Ovvero l’antropofagia dei produttori italiani
Il cinema italiano contemporaneo, quello basato sulle storie, o, meglio, sul modo di narrarle, di scrivere le sceneggiature, che rievocano gli autori del passato, dovrebbe essere ormai considerata una pratica superata, obsoleta, al limite sopravvissuta – ma non in quanto utile, o, darwinianamente parlando, perché abbia saputo adattarsi al cambiamento – ma perché siamo in Italia, e nessuno ha il coraggio di ammettere che, il nostro Cinema, segna il passo, ormai, da troppi lustri.
Con le dovute, rare, eccezioni, per fortuna! Che, guarda caso, mietono premi e prestigiosi award, nei Festival Internazionali di Cinema non italiani.
E’ ora di dire: “Basta!”
Bisogna voltare pagina!
Liberarsi del complesso edipico del Padre.
Non dobbiamo più tentare, goffamente, di compiacere ai nostri genitori, ma abbiamo l’obbligo, morale ed artistico, di creare nuovi linguaggi comprensibili alle generazioni future.
Anche solo per questo, amo il costante sforzo di ricerca di maestri come Lars von Trier, che osano ad ogni loro pellicola.
Il futuro del cinema è basato, dunque, sulla ricerca su nuovi codici visivi. Nuovi idiomi, nuovi lessici.
Sia visivi, che di screenplay.
Produttori italiani svegliatevi!
State navigando a vista!
Non vi rendete conto che vi cibate solo o di tossici film vacanzieri, o, in maniera del tutto antropofagica, di autori che non hanno più nulla da dire, da interi decenni?
O, peggio, che tentano di raccontare vicende – che siano passate, o contemporanee, ben poco importa – nel modo e negli stilemi dei grandi maestri del passato, che, però, avevano inventato un loro modo filmico di narrare, con risultati a dir poco grotteschi, che rasentano il patetico, e che non sono, ormai, più in grado di toccare né la mente, né il cuore, e nemmeno la pancia, di nessuno.
Tanto meno dei giovani.
Ma non vi accorgete … che il Cinema è altrove?
Che sperimenta nei giovani dei nuovi serial televisivi, anche di quelli distribuiti sul web?
O, al limite, nei cortometraggi, distribuiti gratuitamente, su YouTube?
Perché non fate girare un nuovo film kitsch e camp a Roberta Torre, come “Tano da morire“?
Se proprio vogliamo guardare al passato, è necessario mordere il presente, anche nell’espressione.
“Il coraggio uno non se lo può dare.”
Basterebbe, magari, dedicare una parte degli investimenti alle “cose nuove”, ma appunto…
@Ismaele, uno dei ruoli dei cine-blogger, e forse anche della critica cinematografica, dovrebbe essere quello di essere un pungolo per l’industria cinematografica.
Se non iniziamo a dirle noi, queste cose, chi ti aspetti che lo faccia, Gigi Marzullo in Rai, o Gianni Canova su Sky?
La frase che citi è di Don Abbondio, ed è tratta da “I promessi sposi“, non certo un modello da prendere ad esempio.
Aggiungo, e chiudo, che non basterebbe neanche quello che dici, perché, a quel punto, bisognerebbe poi parlare del coraggio degli esercenti, che a Roma ci sarebbe pure, ed, ancora di più, quindi, di quello delle società di distribuzione, ma in un altro post, magari. ;-)
E andiamo! ;-)
Buona domenica.
Rob.