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Addio a David Lynch, il Maestro del sogno e dell’incubo

Il leggendario regista di Twin Peaks ha e Mulholland Drive si è spento a 78 anni, lasciando un’eredità indelebile nel mondo del cinema e dell’arte.

a cura di Roberto Bernabò 

David Lynch

“Keep your eye on the donut and not on the hole”
David Lynch

É con immensa tristezza che ho appreso della scomparsa di David Lynch, avvenuta improvvisamente all’età di 78 anni.

Regista visionario, autore e maestro del surrealismo cinematografico, Lynch ha segnato in modo indelebile la storia della settima arte con uno stile unico, fatto di atmosfere oniriche, narrazioni criptiche e una profonda esplorazione dell’animo umano.

Sin dal suo esordio con Eraserhead (1977), Lynch ha dimostrato una capacità straordinaria di tradurre in immagini i territori più misteriosi della mente e delle emozioni.

Il film, oscuro e disturbante, è diventato rapidamente un cult, anticipando molti dei temi e delle atmosfere che avrebbero caratterizzato la sua carriera.

Con The Elephant Man (1980), che vidi in anteprima a Napoli grazie all’invito della mia Università, il regista ha saputo coniugare il suo talento visionario con una sensibilità narrativa più tradizionale, realizzando un’opera intensa e struggente che gli valse otto nomination agli Oscar.

Oscar a David Lynch

Solo pochi anni dopo, con Blue Velvet (1986), Lynch ha svelato i lati oscuri della provincia americana, immergendo lo spettatore in un mondo di inquietudine e mistero che ancora oggi resta uno dei suoi capolavori assoluti.

Tuttavia, è con la serie Twin Peaks (1990-1991), un vero e proprio cult generazionale, che Lynch ha raggiunto l’apice della sua popolarità, ridefinendo i confini del linguaggio televisivo.

Il suo mix di giallo, dramma psicologico e surrealismo ha catturato l’immaginario collettivo, trasformando la serie in un fenomeno culturale senza precedenti.

Lynch ha continuato a stupire il pubblico con opere come Mulholland Drive (2001), un intricato thriller psicologico che mescola sogno e realtà, considerato uno dei migliori film del XXI secolo, e che per me fu una sorta di vera e propria rivelazione.

O come Inland Empire (2006), nel quale ha esplorato vari livelli di realtà e dove è riuscito ad includere una serie di sottotrame che si intrecciano:

  • un msterioso omicidio;
  • una casa infestata, un gruppo di conigli antropomorfi;
  • e un universo parallelo che sembra fondersi con quello di Nikki.

Inland Empire è stato girato interamente in formato digitale con una videocamera DV, un’innovazione per l’epoca che conferisce al film un’estetica grezza e disturbante. Lynch ha lavorato senza una sceneggiatura tradizionale, sviluppando la storia giorno per giorno durante le riprese.

Questo approccio ha conferito al film una struttura fluida e imprevedibile, che riflette lo stile onirico e surreale tipico del regista.

Ogni sua opera è stata un viaggio nell’inconscio, un’esperienza emotiva e sensoriale capace di lasciare segni profondi nello spettatore.

Leone d'oro a David Lynch

David Lynch sarà ricordato non solo per il suo coraggio artistico e la sua originalità, ma anche per la sua capacità di reinventare il linguaggio cinematografico.

Le sue narrazioni non lineari, ricchi di anacronie completive di portate e ampiezze imprevedibili, le atmosfere sospese tra sogno e incubo e la sua esplorazione della dualità dell’animo umano, hanno ispirato generazioni di registi e continueranno a farlo.

Le sue atmosfere oniriche hanno saputo utilizzare  immagini surreali e un sound design distintivo in grado di evocare sensazioni profonde e spesso inquietanti.

E come non citare la sua capacità di esplorare la psiche umana al fine di affrontare temi complessi come l’identità, la memoria e la dualità dell’animo umano?

La sua perdita lascia un vuoto enorme, ma il suo lavoro rimarrà immortale, come testimonianza di un artista che ha saputo dare forma al mistero e all’invisibile.

La villa di David Lynch a Los Angeles

Ho letto che negli ultimi mesi, l’enfisema polmonare gli rendeva purtroppo quasi impossibile muoversi.

Navigando in rete ho scoperto che una delle pochissime cose che Lynch riusciva a fare era quella di sistemare una mangiatoia che aveva montato anni fa nel giardino della sua villa di Los Angeles per dare da mangiare agli uccelli che vivevano sui suoi alberi.

Vicino alla mangiatoia aveva deciso, da regista innovativo quale era, d’installare una videocamera per riprendere gli uccelli, ma in queste sue distrattive visioni, aveva scoperto che gli animali più interessanti da osservare non erano gli uccelli, ma gli scoiattoli.

A furia di osservarli li aveva addirittura divisi in due categorie:

  1. quelli “normali”, con comportamenti più ortodossi e tranqulli;
  2. e “gli altri”, come aveva finito per definirli lui, che erano, a differnza dei primi, disposti a tutto pur di arrivare alla mangiatoia e prendersi il cibo dalla destinato agli uccelli.

Alla fine, l’audacia di questi animaletti lo aveva costretto a montare dei dissuasori al fine d’impedirgli di mangiare tutto il mangime destinato ai volatili.

Osservandoli, però, attraverso la videocamera, aveva scoperto che il nuovo assetto della mangiatoia aveva indispettito così tanto gli scoiattili, fino al punto a farli addirittura piangere.

E così era riuscito a scopprire una cosa che non sapeva: che gli scoiattoli sapessero piangere.

La cosa aveva fatto piangere pure lui, e quello era diventato, curiosamente, uno dei suoi passatempi preferiti: piangere assieme a quegli animaletti.

David era un uomo molto buono, praticava la meditazione trascendentale, era in grado di raggiungere dei gradi di consapevolezza molto profondi, che gli consentivano di compenetrarsi negli stati d’animo degli altri, persino di quelli degli animali.

Non lo so, ma credo che anche in questo fosse una persona assolutamente straordinaria, in tutte le accezioni possibili del termine.

Chissà se anche oggi, quegli scoiattoli, non stiano ancora piangendo, non solo per non riuscire ad accedere al cibo della mangiatoia, ma, soprattutto, per non avere più la sua compagnia.

Rest in peace, David Lynch.

“Keep your eye on the donut and not on the hole”, diceva lui stesso.

E noi continueremo a farlo, con gratitudine per tutto ciò che ci ha lasciato.

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