Italia | 2012
analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
Narrare la storia anche se mancano tutti i tasselli – a cura di Roberto Bernabò
Titolo originale: Romanzo di una Strage
Regia: Marco Tullio Giordana
Anno di produzione: 2012
Durata: 130′
Tipologia: lungometraggio
Genere: drammatico/storico
Paese: Italia/Francia
Produzione: Cattleya, Rai Cinema, Babe Films
Distributore: 01 Distribution
Formato di ripresa: 35mm
Formato di proiezione: 35mm, colore
Ufficio Stampa: Studio PUNTOeVIRGOLA / 01 Ufficio Stampa
Sceneggiatura: Marco Tullio Giordana; Sandro Petraglia; Stefano Rulli;
Musiche: Franco Piersanti;
Montaggio: Francesca Calvelli;
Costumi: Francesca Livia Sartori;
Scenografia: Giancarlo Basili;
Fotografia: Roberto Forza;
Suono: Fulgenzio Ceccon;
Casting: Barbara Melega;
Aiuto regista: Francesca Polic Greco;
Produttore: Riccardo Tozzi; Marco Chimenz; Giovanni Stabilini;
Location Manager: Christian Peritore;
Operatore: Enzo Carpineta;
Produttore Delegato: Gina Gardini;
Produttore Esecutivo: Matteo De Laurentiis;
Coproduttore: Fabio Conversi.
Interpreti e personaggi: Valerio Mastandrea (Commissario della Squadra Politica Luigi Calabresi); Pierfrancesco Favino (L’Anarchico Giuseppe Pinelli); Giorgio Colangeli (Federico Umberto D’Amato); Fabrizio Gifuni (Aldo Moro); Omero Antonutti (Giuseppe Saragat); Luigi Lo Cascio (Giudice Paolillo); Giorgio Tirabassi (Il Professore); Stefano Scandaletti (Pietro Valpreda); Denis Fasolo (Giovanni Ventura); Sergio Solli (Il Questore Marcello Guida); Giorgio Marchesi (Franco Freda); Thomas Trabacchi (Il Giornalista Marco Nozza); Giulia Lazzarini (La madre di Giuseppe Pinelli); Michela Cescon (La moglie di Giuseppe Pinelli); Diego Ribon (Il Giudice Giancarlo Stiz); Laura Chiatti (Gemma Calabresi); Claudio Casadio (Brigadiere PS Carlo Mainardi); Corrado Invernizzi (Giudice Pietro Calogero); Luca Zingaretti (Medico Tribunale); Alessio Vitale (Pasquale Valitutti); Francesco Salvi (il tassista che fu utilizzato come testimone, e che dichiarò di aver portato Valpreda alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, nel giorno della strage).
Periodo delle riprese: Dal 16 maggio 2011 al 3 agosto 2011 (12 settimane);
Libro dal quale è tratto il film: La pellicola è un adattamento, anzi, come amo dire, una trasposizione dal letterario al filmico, del libro di Paolo Cucchiarelli “Il segreto di Piazza Fontana“. La cui attendibilità ha portato Luca Sofri a prendere, addirittura, le distanze dalle tesi del libro e della sua trasposizione filmica, nel suo celeberrimo blog in un post dal titolo 43 anni.
Sinossi: Milano, 12 dicembre 1969. Subito dopo l‟esplosione alla Banca Nazionale dell‟Agricoltura di piazza Fontana – che uccide 14 persone (salite a 17) e ne ferisce 88 – le indagini della Questura sono tutte orientate verso la pista anarchica. Il commissario Luigi Calabresi e i suoi superiori, Marcello Guida e Antonino Allegra, sono convinti della matrice anarchica della strage così come delle decine di bombe esplose in città negli ultimi mesi. Fra i fermati c‟è Giuseppe Pinelli, un anarchico non-violento che Calabresi stima e sa perfettamente estraneo alla strage. È invece arrestato Pietro Valpreda, un ballerino senza scritture, spesso in contrasto con Pinelli: il colpevole ideale, il mostro riconosciuto dal tassista Rolandi che l‟ha accompagnato in banca pochi minuti prima delle scoppio. Per ottenere da Pinelli la conferma della pericolosità di Valpreda, continuano a trattenerlo oltre i limiti di legge. Dopo 3 giorni di digiuno e insonnia, Pinelli precipita la notte del 15 dalla finestra dell‟ufficio di Calabresi. Il commissario non è nella stanza ma – grazie ai goffi tentativi della Questura di giustificare l‟accaduto – finisce per essere indentificato come il diretto responsabile. A Treviso i giudici Pietro Calogero e Giancarlo Stiz – grazie alle rivelazioni di Guido Lorenzon – scoprono una galassia di giovani neonazisti senza partito e senza collare, pronti – di fonte alle lotte studentesche e operaie del „68/‟69 – a gesti clamorosi. Pur coperti e infiltrati dai servizi segreti, alcuni di loro hanno lasciato tracce evidenti. Giovanni Ventura e Franco Freda vengono arrestati insieme ad altri complici. Calabresi continua a indagare sulla strage. Ora dubita della sua matrice anarchica e pensa piuttosto a legami col traffico internazionale d‟armi. Segue la nuova pista fino al Carso dove, due giorni prima di venire assassinato, scopre un deposito clandestino d‟armi in uso anche ai neonazisti. Il 17 maggio 1972 Calabresi è ucciso sotto casa.
Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so.
Ma non ho le prove.
Pier Paolo Pasolini
Al tempo quell’articolo sembrò una delle consuete acrobazie dell‟intelligenza pasoliniana, una rappresentazione paradossale e visionaria, senza vera attinenza coi fatti reali.
In realtà – e le scoperte successive ne confermeranno ogni virgola – è un‟analisi che coglie perfettamente non solo quello che sta succedendo nel Paese – per l‟appunto: i fatti – ma ne racconta il “senso”, quello che Pasolini chiama “romanzo”, il romanzo delle stragi italiane.
Questo straordinario articolo – che ha ispirato il titolo del film – si concludeva amaramente con l‟impossibilità di denunciare senza prove concrete, fidandosi soltanto della propria intelligenza.
Io so, ma non ho le prove.
Oggi, passati più di quarant’anni, queste prove sono diventate finalmente accessibili, a disposizione di chiunque voglia davvero sapere.
È giunto il momento di raccontarle, di tirarle fuori.
Marco Tullio Giordana
In questo post:
1. Introduzione – dedicato a chi si ostina a cercare una verità
2. Circa gli eventi e gli esistenti del film
3. Circa i riferimenti al cinema documentarista di Oliver Stone
4. Circa il mio punto di vista sul film e sul paese
5. Conclusioni – non contano (ormai più) gli esecutori materiali, conta sapere chi siamo
1. Introduzione – dedicato a chi si ostina a cercare una verità
A prima vista la sola idea di girare un film sulla storia che ebbe inizio quando il 12 dicembre 1969, un bomba esplose alla Banca Nazionale dell‟Agricoltura di piazza Fontana ed uccise 14 persone (salite a 17) e ne ferì 88, può apparire ideologica. Mossa da una tesi precisa. Dimostrare non una verità, ma una “tesi” che, di quella verità, s’intende proporre.
E, per certi versi – per chi si prende la briga di andare a ricercare i pezzi di una vicenda così risalente, così tanto mediaticamente esposta, narrata, depistata, e ri-raccontata in mille maniere diverse – sarebbe anche cosa legittima.
Non ho mai assistito ad una sola proiezione di un film d’ispirazione documentarista, senza essermi ritrovato a dover fare i conti con il regista e la sua, spesso netta, presa di posizione.
Perché è evidente che se qualcuno intende narrare, precisamente, fatti che altri mai ha inteso narrare, lo fa con un scopo preciso, e per l’esigenza di dare voce a chi voce non ha ancora avuto. Magari per anni.
Il documentarista, come ho avuto modo di spiegare più volte, non può, né deve essere obiettivo. E deve essere necessariamente fazioso se vuole adempeiere con serietà il suo mandato. Altrimenti escono fuori film un po’ melensi che cercano di distribuire equamente torti e ragioni.
Ma nella storia, quasi mai i torti e le ragioni possono essere facilmente distribuiti. E magari è proprio questo uno dei limiti di questo film.
Il documentarista deve, invece, però, assumersi la responsabilità di fare comprendere connessioni, contraddizioni, bugie, falsi ideologici e storici che normalmente nessuno di noi noterebbe.
Per farlo deve scegliere, inevitabilmente, un punto di osservazione preciso, che gli consenta di raccontare, facendo capire da quale point of concentration narrativo si sta ponendo.
Ma non credo sia questo il punto in questo film.
La verità (che parola ingombrante, ogni volta che entra in scena mi sento a disagio), è che questo film interviene oltre 40 anni dopo i fatti.
Non è più così difficile raccontare agli italiani cosa realmente accadde a Piazza Fontana.
Certo ci potranno essere più o meno sbavature.
Si sarebbe potuto descrivere l’esistente Calabresi in maniera meno edulcorata, forse in vita avrebbe potuto più nettamente prendere posizione contro i suoi stessi collaboratori.
E forse alcune tesi sono descritte con qualche imprecisione.
Ma io dico che è giusto che gli italiani inizino a interrogarsi sul loro passato.
Come da tempo stanno facendo anche in Germania.
E’ necessario, a mio modo di vedere, più che mai in questo preciso momento storico del nostro paese, così delicato, così fragile, iniziare a fare, veramente, i conti con il reale stato delle cose attuale, attraverso una serena (anche se è difficile), ma necessaria (questo lo penso davvero), sana azione di presa di coscienza di quello che fu il periodo, passato alla storia come quello degli anni della cosiddetta “strategia della tensione“, nel nostro paese.
E non solo se devo essere sincero.
Servirebbero, in verità, molti altri film, quelli si pericolosi, e scomodi, ancora oggi, sui tanti retroscena e non solo politici, ma anche economici, sul ruolo delle banche, per aiutare noi cittadini onesti, che ogni giorno siamo così occupati a dovere sbarcare, spesso con fatica, il loro personale lunario, da non avere sviluppato più, quel sano gusto per la ricerca della verità.
Quella verità che, magari, sarebbe anche lì, alla nostra portata, aldilà dei complotti, e delle tesi, e delle strumentalizzazioni, ma che noi, presi da altre cose, non guardiamo, o, forse, dovrei dire non guardiamo più …
Grazie, quindi, a registi come Marco Tullio Giordana, che ci aiutano, magari anche un po’ maldestramente, ma almeno loro ci provano, a farlo.
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2. Circa gli eventi e gli esistenti del film
E voglio iniziare da lui. Dall’anarchico Pinelli.
Un po’ perchè la sua defenestrazione è stata per me una sorta di mito ancestrale che mi ha istintivamente condotto a sviluppare una sensibilità verso la salvaguardia degli interessi della brava gente. Delle persone più deboli. Diventando così gradualmente di sinistra come formazione politica e buddista come formazione spirituale.
Un po’ perché questo è forse il primo film in cui si tende a rendere giustizia a questo personaggio, realmente esistito, in maniera forte.
Pinelli, come Valpreda, fu una delle vittime della pista anarchica, che per tanti anni ha depistato le indagini.
Sono contento di averlo visto rappresentare nel film come una brava persona. Idealista certo, ma non violento, e molto interessato al lato umano di tutti i rapporti.
Bravo Perfrancesco Favino ad interpretarlo con tanto pathos, è forse l’esistente più credibile e ben ricostruito di tutto il film.
Segue a ruota lui, il commissario Calabresi.
Mi rendo conto, mentre scrivo, che la scelta di Marco Tullio Giordana non sia stata solo stata quella di tentare di ricostruire una verità storica, ma anche quella di rispettare chi, bene o male, ha finito poi con pagare con la propria la vita il suo ruolo in questa storia.
Certo, immagino che il film tracci con un velo, probabilmente, di eccessivo buonismo, certi esistenti.
Quasi certamente il ruolo di Calabresi fu più aspro.
Ma è certo che anche le circostanze della sua morte, sono una delle tante pagine nere della storia della nostra repubblica.
Mastandrea, sempre bravissimo in questi ruoli, ci restituisce un Calabresi molto umano, molto attento al ruolo, magari meno ad una chiarezza etica sui fatti che gli scorsero sotto gli occhi.
Ma, certo, aveva una moglie giovane e dei figli da salvaguardare.
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3. Circa i riferimenti al cinema documentarista di Oliver Stone
Trovo che questo film sia un po’ alla Oliver Stone.
Aldilà del risultato filmico, mi è sembrato, infatti, di cogliere una coralità tipica di certe pellicole del regista americano che, anche lui, come Marco Tullio Giordana, si è spesso attirato gli strali dei critici, e degli esegeti, custodi, delle verità di stato, nei suoi tentativi di restituire, in pellicole come JFK, una verità scomoda, ai cittadini statunitensi.
E, come nei film di Oliver Stone, anche in questo film di Marco Tullio Giordana, ho colto, in attori come Sergio Solli, lo stesso Fabrizio Gifuni, un attore che vedo crescere ad ogni interpretazione, e che è davvero impeccabile nel ruolo di Aldo Moro, l’orgoglio e la consapevolezza di prendere parte comunque ad un grande film, ad un qualcosa di davvero importante per il proprio paese.
Il film poi ruota intorno a tutti i personaggi maggiori e minori delle varie piste che sono state seguite negli anni.
Da quella già citata anarchico insurrezionalista, a quella neo fascista / neo nazista, a quella dei servizi segreti, che sicuramente svolsero un ruolo abbastanza inquietante nei fatti.
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4. Circa il mio punto di vista sul film e sul paese
Ma, come Marco Tullio Giordana, non voglio adesso, in questo post, ripercorrere tutti i fatti, (per quelli c’è la sinossi, e la visione in sala del film), e la loro verosimile veridicità, o ortodossia e fedeltà, rispetto alle verità processuali, pure essendo consapevole, ad esempio, che una persona che stimo molto, come Luca Sofri, abbia avvertito l’esigenza di fare dei distinguo, pubblicando sul suo blog un lungo instant book scritto da suo padre Adriano Sofri.
A me, alla fine, interessa in questo post, solo cogliere un dato.
Molti esistenti del film furono certamente strumentalizzati, difronte alle urgenze che il momento storico esigeva.
Il presidente Saragat, forse l’esistente che esce con il profilo più ambiguo, viveva anni in cui gli Stati Uniti da un lato, l’avanzare del partito comunista dall’altro, la radicalizzazione del conflitto tra destra e sinistra, il rischio di un colpo di stato militare, la stessa strategia della tensione, favorita dai servizi segreti, resero possibili cose, che, oggi, forse, non avrebbe alcun senso fare accadere.
Per questo è importante che i giovani vedano questa pellicola.
Perché è pur vero che quegli anni consentirono, anche, l’instaurarsi di un sistema politico, che se da un lato riuscì a garantire che gli equilibri delle forze in campo non andarono mai radicalmente contro gli interessi della democrazia, dall’altro favorirono, a quella classe, di acquisire dei privilegi, le cui conseguenze paghiamo ancora oggi.
Forse furono proprio quelli, gli anni in cui si sviluppò l’idea di una democrazia non controllabile, dagli elettori.
Che si misero a punto soluzioni politiche che, gradualmente, tolsero potere agli istituti tipici di un sistema democratico.
Se, in altri sistemi, un politico anche solamente vagamente sospettato di avere approfittato della sua posizione, è costretto a dimettersi, ed in Italia ancora no, forse è in quegli anni che dobbiamo iniziare seriamente ad indagare.
Anche culturalmente:
le scelte di controllo della RAI,
dei suoi palinsesti, di utilizzare i mezzi di comunicazione di massa, non per informare, ma per fare propaganda.
Sono tutte cose che pesano, come macigni, sulla testa dei politici di quel momento storico, e forse Aldo Moro fu l’unico statista che capì, con netto anticipo, la necessità di smarcarsi da certi paradigmi tipici di quegli anni, e, guarda caso, anche lui è morto.
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5. Conclusioni – non contano (ormai più) gli esecutori materiali, conta sapere chi siamo
Si, certo, il film porta avanti delle tesi, ma non ripercorre, ad esempio, tutto l’iter processuale, che ha poi di fatto impedito ogni condanna.
Sia gli anarchici che i neo fascisti non hanno subito conseguenze di quei fatti.
Che rimangono, ancora oggi, senza colpevoli.
Ma la verità è che gli esecutori materiali, come il Moro della pellicola dice chiaramente a Saragat, in una memorabile sequenza, furono spinti da altre, e ben più potenti forze, contro le quali, chiunque, in quegli anni, tentava di opporsi veniva fatto fuori.
Il nostro paese non ha vinto la seconda guerra mondiale.
Il nostro paese non è mai stato una democrazia libera.
Ha sempre dovuto fare i conti con mille compromessi, che derivavano da uno stato di non perfetta parità economica e sociale, con gli altri paesi più industrializzati.
E’ arrivato il momento di prendere coscienza del fatto che, se vogliamo, ma davvero, un paese diverso, dobbiamo, inevitabilmente, ripartire da queste considerazioni.
Mettendo da parte antichi livori, ed unendo i nostri sforzi, verso un interesse nazionale che deve essere considerato superiore.
Iniziamo a rialzare la testa, ed a renderci, davvero, conto delle nostre effettive potenzialità.
E ricordiamoci di questo film, quando sarà il momento di tornare alle elezioni.
Anzi prima.
Iniziamo a pretendere una seria riforma della legge elettorale, che ci restituisca, veramente e concretamente, la sovranità popolare.
Una democrazia, degna di tale nome, deve partire da li.
Nella mia memoria di bambino c’è ancora la frase con cui Giuseppe Saragat chiudeva ogni discorso televisivo: “Evviva l’Italia, evviva la Repubblica!“
A ripensarci oggi, dopo aver visto questo film, mi vengono i brividi.
Alla prossima.
Per chi volesse approfondire …
… le polemiche tra Adriano Sofri e l’impostanzione del film (polemica che ma interessa fino ad un certo punto, ma che rispetto), può leggere questo post.
Come ho scritto da me, l’ho trovato un bel film. a parte forse l’unico neo di una ricostruzione finale dei fatti un pò semplicistica (quella spiegata da Calabresi nell’ultima scena prima dell’epilogo del film) ho apprezzato il film sia per come tratta in maniera organica la moltitudine di argomenti e temi che caratterizzarono la vicenda della strage di piazza fontana (il ruolo di moro, gladio, il golpe borghese, la strategia della tensione) che per la dimensione umana con cui sono stati rappresentati pinelli e calabresi (merito anche dei due interpreti). Un gran bel film, di uno dei pochi registi d’inchiesta veri che ci siano rimasti. Complimenti per il bellissimo blog!
pensavo fosse da non perdere, me lo confermi:)
ti dirò dopo averlo visto
ciao
@Ismaele, il film va visto. Magari gli aspetti formali non ti lasciano senza fiato, ok, ma il film va visto. ;-) Rob.