Cinemavistodame.com di Roberto Bernabò

I film in uscita dal 30 ottobre 2009

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cinepresa di cinemavistodame Nei Cinema dal 30 Ottobre 2009

  • Il nastro bianco – di Michael Haneke
  • Nel paese delle creature selvagge – di Spike Jonze
  • Diary of the Dead – Le cronache dei morti viventi – di George A. Romero
  • Capitalism: A Love Story – di Michael Moore
  • This is it – di Kenny Ortega
  • Amore 14 – di Federico Moccia
  • Niko – Una renna per amico – di Michael Hegner • Kari Juusonen

Locandina - Il nastro bianco

Il nastro bianco

titolo originale: Das weisse band
nazione: Austria / Francia / Germania
anno: 2009
regia: Michael Haneke
genere: Drammatico
durata: 144 min. – b/n
distribuzione: Lucky Red Distribuzione
cast: M. Growaldt (Magd) • J. Fautz (Erna) • S. Lothar • U. Tukur • B. Klaussner • J. Bierbichler
sceneggiatura: M. Haneke
fotografia: C. Berger
montaggio: M. Will

Trama: Strani eventi accadono in una scuola di campagna nel nord della Germania durante l’anno 1913, sembrando una punizione rituale. Come il sistema scolastico ne subisce l’influenza e come la scuola ha un’influenza sul fascismo?

La “Palma d’oro” per il miglior film in concorso all’edizione 2009 del Festival di Cannes è stata assegnata a “Il nastro bianco” del regista austriaco Michael Haneke. Girato in un bellissimo bianco e nero, Il nastro bianco (Das weisse band) è una ricognizione su tutto quanto agli inizi del Novecento in Germania faceva presagire, a posteriori, l’avvento del Nazionalsocialismo e al nefasto carisma del suo Fuhrer, Adolf Hitler, di imporre la volontà del “Reich millenario” sull’Europa e sul mondo. Nord della Germania. Bambini e adolescenti frequentano assieme l’unica classe della scuola di un piccolo villaggio: è attraverso di loro, e la voce off del loro maestro che ricorda quei giorni, che Haneke traccia un ritratto algido e geometrico di quel mondo e di quella società. L’estrema severità di comportamenti e atteggiamenti nasconde derive perverse e patologiche che trovano applicazione nelle violenze domestiche e nei confronti di donne, bambini, disabili fisici e psichici.

Dunque, Il nastro bianco, è l’ulteriore messaggio diretto all’indirizzo di quella contradditoria ricerca che occupa Michael Haneke da anni e che riguarda la “questione della forma della rappresentazione della violenza” nel mondo moderno e contemporaneo, dal ‘900 ad oggi.

Con immenso piacere la direzione del Lodi Città Film Festival saluta questa nuova affermazione di Michael Haneke, di ritorno dal “viaggio americano” e nel Festival cinematografico più prestigioso del mondo; cogliendo l’occasione si annuncia, a conclusione di un lavoro durato due anni, che ad ottobre, dal 5 all’11 ottobre 2009, ed in contemporanea a Milano e a Lodi, con la collaborazione del Forum Austriaco di Cultura, si svolgerà a cura di Fabrizio Fogliato e Fabio Francione la retrospettiva integrale dei suoi film, “La visione negata. Il cinema di Michael Haneke”.

Per l’occasione sarà pubblicato un aggiornamento della monografia “La visione negata. Il cinema di Michael Haneke” di Fabrizio Fogliato, edita dalle Edizioni Falsopiano di Alessandria.

Locandina- Nel paese delle creature selvagge

Nel paese delle creature selvagge

titolo originale: Where the Wild Things Are
nazione: U.S.A.
anno: 2008
regia: Spike Jonze
genere: Fantasy
durata: n.d.
distribuzione: Warner Bros
cast: C. Keener (Connie) • M. Records (Max) • M. Ruffalo (Rob)
sceneggiatura: S. Jonze • D. Eggers
musiche: C. Burwell • K. Orzolek
fotografia: L. Acord
montaggio: J. Haygood • E. Zumbrunner

Trama: Max, un bambino molto solitario, dopo l’ennesimo spaventoso scherzo ai danni della sua famiglia, viene spedito da sua mamma a letto senza cena. Ma una volta nella sua camera, Max comincia a fantasticare e intraprende un viaggio meraviglioso nella terra delle Creature Selvagge. Sono personaggi dall’aspetto mostruoso, ma Max riesce a conquistarli, venendo addirittura incoronato loro sovrano.

A volte capita di essere su di giri e di lasciarsi prendere dalle emozioni.

Magari parliamo troppo, ridiamo a sproposito oppure non riusciamo a stare fermi.

In circostanze simili si può essere ripresi, sgridati, perfino messi in punizione per qualcosa che non sappiamo nemmeno di aver fatto. O vogliamo far finta che non sia così grave.

Un po’ come è successo a Max.

Un pomeriggio ha rincorso il cane per tutta la casa con in mano una forchetta, strillando e sbraitando come un ossesso e quando la madre lo ha pregato di smettere lui l’ha morsa su una spalla. Così è stato spedito in camera sua senza cena. Max era rabbioso e si è sfogato sulla mamma. Ma anche lui ha i suoi problemi: è sempre solo a casa perché i suoi sono divorziati. La madre lavora a tempo pieno, la sorella è sempre al telefono o con i suoi amici e in entrambi i casi lo ignora.

Non c’è da stupirsi quindi se il piccoletto cerca di attirare l’attenzione in maniera plateale, ma diventare violenti non è mai una risposta, e Max deve imparare a comportarsi normalmente. Dopotutto è un bambino, non un animaletto selvatico.

Ed è lì, lasciato solo nella sua stanza con indosso un costume da lupo, che il nostro eroe fa un viaggio incredibile in una terra abitata da creature spaventose che passano le giornate a rompere tutto e dar sfogo alla propria rabbia. Inizia così Nel paese delle creature selvagge, l’adattamento cinematografico del libro per bambini scritto da Maurice Sendak nel 1968 che Warner Bros porta sugli schermi italiani.

4 stars

Locandina- Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi

Diary of the Dead – Le cronache dei morti viventi

titolo originale: Diary of the Dead
nazione: U.S.A.
anno: 2007
regia: George A. Romero
genere: Horror
durata: 95 min.
distribuzione: Moviemax
cast: M. Morgan (Debra Moynihan) • J. Close (Jason Creed) • S. Roberts (Tony Ravello) • S. Wentworth (Andrew Maxwell) • A. Ciupak Lalonde (Tracy Thurman)
sceneggiatura: G. Romero
fotografia: A. Swica
montaggio: M. Doherty

Trama: Un gruppo di amici, studenti di cinema al college, si avventurano nei boschi della Pennsylvania per girare un film horror a basso costo che utilizzeranno come progetto per la scuola. Durante le riprese però, i notiziari iniziano a riportare una scioccante ultim’ora: i morti stanno tornando in vita. L’incredulità dei ragazzi durerà ben poco, e presto dovranno cercare di evitare il reale orrore che si trovano di fronte e tornare alle loro case. Nel frattempo il Governo degli Stati Uniti passa rapidamente dal diniego a goffi quanto inutili tentativi di rassicurazione, fino al momento in cui i media smettono di funzionare. I ragazzi in fuga si renderanno presto conto che non hanno più una casa alla quale tornare, e l’unica forma di reazione che riescono a mettere in atto è il riprendere con le loro videocamere la follia, il caos e l’inferno che li circondano.

Capitalism - A Love Story

Capitalism: A Love Story

titolo originale: Capitalism: A Love Story
nazione: U.S.A.
anno: 2009
regia: Michael Moore
genere: Documentario
durata: 120 min.
distribuzione: Mikado Film
sceneggiatura: M. Moore

Trama: A vent’anni esatti dal pionieristico “Roger & Me”, il nuovo film di Michael Moore “Capitalism: A Love Story” ritorna sulla questione esaminata dal regista nel corso di tutta la sua carriera: gli effetti disastrosi prodotti dal dominio delle grandi aziende sulla vita quotidiana degli abitanti degli Stati Uniti e del mondo intero. Mescolando l’umorismo all’indignazione, Moore esamina la tormentosa questione del prezzo pagato dall’America a causa del suo amore per il capitalismo. Quel che emerge sono i sintomi fin troppo noti delle storie d’amore andate a rotoli: menzogne, violenze, tradimenti… e 14.000 posti di lavoro distrutti ogni giorno.

Nel ventesimo anniversario del suo rivoluzionario capolavoro Roger & Me, Capitalism: A Love Story riporta Michael Moore ad affrontare il problema che è al centro di tutta la sua opera: l’impatto disastroso che il dominio delle corporation ha sulla vita quotidiana degli americani (e, quindi, anche del resto del mondo).

Ma questa volta il colpevole è molto più grande della General Motors e la scena del crimine ben più ampia di Flint, Michigan. Dalla Middle America fino ad arrivare ai corridoi del potere a Washington e all’epicentro finanziario globale di Manhattan, Michael Moore porterà ancora una volta gli spettatori su una strada inesplorata.

E fazioso è grasso e politicamente scorretto ma è bravo.

Locandina - Amore 14

Amore 14

titolo originale: Amore 14
nazione: Italia
anno: 2009
regia: Federico Moccia
genere: Commedia
durata: 95 min.
distribuzione: Medusa Film
cast: V. Olivier (Carolina) • B. Flammini (Alis) • F. Roberto (Clod) • R. Monaco Di Lapio (Rusty James) • P. Villoresi (mamma Silvia) • P. De Silva (papà Dario) • G. Maggio (Massi) • C. Marino (Stefania Borzilli)
sceneggiatura: F. Moccia • C. Barzini • L. Infascelli
fotografia: M. Montarsi

Trama: “Amore 14” racconta la storia di Carolina detta Caro, 14 anni, alle prese con i primi amori, il primo bacio, la prima volta, l’amicizia, le feste, la scuola, il rapporto spesso conflittuale con i genitori. Ci sono le amiche del cuore, Alis e Clod, con le quali condividere i giorni e i sogni. Ci sono i primi baci rubati nella penombra del portone. C’è la scuola, due nonni meravigliosi che la sanno guardare in fondo all’anima e un fratello leggendario, Rusty James, che aiuta il suo cuore a sognare. E poi c’è l’amore, quello vero, che ha il nome di Massimiliano, incontrato in una libreria un pomeriggio di settembre.

Moccia. Sempre Moccia. Fortissimamente Moccia. Inevitabilmente Moccia.

Ma come ci finisca Pamela Villoresi, un’attrice così brava, in un film di Moccia, è uno dei più fitti misteri del momento culturale italiano e del cinema made in italy di oggi.

2 stars virgola cinque.

Locandina This is it

This is it

titolo originale: This is it
nazione: U.S.A.
anno: 2009
regia: Kenny Ortega
genere: Documentario / Musicale
durata: 112 min.
distribuzione: Sony Pictures
cast: M. Jackson (Se stesso) • Orianthi (Se stessa – Lead Guitar)
fotografia: K. Mazur

Trama: Documentario pensato per portare nelle sale il backstage del concerto che Michael Jackson stava preparando a Londra.

Un film inquietante.

Che sbancherà al box office anche se noi gli accreditiamo solo 2 stars.

Locandina - Niko - Una renna per amico

Niko – Una renna per amico

titolo originale: Niko – Lentäjän poika
nazione: Finlandia / Danimarca / Germania / Irlanda
anno: 2008
regia: Michael Hegner • Kari Juusonen
genere: Animazione
durata: 80 min.
distribuzione: Videa CDE
sceneggiatura: H. Tuomainen • M. Thorisson
musiche: S. McKeon
montaggio: P. Risager

Trama: La giovane renna Rusty non ha mai conosciuto suo padre e crede che egli sia una delle renne della flotta di Babbo Natale. Un giorno Rusty prova a volare con l’aiuto del suo amico e mentore, il vecchio scoiattolo volante Julius, e con la sua potenziale fidanzata, Willow. Purtroppo i tre vengono scoperti da un branco di lupi e, fuggendo verso casa, conducono i predatori al branco provocando la morte del padre di Willow, il capobranco. Il branco deve fuggire perché la loro valle non è più sicura e Rusty si sente il solo responsabile di quanto accaduto. Di notte decide quindi di partire per la Lapponia e andare a vivere con suo padre, l’eroe volante. Julius sceglie di aiutare l’amico anche se nessuno sa davvero dove viva Babbo Natale. Presto sul loro percorso i due incontrano di nuovo i lupi e Rusty scopre che Lupo Nero ha un piano malvagio: mangiare Babbo Natale, e la sua flotta, e sostituirsi a loro insieme ai suoi scagnozzi. Con l’aiuto di Julius e della barboncina Wilma, Rusty cercherà di avvertire le renne dell’attacco che stanno per subire.

Tra le nevi della Lapponia c’è una piccola renna che vuole imparare a volare e scoprire chi è il suo vero papà tra le mitiche forze volanti della slitta di Babbo Natale. Determinato a raggiungere la valle dove la notte del venticinque tutto ha inizio Niko sarà costretto ad affrontare anche tutte le sue paure, annessi un branco di famelici lupi e la scoperta della verità una volta arrivato a destinazione.

Una pellicola tutta colorata e ricca di colpi di scena, movimentata, che alterna attimi di battute e favolose mimiche dei personaggi a momenti teneri e riflessivi. Il fatto è che dopo l’uscita di UP della Pixar come si fa a parlare di un cartone animato in 2D finlandese …

Non è per il 2 D intendiamoci ma più di due stars no eh.

E i trailer dove li guardo?

Ma nell’area commenti dell’altro blog cliccando qui, che domande.

A cura di cinemavistodame.com.

Tutti contro tutti & Modelle giocano a 3200m!

Tutti contro tutti. – Scopri il monotriangolare, il nuovo modo di giocare a calcio. Tre giovani promesse del calcio, Santon, Paloschi e Pozzi, si sfidano in una partita all’ultimo goal. Chi vincerà? Chi sarà il campione del futuro?

Modelle giocano a 3200m! – Scopri che succede al passo dello Stelvio durante il Tour delle Alpi!

Up – di Peter Docter e Bob Peterson

il nuovo film della Pixar

analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo

La sostenibile leggerezza dell’essere (e della sua casa) – a cura di Roberto Bernabò

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Up

titolo originale: Up
nazione: U.S.A.
anno: 2009
regia: Peter Docter • Bob Peterson
genere: Animazione
durata: 104 min.
distribuzione: Buena Vista International
sceneggiatura: B. Peterson
musiche: M. Giacchino
montaggio: T. Gonzales • C. Hsu
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Trama: Carl Fredricksen è un anziano ultrasettantenne che ha sempre desiderato di vedere il mondo, ma è sempre stato ostacolato dal tran tran quotidiano e dagli impegni di lavoro. Quando però incontra Russell, un boyscout di otto anni che gli offre l’ultima occasione per realizzare il sogno della sua vita, decide di mettersi in viaggio portandosi appresso la propria casa.

§§§

1. Introduzione

Chi è Carl Fredricksen?

Perché la sua storia parla di noi?

Dov’è il segreto di questo (ennesimo) capolavoro della Pixar?

Beh, non è che sia proprio facilissimo rispondere, univocamente, a questa domanda.

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Chi conosce la storia della Pixar Animation Studios, e della sua straordinaria ascesa, potrebbe essere addirittura portato a credere, ad esempio, che “UP” possa rappresentare un titolo celebrativo dei 10 anni di esistenza in vita della partnership strategica con la Disney, e del crescente successo che ogni lungometraggio di questo incredibile laboratorio, fondato dal genio di George Lucas e dal 1996 acquistata e sviluppata da Steve Jobs, l’alchemico co-creatore della Apple, è riuscito sempre a ripetere nel tempo, in maniera sempre superiore rispetto al precedente, sia come risultato al box office che come critica.

E l’ipotesi, intendiamoci, non è che sia peregrina.

Pixar

[UP è, esattamente, il decimo film realizzato dalla Pixar, diretto da Peter Docter (con la collaborazione di Bob Peterson) che è stato anche il film di apertura dell’ultimo Festival di Cannes 2009, (primo film di animazione a ricevere questo onore).

Ed è stata proprio la direzione di Cannes a concedere, a questo lungometraggio, una proiezione speciale in 3D, fortemente voluta dagli organizzatori. Perché, come forse pochi ancora sanno, il film, prodotto da Jonas Rivera e John Lasseter, in realtà è stato girato, come per tutti gli altri film Pixar, solo in 2D, e solo successivamente, proprio in previsione dell’onore concesso dal Fetival di Cannes, ne è stata realizzata una versione in tre dimensioni, che non è esattamente lo specifico campo di expertise dell’azienda californiana.

Infatti, se si tratta della prima volta in 3D per la Pixar, non lo è certamente per la casa madre Disney che in questo ben specifico campo attualmente detiene il primato (basti pensare a Bolt, alla riedizione di Nightmare Before Christmas o ai film-concerto per giovanissimi di Hannah Montana o dei Jonas Brothers ) e che ha in fase di lancio tantissimi nuovi progetti.]

Ciò non di meno io credo che UP, sia un titolo, invece, straordinariamente evocativo della prospettiva esistenziale dei personaggi protagonisti del film.

2. La légèreté degli esistenti

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Ed in particolare quella che i francesi definiscono la légèreté, che è stata, ad esempio, uno dei valori fondanti, nonché centrale tema degli aspetti estetici ed etici, del cinema di Charlie Chaplin, e di alcuni autori – registi della Nouvelle Vague francese, come, ad esempio, François Truffaut.

§§§

2. Circa “la leggerezza” secondo Italo Calvino e secondo la Pixar

Traggo dalle “Lezioni Americane” (six memos for the next millenium) – di Italo Calvino:

Calvino dedica la prima delle lezioni americane all’opposizione leggerezza-peso, dichiarando di sostenere le ragioni della leggerezza, in quanto sulla leggerezza pensa di avere “più cose da dire”.

Il suo lavoro di scrittore è stato, infatti, una sottrazione di peso.

Egli ha cercato di togliere peso soprattutto alle strutture del racconto e del linguaggio.

Per Calvino, quindi, la leggerezza è un valore che egli riconosce in opere del passato, vede attuale nel presente, e che proietta nel futuro. La leggerezza è una qualità che Calvino vede nelle “Metamorfosi” di Ovidio, in particolare nel rapporto fra Perseo e la Medusa e in Lucrezio nel “De rerum natura“. In Lucrezio ed in Ovidio la leggerezza è un modo di vedere il mondo che si fonda sulla filosofia e sulla scienza; ma in entrambi i casi “La leggerezza è qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta, indipendentemente dalla dottrina del filosofo che il poeta dichiara di voler seguire”. E’ presente anche in un romanzo come “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera.

Anche la scienza dimostra che è possibile dissolvere la pesantezza, quando prova che il mondo si regge su entità sottilissime. Per quanto riguarda l’informatica, il software non potrebbe esercitare il potere della sua leggerezza, se non mediante la pesantezza dell’hardware.

La leggerezza, per Calvino, si associa comunque sempre alla precisione e alla determinazione: può essere associata al linguaggio, che diventa così un elemento senza peso “che aleggia sopra le cose come una nube“; ci può essere un alleggerimento nella narrazione di un ragionamento, o di un processo psicologico, o in qualunque descrizione; ci possono, infine, essere immagini di leggerezza, che assumono un valore emblematico.

Calvino riporta molti esempi tratti da Cervantes, Shakespeare, Cyrano de Bergerac, Leopardi; qual è il filo che accomuna esempi tanto diversi? E’ la scrittura intesa come metafora della sostanza pulviscolare del mondo; la parola, come la intende Calvino, è quindi “inseguimento perpetuo delle cose, adeguamento alla loro varietà infinita“. E chissà, se in queste prospettive, non aggiungerebbe, oggi, questo film della Pixar.

Alla base della letteratura come ricerca della leggerezza, in quanto reazione al peso di vivere, c’è un bisogno antropologico; lo sciamano rispondeva alla precarietà dell’esistenza della tribù annullando il peso del suo corpo, trasportandosi in volo in un altro mondo, in un altro livello di percezione.

La letteratura perpetua questo dispositivo antropologico, questo nesso tra lievitazione desiderata e privazione sofferta, che si trasforma in leggerezza, e permette di volare nel regno dove ogni mancanza sarà magicamente risarcita.

Aldilà delle illuminanti e geniali intuizioni contenute nelle citazioni calviniane, che pure ho inteso, in parte, riprendere, credo che quello della légèreté sia un po’ il fil rouge di tutte le opere della Pixar.

Tutti gli esistenti del film UP, risolvono, a guardare bene, il loro problema esistenziale trovando un sicuro rifugio nella leggerezza.

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Lievitare è un po’ il segreto delle loro vite.

E potremmo agevolmente sostenere che tutto, nel film UP, viene ricondotto alla “sostenibile leggerezza dell’essere“.

E sarà proprio, infatti, nell’incontro tra Carl, questo apparentemente imperturbabile vecchietto (pensato, a detta degli autori, come un mix di Walter Matthau e Spencer Tracy), e la sua casetta volante, con:

  • il piccolo Russell, un esploratore junior di otto anni che si trovava sul portico di Carl e che sarà così il suo fedele compagno di viaggio
  • un misterioso ma affettuoso uccello goloso di cioccolato
  • un cane parlante di nome Dug
  • ed infine del redivivo Charles Muntz – esploratore eroe della giovinezza di Carl

che il concetto di leggerezza (ed il suo contrario) saranno, un po’ pervasivamente, la chiave di volta per la risoluzione di un po’ tutti i conflitti, e dei punti di snodo del racconto.

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Peraltro, se solo ragionaste, con un po’ di memoria, a molti altri esistenti dei film della Pixar (come non rievocare il genio di Wall-e o di Ratatouillle), trovereste chili, o … ehm pardon  volevo dire grammi, di leggerezza anche lì.

§§§

3. Il tempo che scorre, i sogni da realizzare vs. il rimpianto degli eldoradi perduti, ed il rapporto tra vecchio e nuovo

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Se è vero che la légèreté è la lente con la quale il regista Peter Docter, coadiuvato da Bob Peterson, guarda un po’ a tutti gli esistenti del film, gli eventi di UP narrano, ovviamente a mio modo di vedere, alcuni concetti che, oserei dire, sia nello specifico filmico, che in quello narrativo, ripropongono alcuni archetipi del mito americano e, perchè no, anche di quelli della Pixar.

Cerchiamo, rapidamente, di analizzarli tutti.

§§§

3.1 Il tempo che scorre

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Qui siamo, quasi, sul filosofico, oltre che nell’esistenziale.

Nella prima parte del film assistiamo, infatti, all’incontro di quelli che in quel momento della narrazione, sono solo due bambini (il protagonista Carl e sua moglie Elle), uniti dalla comune passione per le avventure e le esplorazioni. (Altro riferimento alla mission della Pixar).

Sempre nelle rapide sequenze iniziali li vediamo, poi, semplicemente crescere insieme, amarsi, e trascorrere il resto della loro vita uniti, tra gioie e dolori, un po’ come tutti.

Quando incontriamo, quindi, per la prima volta, Carl Fredricksen da anziano,  (ben doppiato, in italiano, dal veterano Giancarlo Giannini), conosciamo già il suo passato, il suo grande amore per la oramai scomparsa moglie, il suo più grande rimpianto, quello di non aver mai mantenuto la promessa fatta all’amata Ellie: portarla in Sud America per una grande avventura e costruire una casetta colorata in un luogo magico e dimenticato chiamato Paradise Falls, (forse un vago riferimento “Paradise lost” di John Milton), proprio dove il loro mito di gioventù, l’esploratore Charles Muntz (che ha la felliniana voce di Arnoldo Foà), scomparve anni or sono, alla ricerca di un mitico pennuto.

Qui subentrano altri due elementi narrativi.

§§§

3.2 L’importanza di realizzare i sogni vs. gli eldoradi perduti

Quello che muove all’azione Carl Fredricksen, a guardare bene, è il conflitto interiore tra due oscure forze contrastanti tra loro.

Paradossalmente anche evocata nel rapporto protagonismo – antagonismo tra Carl Fredricksen e del suo giovanile eroe, l’esploratore Charles Muntz.

Il rimpianto per quelli che chiamo gli eldoradi perduti, e cioè la felice vita trascorsa con la moglie, e la forza di realizzarne il sogno.

Se non ci fosse l’uno non ci sarebbe l’altra.

In questo rapporto entrano, quasi come guidati da una forza divina o, se preferite, da un deus ex machina molto spirituale, gli altri esistenti del film.

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Il petulante, ma affettuosissimo giovane esploratore Russel, il cane Dug, lo struzzo colorato e gigante goloso di cioccolato.

La cosa straordinaria di questa avventura è proprio quella di farci assistere alla realizzazione di un sogno.

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Devo dire che, aldilà di esilaranti trovate, come quando il cane dice “punta” e si mette a fissare qualcosa, o la parolina magica per rendere inoffensivi i “cani nemici” di Charles Muntz: “Scoiattolo“, la cosa che mi ha colpito di più del film è stata proprio quella di questa quasi mistica apparizione. Come se il cinema, ancora una volta, diventasse il luogo delle magie, dove non solo le case volano sospinte dai palloncini ad elio, ma dove la forza, anche visiva di un sogno ,riesce, non senza difficoltà, a trovare il suo epico epilogo.

C’è qualcosa di alchemico nell’opera di dare attuazione ad un sogno, qualcosa che si avvera solo se, a quel sogno, ci si crede con tutte le proprie forze, e se, in nome di quel sogno, si è disposti a rischiare tutto. (Vedi la casa che scompare tra le nuvole).

Non trovate che, anche qui, faccia capolino il mito della Pixar?

Ed arriviamo al messaggio finale del film.

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3.3 Il rapporto tra il vecchio ed il nuovo

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Forse avrei dovuto dire il rapporto tra vecchio e giovane, e, forse, ancora meglio, tra genitori e figli.

O, forse, avrei dovuto accennare al gap che, da sempre, divide generazioni successive.

E già perché è proprio come se gli sceneggiatori avessero voluto, sapientemente, inserire, anche, tutti questi elementi sociali, nel raccontare, sempre con la lente della leggerezza, l’universo dei valori che cambia e che evolve.

Come nel mutamento, già accennato, del rapporto tra Carl Fredricksen con il suo idolo giovanile, l’esploratore Charles Muntz, che da bambino vs. il suo mito, si trasforma in una potente relazione protagonismo – antagonismo.

O come il fatto che mentre nella figura di Carl Fredricksen, la passione per l’esplorazione nasce libera e pura, al limite indirizzata dalla moglie bambina, nel caso del giovane Russel è come se derivasse, invece, da un vuoto affettivo e familiare, frutto dell’evoluzione sociale e valoriale dei rapporti familiari.

Ma il film ci parla proprio di questo, alla fine.

Di quanto sia importante che il vecchio dialoghi con il nuovo.

E di come importante sia, alla fine, che il progetto contenga sia tutta la prorompente ed ardente voglia del giovane di essere nuovo, sia l’esperienza del vecchio, intesa come origine, insostituibile, di patrimonio di conoscenze, non solo, ma, anche, di esperienza di vita.

Insomma alla fine di questa analisi mi sono convinto di una cosa.

Pixar

Che questa storia ci parli, infondo, di una cosa ed una sola: della Pixar, signori.

Alla prossima.

Ah si certo … le musiche. Ok, sono importantissime. Ecco, l’ho detto.

E del resto tutti questi premi e nomination per John Lasseter … mica piovono dal cielo.

Heath Ledger e gli altri

Tutti ma proprio tutti i film in uscita dal 23 ottobre 2009

Con tutti i trailer nell’area commenti

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In ritardo per via del Festival internazionale del Cinema di Roma eccovi le scelte di cinemavistodame2 per il weekend.

Il Vostro si è avventurato, anche questa settimana, nell’indistricabile, intorcigliato e rutilante mondo dei film in uscita, con i suoi modi spigliati, ed è andato a fondo a tutta una serie di situazioni a cui i più si sarebbero sottratti.

Leggi perciò subito l’ultimissimo numero di cinemavistodame2.com.

Tieni diritto pure tu di conoscere il nostro parere.

Clicca. Qui.

Roma Film Festival: vince “Brotherhood”

Il pubblico vota, invece, per “L’uomo che verrà”

Festival Internazionale del Film di Roma

Pronostici rispettati al Festival Internazionale del Cinema di Roma.

locandina del film Brotherhood di Nicolò Donato

E’ stato, infatti, il film “Brotherhood“, di Nicolò Donato, a vincere il “Marco Aurelio d’oro” della giuria come miglior pellicola.

locandina_l_uomo_che_verrà di Sergio Dritti

Il pubblico, invece, ha incoronato “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti.

I premi per gli attori sono stati assegnati a Sergio Castellitto per “Alza la testa” e Helen Mirren per “The Last Station” di Michael Hoffman.

Si spengono pertanto i riflettori sulla quarta edizione del Festival con il film del danese di origine italiana Nicolò Donato. il lungometraggio incentrato sulla passione gay che travolge un ex sergente (Thure Lindhardt), nuova “matricola” di un gruppo neonazista, e il suo mentore omofobo e razzista (David Dencik), ha battuto nella preferenze della giuria internazionale presieduta da Milos Forman e composta da Gabriele Muccino, Gae Aulenti, Jean-Loup Dabadie, Pavel Lungin, Senta Berger, gli altri favoriti della vigilia: “Dawson Isla 10” di Miguel Littin (che è anche il candidato cilena all’Oscar per il miglior film straniero) e “Up in the air“, diretto da Jason Reitman (che aveva vinto il “Marc’aurelio d’Oro” due anni fa con “Juno“) e interpretato da un bravissimo George Clooney.

Sergio Castellitto dopo aver firmato autografi lancia il pennarello tra il pubblico

Ma anche Clooney è rimasto al palo, superato da Sergio Castellitto che si è aggiudicato il “Marc’Aurelio d’Argentodella Giuria al migliore attore per l’interpretazione del protagonista di “Alza la testa” di Alessandro Angelini.

Helen Mirren

Il “Marc’Aurelio d’Argentodella Giuria alla migliore attrice è andato, confermando le aspettative della vigilia, a Helen Mirren per il ruolo di Sofya in “The Last Station” del tedesco Michael Hoffman. “Doppietta” di Giorgio Diritti che con “L’uomo che verrà“, in cui si racconta la strage di Marzabotto con gli occhi degli umili e dei sopravvissuti, si è aggiudicato sia il “Gran Premio della Giuria Marc’Aurelio d’Argento” che l’ambitissimo “Premio del Pubblico del Festival“.

I film in uscita dal 23 ottobre 2009

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cinepresa di cinemavistodame Nei Cinema dal 23 Ottobre 2009

  • Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo – di Terry Gilliam
  • Lebanon – di Samuel Maoz
  • Julie & Julia – di Nora Ephron
  • La battaglia dei tre regni – di John Woo
  • Brüno – di Larry Charles
  • Io, Don Giovanni – di Carlos Saura
  • Oggi sposi – di Luca Lucini
  • L’incredibile viaggio della Tartaruga – di Nick Stringer

Parnassus - l'uomo che voleva sfodare il diavolo

Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo

titolo originale: The Imaginarium of Doctor Parnassus
nazione: Francia / Canada
anno: 2009
regia: Terry Gilliam
genere: Fantasy / Avventura
durata: 122 min.
distribuzione: Moviemax
cast: H. Ledger (Tony) • J. Depp (Tony) • J. Law (Tony) • C. Farrell (Tony) • C. Plummer (Dr. Parnassus) • T. Waits (Mr. Nick) • L. Cole (Valentina) • V. Troyer (Percy)
sceneggiatura: T. Gilliam • C. McKeown
musiche: J. Danna • M. Danna
fotografia: N. Pecorini
montaggio: M. Audsley

Trama: Il Dottor Parnassus gestisce da secoli un favoloso spettacolo itinerante: il suo dono di guidare l’immaginazione degli spettatori gli permette di far vivere loro esperienze incredibili. A causa di suo patto con il demonio, però, Parnassus si trova in procinto di perdere la figlia Valentina che, al compimento dei sedici anni, diverrà proprietà del Maligno.

Terry Gilliam, ammettiamolo, ci ha, da tempo, abituato a lasciarci perplessi, alla fine di suoi film spesso andiamo a casa con la sensazione di non aver ancora finito la visione, di non aver afferrato appieno il senso del discorso.

Parnassus” forse parla del libero arbitrio, ma lo fa premendo il tasto della difficoltà insita in ogni scelta, in una lotta disperata contro il caso.

Lo fa affascinando lo spettatore, come sempre, portandolo in un mondo che non conosce e che potrebbe abitare ogni notte, nei propri sogni e nei propri incubi: lo spettatore che si trova estraneo in quel mondo si rispecchia in Heath Ledger, che nello stesso mondo non si riconosce, di volta in volta, nei tratti di Johnny Depp, di Jude Law e di Colin Farrell.

Un mondo dal quale Heath Ledger (purtroppo) non tornerà più, ed è con la forza del dolore, dell’amicizia e del rispetto che Gilliam ha radunato tre dei più cari amici dell’attore scomparso per portare a termine il suo film, il Loro film, costretto dal fato a fare ciò che non aveva liberamente scelto, migliorare il suo “Parnassus” con un’invenzione geniale e lancinante, scoprendo la poesia là dove Mr. Nick è venuto a reclamare la sua anima.

4 stars.

Locandina Lebanon

Lebanon

titolo originale: Levanon
nazione: Israele
anno: 2009
regia: Samuel Maoz
genere: Drammatico
durata: 92 min.
distribuzione: Bim Distribuzione
cast: Y. Donat (Shmulik) • I. Tiran (Asi) • O. Cohen • M. Moshonov (Yigal) • Z. Shtrauss (Gamil)
sceneggiatura: S. Maoz
fotografia: G. Bejach
montaggio: A. Leibovitch

Trama: Prima guerra del Libano, giugno 1982. Un carro armato e un plotone di paracadutisti vengono inviati a perlustrare una cittadina ostile bombardata dall’aviazione israeliana. Ma i militari perdono il controllo della missione, che si trasforma in una trappola mortale. Quando scende la notte i soldati feriti restano rinchiusi nel centro della città, senza poter comunicare con il comando centrale e circondati dalle truppe d’assalto siriane che avanzano da ogni lato. Gli eroi del film sono una squadra di carristi – Shmulik, l’artigliere, Assi, il comandante, Herzl, l’addetto al caricamento dei fucili, e Yigal, l’autista – quattro ragazzi di vent’anni che azionano una macchina assassina. Non sono coraggiosi eroi di guerra ansiosi di combattere e di sacrificarsi.

Lebanon” parla dello spinosissimo tema della guerra tra Israele e Libano di inizio anni ’80, ma si rifugia – fatta esclusione per la prima e l’ultima inquadratura – all’interno di un carro armato per analizzare forse ancor di più e meglio,  il senso di impotenza e più in generale di tutte le sensazioni che attraversano chi è costretto a fare una guerra.

Un’ambientazione assolutamente claustrofobica, siete avvistati, che si fonde presto con l’umanità dei quattro protagonisti ebrei, spinti all’estremo con conseguente progressivo aumento della tensione, dell’angoscia e soprattutto dell’isolamento, quando l’unico strumento di conoscenza verso ciò che accade finisce per essere il mirino.

Il messaggio verso l’alto di “Lebanon” ci parla di un pacifismo più originale e penetrante dei suoi predecessori, vincendo la sfida dei primi piani, stravolti da lacrime e petrolio e immersi in un buio che odora di ignoto e ferraglia. Non c’è però politica nel film di Samuel Maoz.

C’è solo il racconto molto scarno di un’esperienza che tende all’assoluto e alla morte. Il nemico è, si, lì fuori, ma c’è una guerra assai più importante da vincere: quella interiore contro se stessi.

Il film lo ricordo ha vinto il Leone d’Oro alla 66a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

4 stars.

Locandina Julie & Julia

Julie & Julia

titolo originale: Julie & Julia
nazione: U.S.A.
anno: 2009
regia: Nora Ephron
genere: Commedia
durata: 123 min.
distribuzione: Sony Pictures
cast: M. Streep (Julia Child) • A. Adams (Julie Powell) • S. Tucci (Paul Child) • C. Messina (Eric Powell) • L. Emond (Simone Beck) • H. Carey (Louisette Bertholle) • M. Rajskub (Sarah) • J. Lynch (Dorothy McWilliams) • C. Wilson (Regina) • B. Avers (Garth) • M. Place (Julie’s Mom)
sceneggiatura: N. Ephron
musiche: A. Desplat
fotografia: S. Goldblatt
montaggio: R. Marks

Trama: “Julie & Julia” mostra un’impiegata del governo che decide di imparare a cucinare utilizzando il leggendario libro di cucina di Julia Child, “Mastering the Art of French Cooking”, utilizzando la sua piccola cucina del Queens. La Powell aggiorna il suo blog per un anno con le sue esperienze giornaliere, guadagnando dei sostenitori.

E’ sempre più così raro riuscire ad assistere ed un film-commedia “classico” che non ci deluda nella seconda parte.

Meravigliatevi, pertanto, nella visione di questo lungometraggio di Nora Ephro.

Perché, mi chiederete, e, giustamente, voi?

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Ad esempio perché la regista newyorkese non si appoggia totalmente e solamente sul talento di Meryl Streep (come ha invece fatto, ad esempio, di recente, David Frankel ne “Il diavolo veste Prada”), ma ne dosa l’irruenza lasciando ad Amy Adams il suo spazio, in una costruzione parallela che non soffoca la giovane attrice co-proagonista da Oscar di Maryl ne “Il dubbio”.

La scelta di non intrecciare mai la narrazione delle due storie è sicuramente l’aspetto più rilevante del film, che evita con tale escamotage,  la preparazione del gran finale che avrebbe appesantito le due ore abbondanti del film.

Il resto lo fa un’atmosfera familiare, tutta racchiusa tra i fornelli della piccola cucina del Queens ed i grandi spazi di Julia Child, personaggio di poco spessore che acquista stazza grazie alla straordinariamente esagerata recitazione della Streep.

Il film è stato, presentato in anteprima al Festival di Roma che si concluderà domani, ed è fortemente sconsigliato a chi sta a dieta. ;)

3 stars virgola cinque.

Locandina La battaglia dei tre regni

La battaglia dei tre regni

titolo originale: Chi bi
nazione: Cina
anno: 2008
regia: John Woo
genere: Azione / Storico / Guerra
durata: 130 min.
distribuzione: Eagle Pictures
cast: T. Leung (Zhou Yu) • T. Kaneshiro (Zhuge Liang) • F. Zhang (Cao Cao) • C. Chang (Sun Quan) • W. Zhao (Sun Shangxiang)
sceneggiatura     J. Woo • K. Chan • C. Kuo • H. Sheng
musiche: T. Iwashiro
fotografia: Y. Lu • L. Zhang
montaggio: R. Ferretti • A. Lam • H. Yang


Trama
: All’inizio del Tredicesimo secolo, la terra di Wu viene invasa dal signore della guerra Cao Cao e i suoi milioni di soldati. Il governatore di Wu, Sun Quan, chiede aiuto al suo rivale Liu Bei, ma il numero dei soldati delle loro armate è comunque esiguo rispetto alle forze nemiche. Tuttavia lo stratega Zhou Yu capisce che l’armata di Cao Cao non è addestrata alle battaglie in mare. Se ben sfruttata, questa debolezza darà loro una chance di vittoria.

Epico back to home di John Woo che nel farlo tesse le trame di un moderno poema attraverso alcuni episodi di un importante periodo storico cinese. Sullo schermo ci fa rivivere la battaglia delle Scogliere Rosse, (narrata nel film come “La battaglia dei tre regni”), divenuta mitica nella memoria collettiva dell’intero continente asiatico così come gli eroi che ne agirono le gesta.

Con uno specifico filmico tipicamente orientale, con i primi piani tipici di Woo, l’imponente e costosa macchina da guerra sa catturare ed incollare alla poltrona forse più nella forma che nella sostanza del contenuto.

Molto poco apprezzato l’utilizzo del lettering per i titoli, che ricorda gli innumerevoli videogiochi dedicati al periodo storico, sublime appare invece essere l’accuratezza di suoni e delle musiche, nonché la delicatezza e l’irruenza che accompagnano, in qualche misura definendola e completandola, la narrazione degli eventi.

3 stars virgola cinque.

Locandina Brüno

Brüno

titolo originale: Brüno
nazione: U.S.A.
anno: 2009
regia: Larry Charles
genere: Commedia
durata: 83 min.
distribuzione: Medusa Film
cast: S. Baron Cohen (Brüno) • G. Hammarsten (Lutz) • C. Bañagale (Diesel)
sceneggiatura: S. Baron Cohen • A. Hines • D. Mazer • J. Schaffer
musiche: E. Baron Cohen
fotografia: A. Hardwick • W. Held
montaggio: S. Davids • J. Thomas

Trama: Apparso per la prima volta in piccoli sketch realizzati per il canale televisivo The Paramount Comedy Channel nel 1998, Bruno, reporter gay dai modi fashion, arriva sul grande schermo per assicurare un altro incredibile successo.

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Dopo quelli dell’esilarante giornalista kazako Borat Sagdiyev, Sacha Baron Cohen veste i panni di Brüno, un reporter gay deciso a conquistare il mondo dello spettacolo con la sua visione trandy e sfacciata della vita.

Analoga la prospettiva narrativa del regista Larry Charles che è ancora basata sull’idea di filmare le reazioni delle persone messe a confronto con l’omosessualità, manifesta e irriverente, di Brüno, dovendo fare i conti con le chiamate provenienti dall’FBI, che lo avvertiva di possibili minacce di morte, o con le aggressioni della folla inferocita.

Brüno” è a tutti gli effetti una commedia estrema e ben realizzata, se solo si pensa, ad esempio, alle intenzioni della produzione, meno, e questo va detto, se ci si ferma a riflettere sul come, per far ridere, oramai i registi (non solo quelli italiani e questo è ancora più triste), siano costretti a mettere in scena le trovate più volgari e più trash. Mah …

Ciononostante gli spunti di riflessione non mancano e la seconda parte, più incisiva, ci regala idee demenziali più intelligenti e intriganti del previsto, tutto sommato.

3 stars, ma solo perché Borat mi aveva divertito assai.

Locandina Io, Don Giovanni

Io, Don Giovanni

titolo originale: Io, Don Giovanni
nazione: Austria / Italia / Spagna
anno: 2009
regia: Carlos Saura
genere: Drammatico
durata: 115 min.
distribuzione: Lucky Red Distribuzione
cast: L. Balducci (Lorenzo da Ponte) • L. Guanciale (Mozart) • E. Verginelli (Annetta) • T. Moretti (Casanova) • E. Fantastichini (Salieri)
sceneggiatura     C. Saura • R. Uboldi • A. Vallini
musiche: N. Tescari
fotografia: V. Storaro
montaggio: J. Juaniz

Trama: Venezia. 1763. Lo scrittore Lorenzo Da Ponte conduce una vita dissoluta. Prete in origine, viene esiliato a Vienna per aver diffuso versi contro la Chiesa e il potere dell’Inquisizione. Con il supporto del suo amico e mentore Casanova, Lorenzo viene presentato al maestro Salieri, compositore prediletto dell’Imperatore e conosce così Wolfgang Amadeus Mozart. Intravedendo l’opportunità di frenare l’ascesa di Mozart, Salieri spinge Mozart a prendere questo sconosciuto libertino come suo librettista. La natura stessa di Lorenzo, invece, sarà fonte di ispirazione per una delle sue opere più audaci e potenti: Don Giovanni.

Ah si certo le musiche, ah si certo l’impeccabile fotografia di Vittorio Storaro, ah si certo i (pochi) virtuosismi di Carlos Saura.

La verità è che tutti questi elementi erano, puramente e semplicemente, le premesse di “Io, Don Giovanni”, e che a queste, però, ahimè, si ferma.

Il lungometraggio del genio del cinema spagnolo, non ci dice nulla di nuovo, e non regge (nemmeno volendo essere onesti fino in fondo), il confronto con i capisaldi del cinema mozartiano (“Amadeus”) né di quello su Casanova, evitando furbescamente e saggiamente quello con con Visconti – che ha rappresentato tanto Vienna quanto Venezia come nessuno riuscirà più – ricorrendo ai fondali finti di un palcoscenico teatrale.

Teatrale al limite dell’operistico, è la recitazione di tutti gli attori, peraltro, eccezion fatta per il protagonista Lorenzo Balducci, che tenta di dare al suo Lorenzo Da Ponte un taglio più cinematografico. Bah …

3 stars.

Locandina Oggi sposi

Oggi sposi

titolo originale: Oggi sposi
nazione: Italia
anno: 2009
regia: Luca Lucini
genere: Commedia
durata: 118 min.
distribuzione: Universal Pictures
cast: L. Argentero (Nicola) • M. Placido (Sabino) • I. Ragonese (Chiara) • R. Pozzetto (Renato) • C. Crescentini (Giada) • M. Atias (Alopa) • F. Nigro (Fabio) • G. Pession (Sabrina) • L. Savino (Violetta) • D. Bandiera (Salvatore) • H. Shapi (ambasciatore) • F. Montanari (Attilio)
sceneggiatura: F. Bonifacci • F. Brizzi • M. Martani
fotografia: M. Archinto
montaggio: F. Rossetti

Trama: “Oggi sposi” racconta, in modo del tutto ironico e rocambolsco, l’ansia pre-matrimoniale per quattro giovani coppie alle prese con l’età adulta.

Dal momento che gli ultimi film (e soprattutto “Solo un padre“) mi erano piciucchiati, volutamente sospendo il giudizio per questa pellicola che tenta di essere  la commedia decisamente più brillante della sua produzione.

Non si legge in giro niente di positivo (a parte il twitter di un cinfilo incolto ed insonne), su questo film, ma non è questo necessariamente un motivo per parlarne male.

Avevo annotato di là un certo trend di miglioramento nell’opera di questo regista che siamo certi tornerà presto a piacerci.

Ti diamo tre stars Luca per non rovinarti troppo la media ;)

Locandina L'incredibile viaggio della Tartaruga

L’incredibile viaggio della Tartaruga

titolo originale: Turtle: The Incredible Journey
nazione: Austria
anno: 2009
regia: Nick Stringer
genere: Documentario
durata: 80 min.
distribuzione: Bolero Film
cast: H. Elsner (German narrator) • M. Richardson (Narratore)
sceneggiatura: M. Finn
musiche: H. Lohner
fotografia: R. McGuinness
montaggio: S. Barton • R. Wilkinson

Trama: “Turtle: The Incredible Journey” è la vera storia di una piccola tartaruga marina, che segue la rotta dei suoi antenati in uno dei più straordinari viaggi nel mondo naturale. Nata su una spiaggia della Florida, nuota lungo le correnti del Golfo verso l’Artico e infine nuota intorno al nord Atlantico prima di tornare alla spiaggia dov’è nata. Quando finalmente approda sulle rive della Florida sono passati 25 anni. Ma la sua spiaggia sarà ancora lì?

Si insomma un documentario di Nick Stringer.

Frega qualcosa a qualcuno?

No dico ve la immaginata la seguente telefonata:

Ciao sono Rob, … ti andrebbe di andare a vedere un documentario austriaco del regista Nick Stringer sulle tartarughe marine?

Vi prego di (non) immaginare (anche) la risposta, grazie.

3 stars (per le tartarughe, eh).

E i trailer dove li guardo?

Ma nell’area commenti dell’altro blog cliccando qui, che domande.

A cura di cinemavistodame.com.

La doppia ora – di Giuseppe Capotondi

analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo

Ibridazioni tra generi noir e thriller e l’ambiguità femminea

Locandina del film "La doppia ora"

La doppia ora

titolo originale: La doppia ora
nazione: Italia
anno: 2009
regia: Giuseppe Capotondi
genere: Noir/Drammatico/Thriller
durata: 95 min.
distribuzione: Medusa Film
cast: Ksenia Rappoport (Sonia) • Filippo Timi (Guido) • G. Colangeli (prete anziano)
sceneggiatura: L. Rampoldi • A. Fabbri • S. Sardo
musiche: P. Catalano
fotografia: T. Radcliffe
montaggio: G. Notari
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Trama: Sonia viene da Lubiana e fa la cameriera. Guido è un ex poliziotto e lavora come custode in una villa. Si incontrano in uno speed date. Lui è un cliente fisso. Per lei è la prima volta, e si vede. Poche parole, un’istintiva attrazione. In pochi giorni imparano a conoscersi, a svelare le proprie ferite. Sono sul punto di innamorarsi, quando Guido muore. Improvvisamente, durante una rapina nella villa che dovrebbe custodire. Sonia si ritrova da sola a elaborare un lutto di cui non riesce a trovare il senso. E di cui alcuni addirittura la ritengono responsabile. Mentre il passato di Sonia ritorna, con tutti i suoi nodi non risolti, la realtà che la circonda comincia a collassare, fino a crollarle addosso. Chi è veramente Sonia? E soprattutto, è davvero Guido quello che lei continua a vedere?

Introduzione

Inizio subito con il dire una cosa.

E’ raro vedere un debutto di un regista italiano ultimamente.

Ed è rarissimo che questa cosa coincida con una pellicola di livello.

Giuseppe Capotondi e Ksenia Rappoport

Non è questo il caso di Giuseppe Capotondi, né quello di questo film per tutta una serie di ragioni.

Ne citerò tre che tenterò di argomentare e sviluppare in questa analisi.

  1. La prima: l’impianto narrativo:
    • ibridazioni tra generi noir e thriller
    • ambiguità femminea dell’esistente Sonia e collocazione temporale della “crisi” del personaggio
    • ambiguità vs. doppiezza
  2. La seconda: l’idea filmica di riprendere qualcosa che non è la realtà
  3. La terza: gli aspetti inerenti la celata misoginia, legata ancora all’ambiguità femminea dell’esistente Sonia, del regista.

1. L’impianto narrativo

Chi mi legge lo sa. Amo molto la risoluzione delle problematiche che un buon impianto narrativo comporta, e, devo riconoscere, che se c’è davvero un aspetto di pregio, di questo lungometraggio, e, della sua indiscutibile atmosfera aurorale, che, spesso, accompagna le opere prime, è proprio quello inerente la sceneggiatura. Non a caso la stessa ha ricevuto una menzione speciale al Premio Solinas.

Ma perchè è interessante l’impianto narrativo de “La doppia ora“?

Per due motivi.

L’ibridazione, di notevole spessore, tra il genere thriller ed il genere noir.

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L’ambiguità, specificamente femminea, dell’esistente protagonista Sonia, interpretata, direi magnificamente, da Ksenia Rappoport, che si è conquistata, per questa parte, la Coppa Volpi alla recente Mostra di Venezia ’67.

§§§

1.1 Ibridazioni tra genere noir e genere thriller

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Il genere noir si differenzia dal giallo perché lo scopo del film non è, solamente, raccontare e risolvere un crimine. A fine storia lo spettatore deve riflettere, sulla base di ciò che ha visto, sulla realtà che gli sta intorno, deve analizzare il mondo che lo circonda in base alle informazioni che riesce a raccogliere dalle immagini, in modo tale che quasi la soluzione del crimine passi in secondo piano. Il noir tende ad avere più un antieroe come protagonista, invece dell’eroe del giallo. Ed è anche proprio la differenza tra i finali, che rende i due generi diversi tra loro, anche se, ovviamente, facilmente considerabili, comunque, contigui. Il finale giallo è, infatti in genere, un finale consolatorio, e frequentemente la soluzione del giallo riporta allo status quo. Il finale di un noir è, invece, sempre, poco consolatorio, a volte capita che addirittura non esista, o che non ci sia soluzione al l’intreccio della storia. Il punto di vista della narrazione, è l’altra differenza importante: il giallo è la storia raccontata dai buoni. Il noir è la storia raccontata dal punto di vista criminale … il tutto con le debite, ovvie, e dovute eccezioni.

La caratteristica comune delle opere appartenenti al genere thriller, e che lo distingue dal poliziesco, è quella di cercare di provocare nel lettore o nello spettatore una particolare tensione, la suspense, che può sfociare, a volte, anche, nella paura. Spesso lo spettatore assiste direttamente alla preparazione ed all’esecuzione di un crimine, subendo, pertanto, un forte coinvolgimento emotivo. Per raggiungere il climax gli autori utilizzano, più volte, tutti gli accorgimenti tipici di questo genere: accavallamento di più intrecci, personaggi che operano nell’ombra, sequenze al rallenty ed i cliffhanger.

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I thriller si fondono, comunque, spesso con il giallo in senso lato, ma sostanziali sono le differenze nella trama. In un thriller, il protagonista deve spesso fermare i piani criminali dell’antagonista. Il pericolo e gli scontri, più o meno violenti, sono spesso elementi fondamentali della trama. Mentre nel giallo classico il climax viene, di solito, raggiunto quando il mistero viene risolto, nei thriller viene raggiunto quando il protagonista, alla fine, riesce a battere l’antagonista, salvando la vita a sé stesso, e, molto frequentemente, anche ad altri personaggi.

In effetti, chi assiste ad una proiezione de “La doppia ora“, assiste, di fatto, all’intreccio direi molto interessante, e spesso, peraltro, anche ribaltato rispetto agli archetipi fondanti, di queste due ontologie, che raramente, come in questa opera, vengono costantemente a mescolarsi, tanto che lo spettatore non riesce, per un lungo tratto del film, a comprendere, realmente, a quale di questi due generi sia, quantomeno prevalentemente, attribuibile il lungometraggio.

§§§

1.2 Ambiguità femminea dell’esistente Sonia e la collocazione temporale della “crisi” del personaggio

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Questo è, direi, uno dei temi centrali del film, che riprenderò, anche, nell’ultimo paragrafo di questa analisi.

Calato nell’impianto narrativo, questo aspetto, è notevolmente ed abilmente, direi, dissimulato, probabilmente proprio perchè è la stessa Sonianella lunga “crisi” del suo personaggio, collocata, direi in maniera abbastanza ardua ed innovativa, all’inizio del film, con una soluzione che mi ha riportato alla mente, proprio per questa peculiarità narrativa, la costruzione dell’intreccio del film “Lantana” di Ray Lawrence (Australia – 2001) – a non averlo, persino lei, chiaro, a livello inconscio.

Nel contesto dello specifico aspetto inerente l’impianto del racconto, l’ambiguità femminea di Sonia, viene, più che altro, utilizzata per confondere lo spettatore, con espedienti che rendono molto arduo il processo d’infralettura narrativa.

Quella che sembra appunto “la crisi della protagonista“, ha, viceversa, delle spiegazioni assolutamente plausibili e corrette, che si esplicitano nella narrazione curiosamente assolutamente lineare dello sviluppo dell’intreccio.

E direi che questo specifico aspetto (rendere ardua l’infralettura), in una trama lineare, è quello che maggiormente rende pregevole il lavoro della sceneggiatura, che ha, secondo noi, giustamente ed ampiamente, meritato la menzione al Premio Solinas.

1.3 Ambiguità vs. doppiezza

Non è un caso, peraltro, e chiudo, che l’ambiguità si accompagni con il concetto di doppiezza, rievocata nel titolo, e nell’impossibilità (lieve anticipazione di destino degli esistenti), che, nonostante quanto Guido racconti, circa il possibile avverarsi dei desideri espressi nello scoccare della cosiddetta “doppia ora” (es. le 05:05),  ciò di fatto, poi, non avvenga nella realtà.

Piccolo bit anticipatorio, che è, infondo, lo stesso Guido a regalarci, a guardare bene, con la sua ammissione che, secondo lui, questo mito, è solo una credenza priva di fondamento, alla quale lui, pertanto, non crede, convinzione, che, invece, (ennesima allitterazione sulla doppiezza), sarà egli stesso, di fatto, a smentire, con la sua ostinata, fino a rasentare l’ingenuità, fiducia, nella buona fede di Sonia che, a sua volta, in quanto a doppiezza, è, come dire, una sorta di archetipo junghiano.

§§§

2. Idea filmica di riprendere la non realtà

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Un altro aspetto notevole, forse anche sotto lo specifico filmico, e non solo narrativo, è l’idea del regista (informazione molto spoiler attenzione), di riprendere – nel primo tempo del racconto – una sezione della vita della protagonista (che crea il presupposto per il primo grande colpo di scena e di snodo della narrazione degli eventi), che è si della vita della protagonista, ma che, rispetto a quello che lo spettatore è portato (genialmente peraltro) a credere, non corrisponde con la realtà con cui il film ha inizio.

Molto si è detto, e giustamente, parlando di “Bastardi senza gloria” di Quentin Tarantino, di quanto il cinema possa filmare persino un epilogo storico inesistente ed immaginario.

Molto si può dire, pertanto, della sua capacità di riprendere, in questo film, una condizione puramente mentale, che nessun umano se non, forse, attraverso una sua traumatica esperienza, riuscirà a fare mai entrare nel suo campo visivo (reale). Non intendo anticipare di più, per non sciupare la grande emozione, che, ad un certo punto lo svelamento di questa parte del racconto comporterà alla narrazione degli eventi, posso solo dire che mi ha particolarmente colpito.

E’ come se il racconto si traslasse su un piano sfalsato, e, per certi versi, parallelo alla vita degli esistenti, e conducesse, volutamente, lo spettatore a congetture, convinzioni, e conclusioni del tutto errate, rispetto a quelle che, invece, nello sviluppo dell’intreccio, si paleseranno come vere (nel senso di reali).

Qui, lo dobbiamo ammettere, il film raggiunge una lentezza forse appena eccessiva, ma nel contempo innesca una lunga serie di colpi di scena, davvero molto raffinati, che costringono lo spettatore a rimettere in discussione un po’ anche molti aspetti valoriali, di un po’ tutti gli esistenti.

Notevole non c’è che dire.

§§§

3. Misoginia celata del regista

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Quando parlo di misoginia del regista, sia chiaro, non dico che, necessariamente, Giuseppe Capotondi sia un misogino.

Per misoginia, infatti, normalmente s’intende (dal greco μισεω miseo, io odio e γυνη gyne, donna), un’esagerata avversione nei confronti delle donne.

Generalmente da parte di uomini, più raramente da parte di donne.

Spesso è usato come sinonimo o rafforzativo di maschilismo. I due concetti possono essere separati considerando la misoginia come un atteggiamento individuale e il maschilismo (da quale la misoginia può semmai derivare), come un sistema di valori che considera le donne inferiori all’uomo, e che perciò, secondo le teorie del femminismo, va riconosciuto come una vera e propria teoria politica, alla pari del razzismo o dell’antisemitismo, che mira alla sottomissione delle donne.

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Qui, a guardare meglio, stiamo probabilmente parlando invece di una misoginia legata al concetto di ambiguità femminea.

Quindi non un’avversione tout court, quanto, piuttosto, una visione molto precisa, anche nell’iconografia pittorica del ‘500, in cui la donna, e la sua potente attrazione virginale, portano l’uomo all’errore, e, spesso alla sofferenza.

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Potremmo dire che lo sviluppo valoriale dell’impianto narrativo, ci porta a contatto con esistenti femminili che non rappresentano, come peraltro abbiamo visto essere coerente con lo specifico filmico del genere noir, personaggi positivi.

La donna o è ambigua (Sonia), o, peggio, è vacua (Margherita).

Sonia, a guardarla bene, è una persona che ha nella sua natura – ed è questa, forse, potremmo dire, l’unica attenuante ai suoi comportamenti, essendo la stessa, probabilmente, assai più forte della sua stessa, inconscia, volontà – una costante capacità di provocare il male delle persona che, invece, dovrebbe amare.

Il padre prima.

[Altro rapporto archetipale ben accennato, ma non altrettanto bene sviluppato, se non in una prospettiva oserei dire didascalica, e, forse, eccessivamente di maniera].

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Guido poi.

L’uomo che l’ama, la sceglie (lui si), e che la salva, persino.

La donna, in pratica, che alla fine si rivela in una prospettiva assai contigua al volto che del femmineo  che il geniale regista danese Lars von Trier, da anni cerca di trasferirci, con ben diversi, (e che diversità), toni formali.

E cioè:

la donna come causa primaria della sofferenza dell’uomo.

Ma volutamente mi fermo qui, perchè questo aspetto, che intendiamoci è sicuramente presente, non è probabilmente la chiave di lettura più appropriata per descrivere l’opera, che la sfrutta e l’adopera per costruire, assai sapientemente, peraltro, il sempre difficile rapporto tra suspance e sorpresa.

Che rimane, e lo dobbiamo proprio ammettere, una delle cose probabilmente più pregevoli del film, unitamente alle capacità attoriali non solo di Ksenia Rappoport (Sonia) e di Filippo Timi (Guido), ma un po’ di tutti quanti gli altri attori del film, e questo, sicuramente, per merito della eccellente capacità di Capotondi di dirigerli sul set.

Anche se la storia viene narrata, direi quasi esclusivamente, per il tramite dei due soli esistenti protagonisti, elemento che rende, pertanto, ancora più difficoltosa, la restituzione, allo spettatore, di questo specifico aspetto d’impianto narrativo.

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kseniya-rappoport-in-una-scena-del-film-la-doppia-ora-di-giuseppe-capotondi
filippo-timi-in-una-scena-del-film-la-doppia-ora

Degna di nota anche la direzione della fotografia affidata a Ted Radcliffe, sia per le scene sgranate e volutamente sovraesposte delle sequenze iniziali, sia per il risultato complessivo dell’opera, che tocca aspetti molto specifici dei generi, e soprattutto per i chiaro scuri, quasi caravaggeschi, di alcune inquadrature, che suggellano le luci e le ombre di questa, veramente ben narrata, storia a sfondo noir, che consiglio a tutti di vedere.

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4. Curiosità cinephìle – già richiesto un remake made in USA del film

Chiudo con una curiosità cinephìle. Aumenta il numero di compratori statunitensi interessati a realizzare un remake a stelle e strisce di questo film … notevole risultato rebus sic stantibus … non vi pare?