Cinemavistodame.com di Roberto Bernabò

Post Discorso #1: Storie non narrate

Circa la teoria narrativa usata in questo blog

a cura di Roberto Bernabò

“Il silenzio è divenuto la sua lingua madre”.
Oliver Goldsmith – “The Good-Natured Man”


Spesso faccio riferimento nel mio blog alla dicotomia Storia e Discorso.

Ma se ho, in più occasioni, chiarito cos’è una Storia, raramente mi sono soffermato sul concetto di Discorso.

Dal momento che non riesco, per il momento, a scrivere un’analisi di un film, forse anche perché manca, da un po’ di tempo, un’opera che me la solleciti, decido di provare ad iniziare una serie di post, un po’ più tecnici, per chiarire, ai miei lettori, ed ai frequentatori di questo spazio, cosa intendo per Discorso.

Spero non vi annoieranno. ;-)

§§§

In questo post:

1. Le storie non narrate

1.1 Autore reale, autore implicito, narratore, lettore reale, lettore implicito, narratario

§§§

1. Le storie non narrate

Ogni narrativa – come sostiene questa teoria – è una struttura con un piano del contenuto, (chiamato “storia”), ed un piano dell’espressione (chiamato “discorso“).

Il piano dell’espressione è l’insieme degli enunciati narrativi, dove “enunciato” è la componente fondamentale, della forma dell’espressione, indipendente da, e più astratta di, ogni altra manifestazione particolare – e cioè la sostanza dell’espressione, che varia da arte ad arte.

Una certa posizione in un balletto, una serie d’inquadrature in un film, un’intero paragrafo in un romanzo, o soltanto una singola parola – ognuna di queste unità può rappresentare un singolo enunciato narrativo.

Viene proposto di suddividere in due categorie gli enunciati narrativienunciati di processo, ed enunciati di stasi – a seconda che il predicato narrativo profondo (non è la superficie linguistica) sia nel modo dell’esistenza (ESSERE), o dell’azione (FARE).

Sovrapposta a questa dicotomia ne esiste un’altra: l’enunciato è presentato direttamente al pubblico, o è mediato da qualcuno – un qualcuno che chiamiamo narratore?

La presentazione diretta presuppone, in un certo senso, un uditorio che “ascolta per caso”.

La narrazione mediata, d’altra parte, presume una comunicazione, più o meno esplicita, fatta dal narratore in pubblico. Questa corrisponde, essenzialmente, alla distinzione fatta da Platone fra mimesis e diegesis, e, in termini moderni, alla distinzione tra mostrare (showing), e narrare (telling).

Nella misura in cui esiste una narrativa, deve esistere un narratore, una voce narrativa.

Il narratore, la fonte di trasmissione, può essere considerato, a mio parere, come uno spettro di possibilità, che vanno dai narratori che sono meno udibili, a quelli che, invece, lo sono al massimo grado.

L’etichetta attribuita al polo negativo di narratività, è meno importante della sua realtà all’interno dello spettro.

Io utilizzo il termine di “non narrato”, il lettore potrebbe preferire “narrato in modo minimale”, comunque l’esistenza di questo tipo di trasmissione sarà bene assestata.

La presenza del narratore nasce dalla percezione che il pubblico ha di una comunicazione evidente.

Se il pubblico percepisce nettamente che gli si sta raccontando qualche cosa, presume o desume che vi sia un narratore.

L’ipotesi contraria è una “presenza diretta” allo svolgersi dell’azione.

Certo, anche in un’arte scenica come il balletto, e il dramma, la pura mimesi, è un’illusione, ma il grado di analogia possibile, varia.

Il problema principale è il modo in cui l’illusione viene raggiunta, per quale convenzione, cioè, con cui uno spettatore o un lettore accetta l’idea che è “come se” fosse personalmente sulla scena, sebbene vi giunga sedendo su una sedia, in un teatro, in un cinema, o voltando le pagine e leggendo delle parole.

Gli autori possono adottare tecniche particolari, per mantenere l’illusione che gli eventi “si dispieghino letteralmente davanti agli occhi del lettore”, soprattutto limitando il tipo degli enunciati che si possono presentare.

Per comprendere il concetto di voce narrativa (ivi inclusa la sua “assenza”), abbiamo bisogno di esaminare tre punti preliminari:

  1. le interrelazioni delle diverse parti del patto narrativo;
  2. il significato di “punto di vista” e le sue relazioni con la voce narrativa;
  3. e la natura degli atti di parola e di pensiero come sottoclasse della classe generale degli atti.

Questi argomenti formano i prolegomeni necessari all’analisi della voce del narratore, su cui si basa qualsiasi discussione sul discorso narrativo.

§§§

1.1 Autore reale, autore implicito, narratore, lettore reale, lettore implicito, narratario

Che sia necessario non confondere autore e narratore, è divenuto un luogo comune della teoria della letteratura.

Come dice Monroe Beardsley, “chi parla, in un’opera letteraria, non può essere identificato con l’autore – e perciò il ill carattere e la condizione del parlante possono essere riconosciuti solo per evidenza interna – a meno che l’autore non abbia fornito un contesto pragmatico, o una sua fattispecie, che connetta il parlante con lui stesso”.

Ma anche in questo contesto il parlante, no è l’autore, ma l’”autore” (con virgolette come in “come se”) o meglio, l’”autore” – narratore, che è uno dei molti tipi possibile.

Per di più, vi è un terzo personaggio, soprannominato giustamente da Wayne Booth, l’”autore implicito”.

Scrivendo [l’autore reale] crea non soltanto un ideale, impersonale, “uomo in generale”, ma implicita versione di “se stesso”, che è differente dall’autore implicito, che incontriamo nelle opere degli altri …

Sia che noi chiamiamo questo autore implicito lo “scrivente ufficiale”, sia che adottiamo il termine ripreso da Kathleen Tillotson – l’”alter egodell’autore – è chiaro che l’immagine che il lettore he di questa presenza, è uno dei più importanti effetti conseguiti dagli autori.

Per quanto impersonale si sforzi di essere, il suo lettore si costruirà inevitabilmente l’immagine dello scrivente ufficiale.

L’autore viene definito “implicito”, perché è ricostruito dal lettore per mezzo della narrazione. Non è il narratore, ma piuttosto il principio che ha inventato il narratore, insieme a tutto il resto della narrazione, che ha sistemato le carte in un certo modo, ha fatto succedere queste cose, a questi personaggi, in queste parole, o in queste immagini.

A differenza del narratore, l’autore implicito non può dirci niente.

Egli, o, meglio, esso, non ha voce, non ha mezzi diretti di comunicazione.

C’istruisce in silenzio, attraverso il disegno del tutto, con tutte le voci, con tutti i mezzi che ha scelto, qualificato, per farci apprendere.

Possiamo affermare più chiaramente la nozione di autore implicito, paragonando narrazioni differenti, scritte, dallo stesso autore reale, e che, tuttavia, presuppongono autori impliciti differenti.

Così esemplifica Booth: L’autore implicito di Jonathan Wild, “è implicitamente assai interessato alla vita pubblica ed agli effetti che ha un’ambizione sfrenata sui “grandi uomini” che raggiungono il potere nel mondo. Mentre l’autore implicito “che ci si presenta nella prima pagina di Amelia” trasmette piuttosto un’”aria di sentenziosa solennità”.

L’autore implicito di Jospeph Andrews, al contrario, appare “faceto” e “generalmente spensierato” – Non soltanto il narratore, ma l’intero disegno di Jospeph Andrews, funziona in maniera assai differente di quello di Jonathan Wild o di Amelia. Henry Fielding ha così creato tre tipi differenti di narratori impliciti.

La distensione è particolarmente evidente nel caso del “narratore inattendibile”, (un’altra espressione felicemente coniata da Booth).

Ciò che rende un narratore inattendibile è il fatto che i suoi valori divergono notevolmente da quelli dell’”autore implicito”; cioè che il resto della “narrativa” – “la norma dell’opera” – è in conflitto con la presentazione del narratore, e noi sospettiamo della sua sincerità della sua competenza a raccontare, la “versione vera”.

Il narratore inattendibile è virtualmente in disaccordo con l’autore implicito, altrimenti la sua inattendibilità non potrebbe emergere.

L’autore implicito stabilisce le norme della narrativa, ma l’insistenza di Booth nell’affermare che si tratta di norme morali, non mi sembra necessaria.

Le norme sono codici culturali, di cui abbiamo già rilevato l’importanza per la Storia. L’autore reale può postulare tutte le norme che vuole, attraverso il suo autore implicito.

Non ha senso accusare il vero Céline, o il vero Montherlant di quanto l’autore implicito fa accadere in “Viaggio al termine della notte”, ed in “Ragazze”, così come non ha senso ritenere il vero Conrad responsabile degli atteggiamenti reazionari dell’autore impolitico diL’agente segreto” di “Con gli occhi dell’Occidente”, (o ancora Dante con le idee cattoliche dell’autore implicito della “Divina Commedia”).

Il nostro sistema morale non può essere realmente “sedotto” dalla scaltrezza di un autore implicito.

L’accettazione del suo universo è estetica, non etica. Confondere l’”autore implicito”, che è un principio strutturale, con le figure storiche che possiamo (o non possiamo) amnirare, moralmente, politicamente, o, anche, personalmente, incrinerebbe gravemente il nostro tentativo teorico.

Vi è sempre un autore implicito, sebbene non possa non esservi un vero singolo autore del senso comune del termine: la narrativa può essere stata composta da una équipe (i films di Holliwood), da un gruppo disparato di persone nel corso di un lungo periodo di temo (molte ballate popolari), o per generazione casuale da un computer, etc.

La controparte dell’autore implicito è il lettore implicito – non voi in carne ed ossa o io stesso, che sediamo nella stanza a leggere il libro, ma il pubblico presupposto dalla narrativa stessa. Come l’autore implicito, il lettore implicito è sempre presente, ed esattamente come può esserci o non esserci un narratore, può esserci o non esserci un narratario.

Questi può assumere la qualità di personaggio nel mondo dell’opera: per esempio chi ascolta marlow mentre racconta la storia di Jim o di Kurtz. O può anche non esserci nessun riferimento a lui. sebbene la siua presenza si possa percepire. in questi casi l’autore dice esplicitamente quale desidera sia l’atteggiamento del pubblico, e si deve concedergli il beneficio del dubbio se si vuole andare avanti nel racconto. Il personaggio del narratori è solo un esperente col quale l’autore implicito informa il lettore reale su come giocare la parte del lettore implicito, e quale Weltaschauung adottare.

Il personaggio del narratario tende a comparire in narrative come quello di Conrad in cui il tessuto morale è particolarmente complesso, e dove il buono non si può così facilmente distinguere dal cattivo. Nelle narrative senza un narratario esplicito, l’atteggiamento del lettore implicito può essere ricostruito, sugli ordinari parametri morali e culturali.

Così “Gli uccisori” di Hamingway, non ci lascia pensare che siamo anche noi membri del Mob, la storia non funzionerebbe se lo facessimo.

Naturalmente, il lettore reale, può, in definitiva, rifiutare il ruolo che gli è attribuito – i non credenti non diventano cristiani soltanto a leggere l’”Inferno”, o “Il paradiso perduto”.

Ma questo rifiuto non contraddice l’accettazione immaginativa del “come se”, necessaria al lettore implicito per una comprensione elementare della narrativa.

Come è necessario distinguere tra narratario, lettore implicito (parti immanenti alla narrativa), e lettori reali (parti estrinseche e accidentali alla narrativa), nella stessa maniera è necessario distinguere tra narratore, autore implicito, e autore reale. Il “ru” o il “caro lettore”, che il narratore di Tom Jones usa in “Tristram Shandy” l’alleanza è abbastanza stretta: in “Le amicizie pericolose”, o inCuore di tenebra”, la distanza è grande.

La situazione del narratario è parallela a quella del narratore: può variare un individuo pienamente caratterizzato a “nessuno”. Di nuovo “assenza” o “mancanza” di segnalazione sono posti tra virgolette: in un certo senso ogni racconto implica un ascoltatore o un lettore, così come implica un narratore. Ma l’autore può, per varie ragioni, lasciare che queste componenti rimangano non detto, al di fuori dell’opera, per suggerire che non esistono.

Possiamo ora esemplificare nello schema pubbilcato nell’icipit di qtesto post, la situazione della comunicazione narrativa:


Il riquadro implica che solo l’autore implicito e il lettore implicito sono immanenti alla narrativa, e che il (narratore) e il (narratario), posti tra le parentesi, sono opzionali. L’autore reale e il lettore reale sono fuori dal patto narrativo in quanto tale, sebbene, è ovvio, gli siano fondamentalmente indispensabili.

Alla prossima.

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