Italia 2024
Analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
“Le radici e la memoria: Parthenope, Napoli e il confine tra storia e sogno”
a cura di Roberto Bernabò
Indice dei contenuti
ToggleCeleste Dalla Porta: Parthenope giovane; Stefania Sandrelli: Parthenope adulta; Daniele Rienzo: Raimondo, fratello di Parthenope; Luisa Ranieri: Greta Cool; Silvio Orlando: Devoto Marotta; Gary Oldman: John Cheever; Isabella Ferrari: Flora Malva; Peppe Lanzetta: Cardinale Tesorone; Marlon Joubert: Roberto Criscuolo; Alfonso Santagata: Achille Lauro; Lorenzo Gleijeses: Sasà, padre di Parthenope; Silvia Degrandi: Maggie, madre di Parthenope; Nello Mascia: chitarrista nella casa dei camorristi; Biagio Izzo: parente di Parthenope; Teresa Del Vecchio: signora addormentata a tavola; Dario Aita: Sandrino; Biagio Musella: Assistente Professore; Margherita Aresti: Vittoria, ragazza della “grande fusione”; Francesco Ferrante: ragazzo della “grande fusione”; Cristiano Scotto di Galletta: giardiniere.
Sinossi: Parthenope, il film diretto da Paolo Sorrentino, racconta il lungo viaggio della vita di Parthenope, dal 1950, quando nasce, fino a oggi. Un’epica del femminile senza eroismi, ma abitata dalla passione inesorabile per la libertà, per Napoli e gli imprevedibili volti dell’amore. I veri, gli inutili e quelli indicibili, che ti condannano al dolore. E poi ti fanno ricominciare. La perfetta estate di Capri, da ragazzi, avvolta nella spensieratezza. E l’agguato della fine. Le giovinezze hanno questo in comune: la brevità. E poi tutti gli altri, i napoletani, vissuti, osservati, amati, uomini e donne, disillusi e vitali, le loro derive malinconiche, le ironie tragiche, gli occhi un po’ avviliti, le impazienze, la perdita della speranza di poter ridere ancora una volta per un uomo distinto che inciampa e cade in una via del centro. Sa essere lunghissima la vita, memorabile o ordinaria. Lo scorrere del tempo regala tutto il repertorio di sentimenti. E lì in fondo, vicina e lontana, questa città indefinibile, Napoli, che ammalia, incanta, urla, ride e poi sa farti male…
“Come è enorme la vita, ci si perde dappertutto.”
Louis-Ferdinand Céline
Parthenope adulta
Analsi
Introduzione
Nel contesto del cinema contemporaneo, Paolo Sorrentino continua a distinguersi come uno degli autori più raffinati e visionari.
Con “Parthenope,” il regista non si limita a raccontare una storia. Costruisce piuttosto, un’esperienza sensoriale che attraversa la memoria, il desiderio e i conflitti interiori. Come studioso del cinema e dell’opera di questo autore, posso affermare che il suo specifico filmico è ormai sempre più teso nel creare mondi visivi ricchi e complessi. La Napoli che ci viene presentata non è solo una città, ma diventa il palcoscenico di una riflessione universale una sorta di correlativo oggettivo dei concetti universali del tempo e dell’identità.
Così come ne “La grande bellezza” Sorrentino ci aveva affidato al personaggio guida di Gep Gambardella, in Parthenope, al centro di questo affresco emotivo e visivo ci affida nelle mani di una donna, Parthenope appunto, l’ennesimo antieroe (anzi antieroina questa volta) sorrentiniano, che è la protagonista del suo stesso viaggio interiore. Attraverso il suo cammino, il cineasta esplora il dualismo tra un passato difficile da lasciare andare, e un presente che sfida continuamente. (Che sia questa una sua inconscia riflessione sulla città di Napoli?)
1. Analisi degli eventi
Parthenope si articola attraverso una serie di eventi che si snodano lungo il confine tra sogno e realtà, passato e presente, senza mai permettere allo spettatore di attingere a una verità definitiva. La protagonista, una donna di cui seguiamo l’evolversi dal momento della nascita a quello della sua pensione, inizia il suo viaggio nell’acqua, con una rinascita che segna la soglia tra mito e umanità. Questo primo respiro in mare evoca immediatamente un legame primordiale con Napoli, che si rivelerà essere per lei tanto un luogo fisico quanto uno specchio dell’anima.
La nascita nell’acqua
Il film ha inizio con la nascita di Parthenope nella villa di Achille Lauro nell’acqua.
La nascita della protagonista nell’acqua può avere vari significati simbolici, allegorici e metafisici. L’acqua è spesso associata al concetto di rinascita, purezza e origine della vita. Per la protagonista, nascere nell’acqua può rappresentare il legame con le origini ancestrali e mitologiche della città di Napoli, tradizionalmente collegata alla figura della sirena Partenope, che secondo il mito dà il nome alla città.
Simbolicamente, l’acqua è anche un elemento di trasformazione e di passaggio: nascere nell’acqua è un atto che evoca la fusione tra il mondo terreno e quello spirituale, suggerendo un destino legato a una dimensione più profonda e primordiale dell’esistenza.
Allegoricamente, la scena può rappresentare un percorso di purificazione o rigenerazione per la protagonista, che emerge dall’acqua in un processo che simboleggia una rinascita verso una nuova consapevolezza o missione.
Metafisicamente, l’acqua può rappresentare il collegamento tra l’inconscio e il conscio, il mondo dei vivi e dei morti. La nascita della protagonista nell’acqua potrebbe quindi indicare un destino segnato dal dialogo tra queste dimensioni, come se fosse chiamata a esplorare e incarnare un legame eterno con l’identità e il mito di Napoli.
In sintesi, questo elemento simboleggia un’origine che trascende il semplice atto fisico di nascita, assumendo connotazioni esistenziali che legano la protagonista a una dimensione mitologica e spirituale, tipica della poetica di Sorrentino.
Il mito di Parthenope
Quando si parla di Napoli, infatti, si usa spesso anche il nome “Parthenope“. Ma chi era Parthenope? Secondo il mito, Parthenope era una delle sirene che tentò di incantare Ulisse con il suo canto. Quando lui riuscì a sfuggirle grazie alla sua astuzia, Parthenope, affranta, si tolse la vita, e il suo corpo fu trasportato dalle correnti fino a incagliarsi sugli scogli dell’isolotto di Megaride, dove oggi si erge il Castel dell’Ovo.
Una versione meno leggendaria identifica invece Partenope come una bellissima giovane, figlia del condottiero greco Eumelo Falevo. Partito verso le coste campane per fondare una colonia, Eumelo perse la figlia a causa di una tempesta che fece naufragare la nave. In suo onore, fu dato alla nuova città il nome Partenope.
Il viaggio verso la città nativa
Il cammino di Parthenope non è solo un ritorno geografico a Napoli, ma un percorso simbolico e spirituale verso la riscoperta di sé. Napoli, culla della sua infanzia e simbolo delle sue radici, si presenta ora come una città sospesa tra passato e presente, tra memoria e oblio. Le sue strade e vicoli, teatro di ricordi e rimpianti, sono anche uno spazio in cui Parthenope confronta le parti frammentate di sé stessa. La città diventa così una sorta di corpo esteso della protagonista, un mosaico in cui i ricordi si intrecciano e si dissolvono, riaffiorando nel suo cammino come pezzi di un’identità spezzata.
Incontri con il passato
Gli incontri con persone del passato – amori perduti, vecchi amici, familiari – sono momenti densi di emozione e rivelazione. Ogni volto che Parthenope incrocia è un frammento di una vita che avrebbe potuto essere, un pezzo di un puzzle mai completato. Questi incontri la portano a mettere in discussione scelte e identità, risvegliando un senso di nostalgia e insieme di disillusione. Nulla di ciò che è stato può essere riportato indietro, ma ogni ricordo possiede un potere misterioso, quasi magico, che condiziona il suo presente.
Le sequenze oniriche e simboliche
Nel film, Sorrentino usa il sogno e le visioni oniriche per esplorare le profondità del conflitto interiore della protagonista. Questi momenti non sono solo allucinazioni, ma veri e propri squarci sull’inconscio di Parthenope, riflettendo le sue paure, i suoi desideri e i rimpianti inespressi. Attraverso immagini potenti e simboliche, come il mare e le ombre che popolano la sua mente, Sorrentino dipinge una Napoli sospesa tra mito e realtà, in cui il confine tra ciò che è immaginario e ciò che è vissuto sfuma continuamente.
Un viaggio esistenziale verso la comprensione di sé
Parthenope rappresenta più di un semplice personaggio: è l’incarnazione di un viaggio interiore che esplora la tensione tra l’essere e il divenire, tra la ricerca di identità e il desiderio di libertà. Con il suo nome che richiama l’antico mito di fondazione di Napoli, Parthenope è un archetipo della condizione umana, in costante ricerca di significato e di radici. La sua nascita nell’acqua segna l’inizio di questo viaggio simbolico e segna un ritorno alle sue origini che, tuttavia, è costellato da continui conflitti emotivi.
La bellezza e la decadenza
Come la città, Parthenope è un personaggio segnato dalla bellezza decadente, un fascino che nasconde la fragilità della condizione umana. Napoli, con la sua bellezza complessa e sfiorita, riflette la stessa dolcezza malinconica della protagonista, il cui volto porta i segni del tempo e delle esperienze passate. È una bellezza fatta di ricordi e di cicatrici, che evoca sia la nostalgia per ciò che è stato sia la consapevolezza che ogni cosa è destinata a scomparire.
Le sequenze oniriche come specchio dell’anima
Le scene oniriche sono forse il veicolo più potente per penetrare nell’interiorità di Parthenope. In questi sogni, la protagonista sperimenta situazioni che sfidano la logica, portando alla luce il suo lato più nascosto. Le visioni non offrono risposte, ma le permettono di avvicinarsi alla verità di sé, ogni sogno come una tessera che, pur rimanendo incompleta, rivela sfumature di una consapevolezza più profonda. Il mare, la città, gli incontri fugaci divengono simboli di un’esplorazione dell’inconscio che, come il ritorno alla città natale, non ha mai una conclusione definitiva.
Conclusione: Parthenope come simbolo universale
In definitiva, Parthenope non è solo la storia di una protagonista, ma una riflessione universale sul conflitto tra passato e presente, tra desiderio di appartenenza e necessità di libertà. Il suo percorso non cerca di risolvere i misteri dell’identità, ma ne indaga la bellezza e la complessità. Il viaggio di Parthenope ci ricorda la bellezza e la sofferenza insite nel tentativo di capire chi siamo davvero, di fare pace con il nostro passato e con le parti di noi che sono ancora alla ricerca di risposte.
2. Point of concentration narrativo
La giovinezza come principale focalizzazione del racconto e la chiave di lettura mitologica
Giovinezza vs. maturità
Alla prima visione di Parthenope, potrebbe sembrare che Sorrentino celebri la giovinezza, ma riflettendo più a fondo emerge come il film rappresenti piuttosto un’ode alla sua perdita.
In ogni dettaglio e sguardo, si percepisce un racconto nostalgico e struggente che tenta di evocare le sensazioni della giovinezza, pur concentrandosi, con una certa inquietudine, sul vuoto che lascia una volta svanita.
Se osserviamo da vicino gli “esistenti” del film – i luoghi, le persone, i momenti – scopriamo che ogni elemento è costruito per convergere su un punto focale: non la giovinezza stessa, ma lo smarrimento profondo che accompagna la consapevolezza della sua fine, o meglio del lutto che deriva dalla perdita delle sensazioni e delle emozioni pure e sassolute che riusciva a trasmetterci.
Sorrentino esplora, con raffinata sensibilità, il trascorrere del tempo, il potere della memoria e il peso della nostalgia, dipingendo i personaggi come anime in conflitto con i propri rimpianti e occasioni perdute.
In questo universo narrativo, la giovinezza non è solo una stagione di promesse, ma una dimensione irrimediabilmente trascorsa, che lascia ferite e interrogativi.
Particolarmente evocativa è la scena in cui Parthenope, sopraffatta dall’emozione, scoppia a piangere tra le braccia del Professor Marotta: è qui che il senso di smarrimento si fa carne, un momento in cui passato e presente si incontrano in uno struggimento che travolge.
Attraverso una struttura narrativa sfumata tra flashback, incontri fugaci e sequenze oniriche, Sorrentino sottolinea questa frattura, esprimendo la difficoltà e il desiderio di riconciliare ciò che è stato con ciò che resta. Parthenope, in questo senso, non è un semplice racconto della giovinezza, ma un’indagine filosofica e introspettiva sulla perdita, che spinge lo spettatore a confrontarsi con la propria condizione umana e il percorso ineluttabile della vita.
Del resto lo stesso regista Paolo Sorrentino al Giffoni Film Festival in un incontro con i ragazzi ha voluto sottolineare l’importanza della giovinezza come fase cruciale nella vita di ogni individuo:
“Essere giovani è una grande responsabilità, perché quando si è giovani si sta costruendo il futuro e, al tempo stesso, il proprio passato: quello che ricorderemo nella maniera più vivida, malinconica, luminosa e raggiante.”
Sorrentino ha descritto la scena mostrata al Giffoni come uno di quei momenti in cui i giovani vivono senza pensare né al futuro né al passato.
Ha augurato ai ragazzi di vivere appieno quei momenti in cui “Il presente accade e basta”, citando Sandro Penna: “Si è talmente vivi che così vivi non si può.”
Sapete qual è la scena? Quella di Capri, quella che sembrerebbe essere quella dell’amore e della felicità allo stato puro, eppure senite come la descrive l’attrice protagonista:
Celeste Dalla Porta ha condiviso la sua esperienza: “Mi ha dato una sensazione di forte malinconia, che a volte si prova nei momenti più belli. Lì era un momento di amore, di libertà, di condivisione, come lo è un abbraccio, e percepire che in quell’abbraccio c’era anche una mancanza. Mi ha trasmesso la sensazione di cercarsi e cercare qualcosa insieme.”
Chiave di lettura mitologica
Un altro point of concentration che Sorrentino utilizza in Parthenope, è sicuramente quello mitologico che il regista utilizza come come un tessuto narrativo e visivo che intreccia archetipi e simboli per esplorare il rapporto tra l’umano e l’eterno. La scelta del nome stesso, “Parthenope”, richiama la figura della sirena della mitologia greca, una creatura sospesa tra il fascino e la distruzione, tra l’incanto del canto e il naufragio inevitabile. Questo doppio significato è il cuore pulsante del film, che utilizza la sirena come metafora della nostalgia, dell’irresistibile attrazione verso ciò che è perduto, e della tensione tra bellezza e dolore.
Sorrentino riempie Parthenope di simbolismi mitologici, trasformando Napoli, la città che secondo la leggenda nacque dalla morte della sirena, in uno spazio al tempo stesso reale e atemporale. I personaggi del film sembrano incarnare figure archetipiche: il Professor Marotta potrebbe essere visto come un Tiresia moderno, colui che vede la verità ma è condannato a portarne il peso, mentre Flora Malva, con il suo volto velato, richiama le sacerdotesse che custodiscono i misteri e che, nonostante la loro sapienza, vivono separate dal mondo.
Gli elementi simbolici si moltiplicano attraverso l’uso del mare, presente in molte scene, che diventa uno specchio dell’inconscio collettivo: un luogo che conserva i segreti, il passato e il mito stesso. Il mare, proprio come Parthenope, è il punto di origine e di fine, il richiamo irresistibile verso l’ignoto che, al tempo stesso, promette e distrugge. Anche la musica, con i suoi momenti sospesi tra il sacro e il profano, richiama l’idea del canto delle sirene: un invito a immergersi nel passato, sapendo che ciò comporterà una perdita.
Un altro elemento simbolico che rinforza il legame mitologico è la presenza ricorrente delle rovine. Come frammenti di un’antichità mai davvero scomparsa, queste immagini ricordano che il mito non è altro che ciò che resta della memoria collettiva. Sorrentino sembra dirci che viviamo circondati dai resti del mito, incapaci di ricostruirlo interamente, ma altrettanto incapaci di ignorarne il richiamo.
Il riferimento al miracolo di San Gennaro e al suo tesoro, che culmina con l’immagine di una donna che ha le mestruazioni, è uno dei momenti più potenti e simbolici di Parthenope, denso di stratificazioni mitologiche e riflessioni sul sacro e il profano. Nel contesto napoletano, il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro è un simbolo di fede collettiva e speranza. È un rito che unisce il popolo in un’attesa carica di tensione e devozione, un momento in cui il tempo sembra sospendersi e il sacro entra nel quotidiano. Tuttavia, nel film, Sorrentino prende questo simbolo della spiritualità e lo scompone, lo rende terreno e umano, portandolo su un piano esistenziale. La sua lettura non è dissacrante, ma piuttosto decostruisce il miracolo per mostrarne l’aspetto più universale: la connessione tra la vita, il corpo e il mistero della natura.
La scena che lega il miracolo al sangue mestruale di una donna è fortemente simbolica e colma di significati. Le mestruazioni, da sempre associate alla ciclicità della vita, alla fertilità e alla condizione umana, sono qui un contraltare al sangue sacro del santo. Sorrentino sembra voler creare un parallelismo tra il sangue del miracolo, conservato e venerato, e il sangue mestruale, che è spesso considerato banale o addirittura tabù. Entrambi i tipi di sangue, però, parlano della vita: uno attraverso il miracolo e l’immortalità del santo, l’altro attraverso il ciclo naturale del corpo femminile, che è la base stessa della continuità umana.
Con questa immagine, il regista pare suggerire che il miracolo non risieda solo nella dimensione trascendente, ma anche nella carne, nel corpo, nel quotidiano. La donna che ha le mestruazioni diventa una figura mitologica e archetipica: una madre potenziale, un simbolo della natura che si rinnova, un richiamo al potere creativo femminile che è stato sacralizzato e demonizzato al tempo stesso nelle varie tradizioni culturali e religiose.
Questo accostamento tra San Gennaro e il sangue mestruale potrebbe essere visto come un invito a riconsiderare il concetto stesso di sacro, spostandolo da un piano esclusivamente spirituale a uno più terreno e umano. È una provocazione poetica che restituisce dignità a ciò che è naturale e spesso trascurato, invitando lo spettatore a riflettere sul legame indissolubile tra il divino e il corporeo, tra il mito e la vita quotidiana. La donna diventa così una “dea” moderna, il cui miracolo non è venerato, ma è altrettanto essenziale quanto quello celebrato nei riti collettivi.
Il point of concentration mitologico del film, dunque, non è solo un riferimento alla leggenda di Parthenope, ma diventa il filo conduttore che lega i personaggi, i luoghi e i simboli in una riflessione universale. La sirena diventa il simbolo del desiderio di tornare all’origine, alla purezza della giovinezza, ma anche l’impossibilità di farlo senza pagarne il prezzo. Sorrentino non offre risposte, ma un mosaico di immagini e suggestioni che invitano lo spettatore a confrontarsi con la propria “Parthenope”, quel mito personale che ciascuno di noi porta dentro e che ci chiama, come un canto lontano, dal profondo del nostro essere.
3. Analisi degli esistenti
Il professore Devoto Marotta
Il Professore Devoto Marotta, accademico di grande prestigio, rappresenta la figura della razionalità e della cultura, ma anche dell’intransigenza e dell’aridità intellettuale. In Parthenope, Marotta è probabilmente la voce della logica, della sistematicità, che si contrappone alle turbolente emozioni della protagonista. La sua figura appare come un guardiano della “verità” storica e accademica, ma anche come un uomo incapace di cogliere le sfumature emotive e la realtà interiore della protagonista.
Il suo ruolo potrebbe essere simbolico di una certa elite culturale, che offre risposte ma non risolve le questioni più intime e profonde della vita. Marotta sembra agire come una sorta di interlocutore che, pur offrendo un certo tipo di saggezza, non è in grado di rispondere alle domande più esistenziali del protagonista, come quelle legate alla propria identità e alla sua ricerca di sé.
Marotta affascina, inoltre, per la sua disillusione, che si manifesta come una forma di lucidità tagliente.
È un uomo piegato da una pena troppo profonda per essere nascosta. Una sofferenza che non può più mascherare e che, anzi, si riversa inevitabilmente in ogni suo gesto e parola.
É un uomo che non ha illusioni perché i suoi occhi sono troppo aperti (l’antropologia è vedere …) per il troppo dolore a cui deve assistere.
La sua intransigenza, quasi brutale, è il segno di un’intolleranza verso qualsiasi compromesso: egli non si concede illusioni, forse perché ha visto troppo e troppo a lungo, attraverso quello sguardo antropologico che è, insieme, una finestra spalancata sul mondo e un campo di battaglia in cui la vita si rivela nei suoi aspetti più crudi.
Marotta rappresenta chi ha conosciuto il dolore e non può più concedersi il lusso di sperare.
Per lui accettare la sofferenza significa rifiutare tutto ciò che potrebbe addolcirla, perché sarebbe un tradimento verso una realtà che ha accolto integralmente, senza mediazioni. In una conversazione emblematica, quando Parthenope gli chiede: “A cosa pensi?”, egli risponde: “A tutto il resto.”
È un momento che svela il suo profondo rifiuto di quella bellezza effimera che il mondo ancora offre, una bellezza che per lui è ormai una tentazione a cui ha scelto di rinunciare, consapevole che la verità che ha scoperto non gli permette di indugiare in speranze illusorie.
Mi sono chesto se marotta sia l’unico esistente che ha la capacità di comprendere Parthenope, in quanto è anche l’unico che riesce a abbraccisrls nel film (Io e te siamo la stessa cosa, dice).
Marotta é sicuramente il cardine che indirizza la vita di Partenope fino alla fine, l’incontro che apre gli occhi a Partenope: il momento in cui il passato e il presente, illusione e disillusione, giovinezza e vecchiaia si incontrano (l’abbraccio) e decodificano lo stesso messaggio: la giovinezza non è una promessa.
Non ha nessuna capacità predittiva, la giovinezza è esattamente come la bellezza, uno stato temporaneo destinato a finire e lentamente finisce, nella memoria conserva qualche traccia di quello che fu ma mai in nessuna foto un vecchio riconosce se stesso giovane senza sorprendersi di quanto poco gli sia rimasto di quel se stesso. Se non fosse per la memoria di sé, potrebbe essere la foto di un altro.
Allora forse questo è l’altro elemento interessante, la memoria.
Un senso che ti costringe sempre a riferirti a qualcosa di più riuscito, di più perfetto che non potrai raggiungere mai con nessun espediente, né di bellezza né di successo, né altro, perché é quello che sei già stato… quando non lo sapevi.
Alla fine però questa questo iter termina in maniera consolatoria, non ti riporta indietro, ma ti consegna a te stesso e un po’ ti dà pace. Come all’anziana Parthenope il ricordo della giovane Parthenope che fu.
Ma è proprio così? Marotta è davvero l’unico esistente che comprende Parthenope?
Non era forse convinto che lei avrebbe accettato la sua idea / offerta di vincere il concorso a Trento, per poi trasferirsi nuovamente a Napoli, e prendere la sua cattedra?
Cosa che invece Parthenope, alla fine, non fa. Forse perché non riesce a risolvere, durante la sua vita, l’elaborazione del lutto della morte del fratello.
A Trento rimane in una vita sospesa, fatta essenzialmente (ma questo lo possiamo solo immaginare) di lavoro.
Non si sposa.
Non mette al mondo figli.
Non coltiva le sue amicizie partenopee, e si allontana definitivamente da Napoli, e dalla sua famiglia.
Tutto il contrario di quello che ha fatto Marotta, nella sua di vita. O meglio quello che ha tentato di fare.
Di più.
L’applauso scrosciante che le tributano i colleghi di Trento nella festa a sorpresa per il suo pensionamento, ci fa immaginare che al dunque Parthenope sia stata una docente molto diversa da Marotta.
Ed in effetti, già quando, nella sua prima sessione di esami come assistente di Marotta, la vediamo all’opera, notiamo questa profonda ed improvvisa sua umanità, che Marotta probabilmente non ha, quando promuove la ragazza incinta ma impreparata con un 30 e lode, per darle la chance di proseguire gli studi.
Lì Marotta le chiede:
“Ma ha intenzione di utilizzare questo singolare metodo di giudizio anche quando sarà un professoressa di ruolo?”
E lei risponde di no.
Ma s’intuisce che la sua idea di insegnamento sarà ben diversa da quella di Marotta, anche se Marotta, proprio a lei, la promuove con 30 e lode, quando non senza la sua proverbiale sfrontatezza gli dice di non avere ancora capito cosa fosse l’antropologia.
Io credo che tra Marotta e Parthenope ci sia come una specie di “transfert”.
Marotta intravede in lei la figlia che avrebbe voluto avere. Le riversa, senza mai dichiararglielo, un amore paterno. E ha sicuramente il merito d’indicarle e di rivelarle la strada da seguire.
Parthenope, delusa dal mondo della recitazione, in cui per un po’ da giovane aveva creduto, capisce che potrebbe diventare una brava docente di antropologia. Ma, mentre Marotta ha il coraggio di vedere, e di accettare la sua condizione esistenziale, che non vuole che venga giudicata, quantomeno da Parthenope (ricordate il patto?)
“Lei non mi giudicherà mai, ed io non la giudicherò mai.”
Parthenope, invece, forse quegli occhi non riesce a tenerli altrettanto spalancati, anzi.
Marotta ha delle ottime intuizioni su Parthenope, e lei nella scena catartica dell’abbraccio sembra quasi affidarsi a lui. Ma lo fa veramente? O, piuttosto, non avvertirà poi il bisogno di non seguire l’esempio di Marotta, per cercare di definirne uno tutto suo di approccio, e di definirsi lei, come persona?
Davvero non lo so se Marotta riesca poi effettivamente a capire totalmente Parthenope, anche perché non so se nemmeno Parthenope, al dunque, riesca mai veramente a capire, essa stessa, se stessa.
In questo c’è forse la più profonda risoluzione allegorica su Napoli.
Tutti di Napoli vedono qualcosa di esteriore che induce un giudizio.
Ma chi veramente può dire di avere capito Napoli?
Anni fa ad un concerto di Eugenio Bennato in piazza Mercato, nella zona est di Napoli, egli ebbe a dire una cosa che condivido:
“Napoli è un cosmo, e nessuno può permettersi di dire di avere compreso Napoli, giudicando solo una regola del cosmo, senza essersi preso la briga di avere capito tutte le altre.”
Una mattina da giovane stavo andando all’Università. Ero alla fermata del tram alla Riviera di Chiaia, dove abitavo. Ad un certo punto un vecchietto perde l’equilibrio, cade e si procura una ferita sanguinante al volto.
Stavamo dalla parte della Villa Comunale. Io ed un altro signore rialziamo il vecchietto e lo portiamo alla farmacia di fronte per farlo medicare. Mentre attraversiamo la strada, dai vicoli di fronte già c’erano delle donne che gli stavano portando chi una sedia, chi un bicchiere d’acqua. Lui si gira verso me e mi dice una cosa che non mi scorderò mai:
“Vedete giuvinò, io ho fatto il cameriere e aggio girato tutto o’ munno. Ma il cuore di Napoli nun l’aggio truvato mai a niscuina parte!”
Flora Malva l’attrice insegnante di recitazone
lora Malva è uno dei personaggi più enigmatici e affascinanti di “Parthenope” di Paolo Sorrentino, interpretata con intensità da Isabella Ferrari. Il suo ruolo come insegnante di recitazione con il volto coperto aggiunge una dimensione di mistero e profondità al film.
Caratteristiche del personaggio
Flora Malva è rappresentata come una figura autoritaria e al contempo enigmatica, che esercita una forte influenza sui suoi allievi. La sua metodologia di insegnamento è rigorosa e intensa, spingendo gli studenti a esplorare le profondità delle loro emozioni e a superare i propri limiti. La scelta di coprire il volto può essere vista come un simbolo di distacco e di mistero, suggerendo che c’è molto di più sotto la superficie che viene celato.
A me ha fatto pensare che Napoli stessa possa essere vista come una donna il cui volto è stato gradualmente coperto dalle tante violenze, prevaricazioni e incurie subite nel corso degli anni. Questi abusi hanno nascosto progressivamente la sua vera essenza, celando la bellezza, la vitalità e il carattere autentico della città. Le ferite inflitte dal tempo e dagli eventi hanno lasciato cicatrici profonde, trasformando Napoli in un simbolo di resistenza e sopravvivenza. Tuttavia, sotto questo velo di sofferenza, persiste, secondo me, una straordinaria ricchezza culturale e umana, che attende solo di essere riscoperta e valorizzata.
Relazione con la protagonista
La relazione tra Flora Malva e Parthenope è complessa e multilivello. Da un lato, ella funge da mentore e guida, aiutandola a confrontarsi con le proprie emozioni e a ritrovare una parte di sé stesso attraverso l’arte della recitazione. Dall’altro, il suo volto coperto rappresenta una barriera emotiva, un monito della distanza che spesso esiste tra gli individui e la loro vera essenza.
Il Significato del volto coperto
Il volto coperto di Flora Malva può essere interpretato in vari modi:
- Simbolo di anonimato e umiltà: Potrebbe suggerire che la vera essenza di un insegnante non risiede nell’aspetto fisico ma nella saggezza e nell’abilità di trasmettere conoscenza. Il volto nascosto permette di focalizzarsi completamente sulle parole e sulle azioni, piuttosto che sulla presenza fisica.
- Protezione e vulnerabilità: Il coprire il volto può essere visto come una forma di protezione, un modo per nascondere le proprie vulnerabilità e i propri difetti. Questo elemento aggiunge una sfumatura di fragilità al personaggio, suggerendo che anche coloro che appaiono forti e sicuri possono nascondere delle insicurezze profonde.
- Metafora dell’identità e del mistero: Nel contesto del film, il volto coperto potrebbe rappresentare l’idea che l’identità sia fluida e complessa. Flora Malva, pur essendo un’insegnante e una guida, mantiene un’aria di mistero che invita gli altri a guardare oltre le apparenze e a cercare la verità nascosta.
Conclusione: Flora Malva, con il suo volto coperto, è un personaggio che incarna la complessità dell’arte e dell’identità umana. Attraverso la sua presenza misteriosa e il suo insegnamento rigido, sfida Parthenope e, per estensione, lo spettatore a confrontarsi con le proprie paure e a scavare nelle profondità dell’anima. Isabella Ferrari riesce a conferire una dimensione di gravità e intensità all’esistente, rendendola una figura indimenticabile nel panorama del film.
Il Cardinale Tesorone
Il Cardinale Tesorone rappresenta uno degli archetipi di potere e di corruzione all’interno di Parthenope. La sua figura è un incrocio tra il clero e la politica, un uomo che non è solo un’autorità religiosa, ma anche un simbolo di una tradizione che si è trasformata in un sistema di alleanze e compromessi. Il suo ruolo nel film va oltre la semplice figura ecclesiastica: è un intermediario tra il sacro e il profano, tra il passato che tenta di mantenere la sua influenza e il presente che cerca di liberarsene. La sua presenza nella trama suggerisce un conflitto interno della protagonista, che forse si è sempre confrontata con una realtà spirituale opprimente, ma che ora si trova a dover fare i conti con il declino di questa stessa tradizione.
Il Cardinale, con il suo nome evocativo di “Tesoro”, è il simbolo di un potere nascosto che si nutre di segreti e di ombre. In un film che gioca con i temi del passato e della memoria, la figura del Cardinale Tesorone potrebbe essere vista come un ostacolo alla crescita della protagonista, come rappresentante di un sistema che blocca il cambiamento e l’evoluzione.
Greta Cool
Greta Cool è una delle figure più enigmatiche del film. Attraente e di successo, l’attrice rappresenta un ideale di bellezza e celebrità che si scontra con il vuoto che spesso accompagna la notorietà. La sua immagine pubblica e il suo fascino possono sembrare un’ancora di salvezza per la protagonista, ma la sua vera essenza è nascosta dietro la superficie, simboleggiando le illusioni del successo e l’insoddisfazione che derivano dal vivere sotto i riflettori.
Greta Cool potrebbe essere vista come il simbolo del sogno irraggiungibile, di quella bellezza superficiale che maschera le fragilità e le insicurezze. La sua presenza in Parthenope potrebbe rappresentare per la protagonista una sorta di specchio, un confronto con una parte di sé che desidera, ma che sente allo stesso tempo distante e incomprensibile.
Raimondo, il fratello di Parthenope
Raimondo, fratello della protagonista, è una figura centrale nell’esplorazione del passato e della memoria. La relazione tra Parthenope e Raimondo è complessa e fatta di legami profondi e di tensioni mai risolte. Raimondo potrebbe essere visto come un alter ego della protagonista, ma con una visione diversa della vita e del mondo. Mentre Parthenope cerca di fare i conti con il suo passato e con la sua identità, Raimondo rappresenta il contrappunto maschile che, forse, ha trovato un equilibrio o una risposta che Parthenope non è riuscita a raggiungere.
Nel film, Raimondo può essere visto anche come una sorta di “guardiano” della memoria familiare, colui che conserva il legame con il passato e con le radici. La sua figura è una costante nel film, un punto di riferimento, ma anche una fonte di frustrazione per Parthenope, che non riesce mai a trovare una vera riconciliazione con lui o con il passato che lui rappresenta.
John Cheever
John Cheever, l’autore americano noto per le sue esplorazioni della vita suburbana e delle sue disillusioni, viene evocato nel film come simbolo di una sorta di malinconia esistenziale. La sua influenza sulla narrazione di Parthenope si può cogliere attraverso il tono narrativo del film, che esplora la solitudine, la ricerca di senso e la difficoltà di comunicare i propri sentimenti. Cheever è stato un maestro nel rappresentare l’apparente perfezione di una vita esteriore che nasconde un’angoscia interiore, un tema che si riflette nel personaggio della protagonista e nella sua lotta per trovare il proprio posto nel mondo.
La citazione di Cheever potrebbe anche suggerire l’idea di una “trappola” sociale, quella di vivere una vita che risponde alle aspettative esterne ma che non soddisfa il bisogno interiore di autenticità. Parthenope, quindi, potrebbe essere letta come una riflessione su questa tensione tra le aspettative sociali e la verità personale, un tema che Cheever ha esplorato ampiamente nelle sue opere.
Sandrino – il promo amore di Parthenope
Il personaggio di Sandrino, interpretato da sempre bravo e promettente Dario Aita, è un ruolo significativo poiché rappresenta il primo amore della protagonista, Parthenope. La sua presenza nella vita della protagonista sembra simboleggiare la giovinezza, l’innocenza e le emozioni viscerali dei primi sentimenti. Sorrentino, noto per esplorare l’intensità e la malinconia dell’amore, costruisce il personaggio di Aita come una figura affascinante e misteriosa, in grado di suscitare una profonda nostalgia. Con il suo carattere intrigante e la sua sensibilità, il personaggio contribuisce a definire la crescita emotiva di Parthenope, accompagnandola nella scoperta di se stessa e lasciando una traccia indelebile nella sua vita.
Il figlio deforme del professore Devoto Marotta
La figura del figlio deforme del professor Devoto Marotta rappresenta una metafora potente, carica di significati simbolici. Questo personaggio incarna una parte nascosta, negata o repressa dell’essere umano, simboleggiando quegli aspetti della vita e della società che spesso rimangono emarginati o non riconosciuti. La deformità del figlio di Marotta diventa un riflesso delle imperfezioni interiori e delle “deformità” che ognuno cerca di celare per mantenere un’immagine di controllo e rispettabilità.
In un certo senso, questo personaggio è anche una rappresentazione delle sofferenze non elaborate, delle ferite nascoste e dei segreti che affliggono il professor Marotta e forse l’intera società. La sua presenza è un memento dell’impossibilità di sfuggire completamente alle proprie fragilità e verità dolorose: per quanto il professor Marotta cerchi di nasconderlo, il figlio è sempre lì, a ricordargli ciò che non può cambiare o dimenticare. In questa luce, Sorrentino utilizza il personaggio per esplorare il tema dell’accettazione dell’imperfezione, dell’umanità in tutte le sue forme, e della necessità di confrontarsi con i propri limiti, invece di negarli.
Achille Lauro – ovvero la potenza del capitale e la relazione con la tradizione
Achille Lauro è una figura legata alla tradizione borghese napoletana, quella che ha costruito la propria fortuna e il proprio status sulle spalle di un’antica aristocrazia industriale. La sua attività di armatore lo colloca in una dimensione di grande potere, in grado di influenzare la città e il suo panorama economico. Come personaggio, Lauro incarna un tipo di “potere nascosto” che agisce dietro le quinte, ma che determina in maniera evidente il corso degli eventi e delle dinamiche sociali. La sua figura potrebbe essere vista come un’eco delle vecchie dinastie industriali che, pur avendo perso parte del loro splendore, mantengono ancora un certo controllo sulle leggi non scritte del cambiamento sociale.
Il suo nome – Achille Lauro – fa riferimento, sia in senso letterale che simbolico, alla forza e al controllo, ma anche alla vulnerabilità. Achille è il leggendario eroe della mitologia greca, il cui destino è segnato dalla sua vulnerabilità nel tallone. Questo legame con l’eroe tragico si riflette nel personaggio, che, pur essendo all’apice del suo potere, è consapevole della fragilità che accompagna ogni forma di grandezza. Achille Lauro è un uomo che guarda al suo passato con nostalgia, ma che, allo stesso tempo, si trova di fronte a un futuro incerto, segnato dalla decadenza delle sue imprese e dalla difficoltà di adattarsi ai nuovi tempi.
Il personaggio di Lauro nel contesto del film
Nel contesto di Parthenope, Lauro non è un personaggio centrale in senso narrativo, ma la sua presenza è decisiva nel disegnare lo sfondo socio-economico della protagonista e della città stessa. Napoli, e in particolare i suoi legami storici con il mare e il commercio, sono elementi che plasmano profondamente la psiche di Parthenope, la quale vive in una città dove il passato industriale (rappresentato dall’eredità di Achille Lauro) si scontra con le sfide di un presente che fatica a rinnovarsi. Lauro è quindi una figura che incarna la complessità di una città e di una cultura che si trovano a fronteggiare il mutamento, tra i resti di una grandezza passata e l’incertezza di un futuro che appare sempre più distante.
Decadenza e nostalgia del passato
La relazione tra Parthenope e Achille Lauro è in fondo quella di una città che fatica a liberarsi dai suoi legami con un passato che non è più sostenibile, ma che continua a esercitare una potente attrazione. Lauro non è solo un uomo d’affari; è il simbolo di un mondo che ormai non c’è più, un mondo fatto di grandi transazioni, potere economico e legami intrecciati con il mare, ma che è incapace di adattarsi al nuovo contesto socio-politico che si sta profilando.
Nel film, le immagini che evocano Achille Lauro, pur non presentandolo direttamente come una figura attiva in scena, sono impregnate di una nostalgia di quel mondo che sta scomparendo. Parthenope stessa, nell’affrontare il suo percorso di ricerca di sé, si scontra con la presenza di questa memoria storica di una Napoli che non esiste più, ma che rimane intatta nei ricordi di chi l’ha vissuta.
La dicotomia tra potere e fragilità
La figura di Achille Lauro, come un “Titanico” armatore, può anche essere letta come una riflessione sul rapporto tra potere e fragilità. L’industria marittima, una volta simbolo di grande prosperità, è ormai in declino, e con essa si consuma anche l’immagine di Lauro, che rimane un uomo potente, ma ormai incapace di mantenere il controllo su ciò che ha costruito. Sorrentino costruisce questa dicotomia attraverso il trattamento visivo e simbolico di Napoli, dove, come Lauro, ogni angolo della città è allo stesso tempo un segno di bellezza passata e di decadenza imminente.
Così, Achille Lauro non è solo il rappresentante di un passato industriale che non riesce più ad essere rinnovato, ma un’immagine del potere che si sgretola, della grandezza che si trasforma in rovina, una riflessione sul come le vecchie glorie – siano esse industriali, politiche o sociali – non riescano a sopravvivere ai cambiamenti inevitabili del tempo. La sua figura rappresenta, in sostanza, la difficoltà di fare i conti con il presente, l’impossibilità di fermare l’incedere della storia e il conseguente sentimento di impotenza.
Conclusione: un personaggio simbolo della Napoli che cambia
In sintesi, Achille Lauro in Parthenope è una figura che rappresenta la resistenza del passato contro le forze inevitabili del cambiamento. La sua presenza è un richiamo a un’epoca che non può più tornare, ma che continua a riflettersi nel presente. Come personaggio, Lauro non ha bisogno di essere un protagonista attivo nel senso tradizionale: il suo ruolo è quello di un’ombra del passato, di un simbolo di decadenza e di nostalgia, che influisce sulla protagonista Parthenope in modo profondo, ma silenzioso, proprio come le forze storiche che sono all’origine della sua stessa crisi esistenziale.
Parthenope prossima alla pensione
Il personaggio di Parthenope adulta, interpretato da Stefania Sandrelli, rappresenta il culmine di una vita segnata da memorie, sogni e rimpianti che trovano rifugio in una Napoli mitica e nostalgica. Giunta in una pensione, la sua figura simboleggia il ritorno al luogo d’origine, ma anche il confronto finale con il passato e con sé stessa. La pensione diventa uno spazio di sospensione, quasi atemporale, dove Parthenope, ormai matura, si abbandona a una serie di incontri e riflessioni, attraversando una Napoli che non è solo fisica, ma anche una dimensione interiore.
Parthenope adulta incarna l’idea di Napoli come entità femminile, una donna che, come la città, ha vissuto bellezza, amore, e decadimento. La sua presenza alla pensione richiama i temi della memoria e della ricerca di senso, un luogo dove Parthenope si trova a fare i conti con ciò che ha perduto e con le scelte che ha compiuto. Simbolicamente, rappresenta l’accettazione della propria vulnerabilità, un riconoscimento di tutte le esperienze che hanno modellato la sua identità. In lei, Sorrentino sembra voler celebrare l’anima nostalgica e ferita della città, rendendo Parthenope una metafora universale dell’eterno ritorno e dell’impossibilità di staccarsi davvero dalle proprie radici.
4. Analisi del linguaggio audiovisivo
Il linguaggio cinematografico di Sorrentino in Parthenope è sofisticato e altamente simbolico, in perfetta sintonia con la natura del racconto. La bellezza visiva è, come sempre, al servizio di una narrazione che punta a evocare emozioni, piuttosto che limitarsi a raccontare fatti.
Specifico filmico
- Fotografia e composizione:
La fotografia di Parthenope è un elemento cardine che definisce l’estetica del film. Le inquadrature ampie e panoramiche, che ritraggono Napoli in tutta la sua magnificenza decadente, sembrano fotografare la memoria stessa della città, un ricordo vivente che si esprime attraverso il paesaggio urbano. Al contrario, i primi piani intimi della protagonista, quando la macchina da presa si sofferma sui suoi occhi, sulla sua pelle, raccontano il suo tumulto interiore, una fragilità che affiora attraverso ogni gesto, ogni sguardo. - Gioco di luci e ombre:
L’uso delle luci e delle ombre in Parthenope non è mai casuale, ma profondamente simbolico. La luce calda, quasi dorata, che illumina alcuni momenti della storia, si contrappone alla luce fredda e distante che avvolge altri passaggi, creando un contrasto tra il desiderio di redenzione e l’inarrestabile passare del tempo. La luce diventa così un mezzo per esplorare l’animo della protagonista, ora in cerca di speranza, ora immerso in una sorta di rassegnazione. - Suono e musica:
La colonna sonora di Parthenope è una sinfonia di emozioni, un sottofondo che amplifica la profondità della narrazione. Sorrentino sceglie con cura una selezione musicale che passa dal classico al contemporaneo, ogni brano evocando un’atmosfera unica, un’eco del passato che si ripercuote nel presente. I suoni ambientali, dalla frenesia della città ai silenzi che pervadono gli spazi vuoti, accentuano la solitudine della protagonista e il suo senso di disconnessione con il mondo che la circonda. Su tutti si staglia “Era già tutto previsto” di Riccardo Cocciante che crea un’atmosfera incredibilmente ed inaspettatamente sorrentiniana. - Movimento della macchina da presa:
Il movimento della macchina da presa in Parthenope è caratterizzato da una fluidità che riflette il viaggio interiore della protagonista. Le carrellate lente e i piani sequenza che la seguono nei suoi spostamenti attraverso la città, così come le inquadrature fisse che la isolano in momenti di solitudine, catturano la sua ricerca di sé. Il movimento della macchina da presa diventa una prolungata esplorazione del suo stato emotivo, della sua psiche frammentata.
Temi e simbolismo
Al centro di Parthenope ci sono temi universali che toccano l’animo umano in modo profondo. La memoria, il tempo e l’identità si intrecciano, creando un labirinto emotivo che rispecchia il complesso vissuto della protagonista.
- Il tempo e la memoria:
Il tema del tempo è trattato con una delicatezza che sfiora il tragico. La città di Napoli, con la sua bellezza inesorabilmente destinata a sfiorire, diventa il simbolo di un passato che non si può trattenere. Oggetti, luoghi e ricordi si sovrappongono, accendendo nella protagonista un desiderio di rivivere ciò che è perduto. Il tempo, in questo film, non è solo un fluire continuo, ma una dimensione che il soggetto cerca di comprendere, di domare, attraverso il recupero di un’identità che sembra sfuggire. - Identità e senso di appartenenza:
La protagonista è alla ricerca di una connessione con se stessa e con il mondo che l’ha plasmata. Il ritorno a Napoli rappresenta per lei il tentativo di riconciliarsi con il proprio passato, di rientrare in contatto con le radici che sembrano essersi smarrite nel corso degli anni. La città, dunque, non è solo un luogo fisico, ma una proiezione delle sue ansie, dei suoi rimpianti e dei suoi desideri insoddisfatti. - Bellezza e decadenza:
La bellezza e la decadenza convivono in Parthenope, non solo come elementi estetici, ma come metafore di una condizione umana che sa di non poter sfuggire al proprio destino. La città, in declino, e la figura della protagonista, divisa tra il desiderio di rinascita e il peso della propria esperienza, sono entrambe simboli di un’esistenza che non può sfuggire all’oblio, ma che conserva una sua intrinseca bellezza, nonostante tutto.
Conclusioni e messaggio verso l’alto
Nel film Parthenope di Paolo Sorrentino, i “messaggi verso l’alto” sono quei temi, simboli e riflessioni che sembrano voler parlare non solo del contesto specifico della Napoli contemporanea o della protagonista Parthenope, ma anche di concetti universali, trascendenti, o spirituali. In un’opera che fonde realtà e sogno, passato e presente, Sorrentino riesce a suggerire una serie di messaggi “verso l’alto”, che trascendono la superficie narrativa del film e si rivolgono a temi più profondi. Ecco alcuni dei messaggi che emergono come “verso l’alto” nel film:
La ricerca di sé e la rinascita
Parthenope, come protagonista, è una donna in ricerca: di sé, del suo passato, della sua identità. Il film suggerisce che la condizione umana è intrinsecamente legata alla continua lotta per comprendere e accettare se stessi, un tema che va oltre la sua storia personale. Questo desiderio di comprensione di sé può essere visto come un “messaggio verso l’alto”, come una chiamata universale all’introspezione e alla crescita interiore. Parthenope, nonostante i suoi fallimenti e i suoi limiti, è in cammino verso una possibile rinascita, un riconoscimento delle sue fragilità e della sua umanità.
Il confronto con il tempo e la mortalità
Un tema centrale del film è il tempo: il passato, il presente e l’incertezza del futuro si intrecciano costantemente. Le memorie di Parthenope sono segnate da rimpianti e riflessioni sulla propria mortalità, ma anche sulla bellezza effimera della vita. Il “messaggio verso l’alto” qui è una riflessione sulla transitorietà dell’esistenza umana, sull’ineluttabilità del tempo che scorre e sulla necessità di riconciliarsi con il passato per potersi proiettare verso il futuro. La ricerca di una “pace interiore” di Parthenope potrebbe essere vista come una metafora per l’intera umanità: la consapevolezza della nostra finitezza è la chiave per comprendere la bellezza della vita.
La Napoli come metafora della condizione umana
Napoli, la città di Parthenope, è un altro “messaggio verso l’alto” del film. Non è solo uno sfondo, ma diventa un personaggio a sé stante, simbolo di decadenza e di rinascita, bellezza e corruzione. Sorrentino usa la città per rappresentare una condizione universale: quella di una civiltà o di un individuo che deve fare i conti con la sua storia, con le sue contraddizioni e con i suoi sogni infranti. La città di Napoli diventa quindi simbolo di una continua lotta tra il desiderio di riscatto e l’incapacità di staccarsi dal passato. Questo messaggio “verso l’alto” potrebbe invitare gli spettatori a riflettere sul concetto di identità collettiva e individuale, e sulla capacità di rigenerarsi anche quando il mondo sembra essere in declino.
La dualità tra bellezza e decadenza
Un altro messaggio che il film trasmette riguarda la dualità tra bellezza e decadenza, tema che permea tanto la narrazione visiva quanto quella narrativa. Parthenope, come Napoli, è una figura di bellezza fragile e decadente, che ha conosciuto la grandezza e ora affronta la perdita. In questo, il film suggerisce una riflessione sulla fragilità intrinseca della bellezza e sulla sua connessione con il dolore, l’arte e la morte. Questo è un “messaggio verso l’alto” che riguarda la necessità di riconoscere la bellezza nel suo lato più vulnerabile, e di vedere nel decadimento non solo una fine, ma anche un’opportunità di riflessione, di rinnovamento, di speranza.
Il dialogo tra passato e futuro
Il film suggerisce che la ricerca di sé non può prescindere da un confronto con il proprio passato. Parthenope, attraverso il suo viaggio interiore, affronta le cicatrici lasciate dal passato e le decisioni non prese. Tuttavia, non si tratta solo di nostalgia: il “messaggio verso l’alto” è che, per evolverci come individui e come società, è fondamentale confrontarsi con le cicatrici del passato, ma anche imparare a guardare avanti. La difficoltà del presente e le sfide del futuro sono il terreno in cui possiamo trovare una nuova possibilità di esistenza, di rinnovamento.
L’ineluttabilità della trasformazione
Un altro “messaggio verso l’alto” di Parthenope è la consapevolezza che la vita è in continua trasformazione. Parthenope non è un personaggio statico, ma è un simbolo di una continua evoluzione, sia fisica che emotiva. In un mondo in continuo mutamento, la capacità di adattarsi e di trasformarsi è la chiave per affrontare le sfide dell’esistenza. La sua ricerca di sé è anche una ricerca di libertà, di rinnovamento, che non si basa su una fuga dal passato, ma sull’accettazione della sua inevitabilità. Il film suggerisce che solo affrontando la trasformazione possiamo veramente riscoprire noi stessi e il nostro posto nel mondo.
L’assenza e la presenza: la ricerca del significato
Infine, Parthenope esplora la condizione umana in relazione all’assenza e alla presenza. La protagonista è alla ricerca di un significato che spesso sembra elusivo, quasi intangibile. In questo, il film suggerisce che la vita è fatta anche di momenti di vuoto, di silenzio, di ricerca senza risposta, e che queste “assenze” sono parte del processo di crescita. Il “messaggio verso l’alto” è che anche nei momenti di solitudine e di confusione, c’è sempre una ricerca di senso, di spiritualità, che è parte integrante della condizione umana.
Con Parthenope, Paolo Sorrentino ci regala non solo un film, ma un’esperienza multisensoriale che invita lo spettatore a riflettere sul passato, sulla memoria e sull’identità. La protagonista femminile, in questo caso, non è solo il punto di partenza della narrazione, ma una finestra attraverso la quale osserviamo la struggente bellezza di una vita che si evolve tra il desiderio di comprendere se stessi e la difficoltà di accettare l’ineluttabile. Un’opera che, come ogni grande film, ci lascia con la sensazione che la ricerca di senso non finirà mai.
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