Gran Bretagna | 2011
analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
La gabbia del corpo come metafora della solitudine dell’universo metropolitano contemporaneo – Un J’accuse di rara potenza visiva e morale
a cura di Roberto Bernabò
Shame
titolo originale: Shame
nazione: Gran Bretagna
anno: 2011
regia: Steve McQueen
genere: Drammatico
durata: 99 min.
distribuzione: Bim Distribuzione
cast: M. Fassbender (Brandon) • C. Mulligan (Sissy) • J. Dale (David) • N. Beharie (Marianne) • H. Ware (Samantha)
sceneggiatura: S. McQueen • A. Morgan
musiche: H. Escott
fotografia: S. Bobbitt
montaggio: J. Walker
Sinossi: Brandon è un trentenne newyorchese che non è in grado di instaurare una relazione seria con una donna a causa della sua incapacità di controllare i suoi appetiti sessuali. L’arrivo della sorella minore stravolgerà la sua vita. Sesso, amore e vergogna.
In questo post:
1. Introduzione – l’essere umano single al tempo di internet
2. Circa gli eventi e gli esistenti del film
3. Circa gli aspetti formali
- 3.1 Colonna sonora originale del film Shame
- 3.2 Montaggio sonoro
4. Conclusioni – circa i riferimenti buddisti dell’opera
1. Introduzione – l’essere umano single al tempo di internet
Ti chiedi, assistendo ad una proiezione dell’ultima fatica del regista londinese Steve McQueen (che nome impegnativo), perché questi, anche co-sceneggiatore del film, peraltro, sia così parco nel rivelare elementi completivi, della vita dei due protagonisti, al fine di abilitare una migliore comprensione delle motivazioni di ciò che li spinge all’azione.
Molti eventi, infatti, privi di tali elementi, risultano, in parte, incomprensibili, allo spettatore ignaro dello svolgimento degli accadimenti antecedenti a quelli narrati, nella vita di questi due esistenti-chiave dell’opera.
Ma, gradualmente, quando il quadro della drammaturgia del film si compie, riesci a darti una spiegazione di ciò che, in qualche modo, giustifica il point of concentration della narrazione.
Una spiegazione amara, cinica, che suona quasi come un j’accuse sulla condizione dell’uomo moderno – forse più bella da vedere, che profonda ed incisiva nelle sue argomentazioni – in una società sempre più virtuale, dove la solitudine unita ad una, grave e progressiva, perdita di valori, riduce l’esistenza umana ad una sorta di naufragio psichico nel mare magnum delle pulsioni e dei desideri, che, svuotati di una direzione chiara, diventano una prigione, una gabbia, che si erge a metafora dell’intera società consumistica di stampo occidentale.
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2. Circa gli eventi e gli esistenti del film
Coerenti con il punto di vista registico, che non si focalizza, prioritariamente, sull’intera vita degli esistenti, ma che intende, piuttosto, ergere gli stessi ad archetipi fondanti di uno stile di vita, gli eventi della storia si muovono su di un’asse temporale incerta, ricca di anacronie in indietro ed in avanti, sia diegetiche che extra-diegetiche, del tutto prive, però, di elementi completivi della verità dell’esistenza dei protagonisti.
Si assiste, semplicemente, ad ampie parentesi, apparentemente insignificanti, del contemporaneo di Brandon, un esistente erotomane, del tutto incapace di instaurare una relazione duratura, e stabile, con una donna, e che vaga, prevalentemente di notte, ma anche di giorno, alla ricerca di forti stimoli che possano placare il suo ancestrale bisogno di sesso.
Anche il sesso, che riempie, in maniera più o meno cruda, gran parte degli eventi della vita del protagonista, è, in qualche misura, credo, una metafora della vacuità dello stile di vita capitalistico.
L’atto sessuale di Brandon, è un discorso, di vaga ispirazione escatologica, che ci narra una sorta di ossessione ossessionante, che priva questo esistente della sua vita interiore, che ne svuota la pienezza, che ne anestetizza la gioia, e che ne amplifica, al dunque soltanto, la disperata e disperante, disperazione.
Quasi come se Steve McQueen conducesse lo spettatore della sua opera di fronte ad uno specchio, molto poco lucido e lustro, nella cui immagine sporca, e sicuramente esasperata, indurlo a riflettere sul risultato che ricava dall’esperienza dello specchiarvisi.
Guardare in questo specchio significa, in pratica, leggere tracce, divenute nella narrazione realtà, di un Universo Contemporaneo, che è già alla nostra portata.
Nell’era di internet, infatti, chiamare una escort, contattandola via email, o telefonicamente, e farla venire a casa, video-chattare con una spogliarellista, o guardare i video pornografici, distribuiti gratuitamente in rete, sono tutte pratiche alla portata di un click.
Un click che ci libera, forse, dal peso della conoscenza profonda, certo, ma che ci scaraventa nella disperazione di una discesa morale senza fondo, requie e freni inibitori.
Una disperazione tanto più grave, perché facile da raggiungere, nell’era dell’accesso come l’ha definita, direi in maneira lucidamente anticipatoria l’economista, attivista e saggista statunitense Jeremy Rifkin.
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L’unico evento che riesce a scaraventare, in qualche modo, il nostro eroe nella storia, è quello dell’improvvisa comparsa della sorella Sissy, nella sua assurda vita.
Lo stesso introduce un elemento nuovo nella esistenza di questo personaggio, quello dell’amore, molto disturbato, e quasi incestuoso, che scopriamo esistere tra fratello e sorella, e che lo pone di fronte all’inevitabile confronto con la sfera più censurata dalla sua patologica psiche, quella sentimentale.
Questo crash, però, invece di acuire il cinismo di Brandon, sembra solo esasperare, fino al parossismo, la smania e l’angoscia con cui questi si ritrova a dover ri-affrontare le sue incerte, e discutibili, scelte esistenziali.
Fino all’epilogo del tentato suicidio di Sissy.
Da qui l’ultimo, breve, tempo della storia, che sublima in un tanto catartico, quanto criptico incontro, in metropolitana, di Brandon con un femmineo, tanto ammiccante, quanto salvifico, che ci conduce verso un finale aperto, forse l’unico possibile, visto lo svolgimento degli eventi.
Intorno ai due protagonisti, entrambi davvero notevoli nel registro e nel valore delle rispettive interpretazioni (non stupisce pertanto più di tanto la “Coppa Volpi” assegnata dalla giuria di Venezia ’68 all’attore Michael Fassbender), molti personaggi minori, dei quali, forse, l’unico degno di nota, è il capo di Brandon, David, ma semplicemente perché è il complemento a cento dell’esposizione archetipale di un’umanità cinica e amorale.
Nel caso di specie, siamo di fronte all’ennesimo uomo sposato, in cerca di avventure, anche se le stesse vengono agite con la sorella di un suo diretto collaboratore (Brandon).
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Rimangono, comunque, per lo scrivente, limiti in questa impostazione del plot, che scava troppo poco nella vita degli esistenti, non fornendo sufficienti giustificazioni allo svolgersi di alcune sequenze, nella motivazione all’azione degli esistenti.
Come quella del forte litigio tra i due protagonisti, che allude ad un’infanzia disturbata, della quale, però, non viene concessa alcuna informazione integrativa.
Del resto, va anche detto, il film regala perle di notevole fattura, come la versione molto night di “New York, New York“, interpretata in maniera totalmente seduttiva, da una straordinaria ed incantevole Carey Mulligan.
Non ci stupirebbero premi e riconoscimenti ulteriori ai due attori per questo film.
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3. Circa gli aspetti formali
Interessanti gli aspetti formali dell’opera.
Il video-artista Steve McQueen riesce a creare atmosfere davvero uniche, e molto autoriali.
Il film è un film molto mentale, rarefatto, intimo, ma, al tempo, stesso poco interiore.
McQueen riesce a seguire il suo eroe, quasi come se lo volesse spiare nelle sue pratiche più intime, e sconcertanti – che giustificano, peraltro, e pienamente, il titolo “Shame” dell’opera – con un interessante uso della macchina da presa, che segue lo stesso attraverso lunghi piani-sequenza, come quello di una disperata corsa notturna in una New York, di rara bellezza.
Quasi come se il punto di vista narrativo non fosse collocato all’interno degli esistenti, ma in coerenza con una psiche che ama guardare, è il regista che guarda, narrandolo, il suo esistente.
Lo fa, in mille modi, certo, ma non gli concede, anche, il privilegio di svelarsi.
A nulla valgono, in questo specifico intento, neanche i tentativi di Sissy, la sorella, peraltro.
Le uniche concessioni, in questa direzione, sono le sequenze in soggettiva, che a volte McQuenn usa, per farci vivere, per qualche istante, il punto di vista visivo di Brandon, ma al solo scopo di farci partecipi delle sue emozioni, non certo dalla sua verità più intima.
Di pregio sono anche, dal punto di vista eminentemente visivo, i primi ed i primissimi piani, e, più in generale, le sapienti scelte delle inquadrature, tutti elementi che ripagano, ampiamente, lo spettatore, dai citati limiti della sceneggiatura, nella definizione dei personaggi.
Degni di nota anche gli aspetti legati alla direzione della fotografia, affidata a Sean Bobbit, che riescono a creare una corrispondenza davvero impressionante tra la drammaturgia degli eventi, con le atmosfere molto soft, calde, ed al tempo stesso algide, di una New York, tanto bella, quanto angosciante.
Tanto accogliente nei suoi night, quanto inquietantemente dangerous nelle sue nighttime streets.
Interessanti, in questa dimensione, i cambi nello specifico filmico dell’opera, che registra, in queste sequenze, aumenti improvvisi della suspense per lo spettatore.
Significativi anche gli aspetti legati al montaggio diretto da J. Walker.
Che dimostra una sapiente padronanza del linguaggio non lineare, anche se lo svolgersi del film va, tutto sommato, comunque in avanti, rispetto al tempo dello spettatore.
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3.1 Colonna sonora originale del film Shame
La colonna sonora è davvero unforgettable.
Eccovi tutti i quindici brani, giudicate voi:
1 – Brandon – Harry Escott 2 – Goldberg Variations, BWV 988 – Glenn Gould
3 – Genius of Love – Tom Tom Club
4 – Rapture – Blondie
5 – I Want Your Love – Chic
6 – My Favorite Things – John Coltrane
7 – New York, New York “Theme” – Carey Mulligan & Liz Caplan
8 – Let’s Get Lost – Chet Baker
9 – Prelude & Fugue No. 10 in E Minor, BWV 855: Prelude – Glenn Gould
10 – Goldberg Variations, BWV 988: Variation 15 a 1 clav. Canone alla quinta. Andante – Glenn Gould
11 – Unravelling – Harry Escott
12 – You Can’t Be Beat – Howlin’ Wolf
13 – The Problem – Mark Louque
14 – Prelude & Fugue No. 16 in G Minor, BWV 885: Praeludium – Glenn Gould
15 – End Credits – Harry Escott
Si arriva persino alle citazioni, come quella della celeberrima “Goldberg Variations, BWV 988: Aria eseguita da Glenn Gould“, commento musicale ad una memorabile sequenza de “Il Silenzio degli innocenti” di Jonathan Demme, USA 1991, (esattamente è la musica che ascolta il dottor Hannibal Lecter, dopo avere sbranato una sua guardia del corpo), ed al già citato “New York, New York Theme” indimenticabile canzone eseguita da Liza Minelli in “New York, New York“, di Martin Scorsese, USA 1977.
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3.2 Montaggio sonoro
Interessante, e degna della nostra segnalazione è, anche, la capacità, molto autoriale, di McQueen, di riuscire a fondere la scelta sapiente delle location, con il commento musicale del film.
Considerevoli, a questo riguardo, sono tutti i commenti musicali alle sequenze girate nell’affascinante, minimalista, appartamento di Brandon, quelle che includono la vista mozzafiato della sua finestra, ed anche quelle, quasi degne di Playboy o Penthouse, dei suoi numerosi accoppiamenti, davanti al panorama della night room window, con donne bellissime. Escort, per lo più.
Ed ancora quelli della New York notturna, delle incursioni nei suoi Night, nelle sue strade illuminate di notte, come nella già citata corsa di Brandon, che rimane, insieme a quella della canzone “New York, New York“, di Sissy, una delle immagini simbolo dell’opera.
Davvero un lavoro impeccabile, da questo punto di vista.
Stilistica l’autoriale scelta – che impreziosisce il packaging dell’opera, e degna di annotazione a margine – quella del montaggio sonoro sincronico, rispetto all’apparire di ogni nuovo nome, del commento musicale ai credits finali – una vera e proprio installazione di video-arte, regalata agli spettatori più cinéphile, quelli, cioè, che considerano i titoli di coda, ancora parte della proiezione – da annotare come succosa chicca, in questo specifico aspetto del linguaggio audiovisivo.
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4. Conclusioni – circa i riferimenti buddisti del film
Che dire.
Che non ho già detto, intendo.
Che il film, alla fine, mi è piaciuto, ed anche molto, nonostante le citate pecche del plot.
Ha saputo narrarmi, comunque, lo smarrimento morale del mio tempo.
Di quello che, anche io, vivo come uomo single.
Non mi sono identificato, molto, in un personaggio volutamente esasperato, per le ragioni discusse nel post, ma ho molto apprezzato la bellissima denuncia patinata di Steve, che mi ha lasciato arricchito, e rafforzato nella mia recente scelta di fede buddista.
Non è difficile cogliere, infatti, anche in questa opera, riferimenti al buddismo, nella misura in cui l'”Inferno“, in cui si trova Brandon, esiste fin quando questi non risolve, in maniera finalmente compassionevole, il rapporto con la sorella Sissy.
Un tema che, chi mi conosce lo sa, non può non avermi toccato, e colpito nel profondo.
Alla prossima.
[…] tutta, e non solo per i quattro interpreti maschili Fassbender (reduce dail successo di ”Shame“), McGregor, Douglas, Banderas, che voglio dire son cose, ma anche per la conturbante Gina […]
è l’unico film per cui ho fatto due post, mi ha colpito davvero molto.
nella tua recensione ritrovo lo stesso film che ho visto io.
@Ismaele … che c’entra tu sei un mito … non fai testo. Comunque grazie per questo tuo commento, mi fa molto piacere detto da te !!! Rob.
Film straordinario che devo ancora metabolizzare. E come sempre una recensione notevole piena di spunti e motivi per riflettere.
@cinemasema Luciano … quando lo avrei metabolizzato vienicelo a dire, mi raccomando.
E sempre grazie dei tuoi graditi passaggi, e dei tuoi commenti.
Rob.