, certo, “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti, quello si che è un capolavoro assoluto, ma che vogliamo fare?
Con stima.
Rob.