La convalescenza mi costringe in casa. Ed allora che si fa? Si utilizza il DVD, certo non è la sala del cinema, ma si possono riscoprire film come Jules e Jim.
Ed era da tempo che attendevo l’occasione di questo post su Jules e Jim, che ho avuto modo, per mia fortuna, di vedere anche restaurato nel 2002, a 40 anni dalla sua uscita, nella versione italiana curata da Roberto Rossellini, nel cinema Greenwich di Testaccio.
Ed anche d’inquadrare, preliminarmente, il movimento di registi ed autori che fu la Nouvelle Vague.
Credo che per comprendere le intenzioni dello specifico filmico, come lo chiamerebbe Andrè Bazin, amico di Françoise Truffaut, del regista prima ancora che dell’uomo, delle intenzioni stesse della Nouvelle Vague, non si possa tacere il potere evocativo di rottura che questo film ha impresso nella storia del cinema francese e non solo.
Perché è proprio nella scelta di eventi ed esistenti, nelle tecniche di ripresa, nel linguaggio cinematografico, nel budget limitato della produzione, che impose numerosi stop alle riprese e che costrinse la stessa attrice icona del movimento Jeanne Moreau, a fornire parte dei soldi a Truffaut necessari per completare il film, che è possibile leggere, con chiarezza estrema, quanto ogni minimo dettaglio è parte del manifesto dell’attacco che Truffaut, ed il cartello di registi francesi appartenenti alla Nouvelle Vague, avrebbero dato al cinema francese fino allora prodotto.
Piccole avvertenze per la lettura del post.
Il post è suddiviso in tre parti ognuna delle quali è auto consistente.
Cioè si può leggere, anche, (non per forza ;D), senza aver letto le altre 2.
Poi non dite che non vi avevo avvisato.
1) Cenni introduttivi sulla Nouvelle Vague e sul ruolo di André Bazin
Il termine francese Nouvelle Vague, letteralmente “Nuova Onda“, fu applicato da una giornalista, Françoise Giraud, ad un gruppo di giovani registi ed autori francesi emergenti, che fra il 1950 ed il 1960 girarono il loro primo film.
I costi più bassi delle normali produzioni, gli autofinanziamenti, che permettevano loro una quasi totale libertà di espressione ed uno “sganciamento” dai produttori, il linguaggio cinematografico innovatore i cui principali elementi costituenti possono essere riassunti (non esaustivamente) nei principali canoni:
– lunghi piano-sequenza;
– pedinamento dei personaggi;
– “raccordi” volutamente sbagliati;
– stile documentaristico;
– uso degli esterni in diretta;
– movimenti scorretti della macchina da presa;
– lunghi dialoghi che intervallano la narrazione;
– utilizzo di attori sconosciuti (almeno all’inizio, vedi Jean Paul Belmondo);
– un atteggiamento profondamente critico ed irriverente verso il cinema tradizionale dell’epoca.
La stessa scelta delle tematiche narrative, sia negli eventi che negli esistenti, racchiusi in argomenti privati, quotidiani, ma non per questo sordi al mondo circostante, fu uno degli elementi di forza di registi come:
Françoise Truffaut, Claude Chabrol, Jan Luc Godard, Eric Rohmer, Marcel Camus, Roger Vadim, Alains Resnais, Lois Malle, Agnès Verda, solo per citare i principali artefici del movimento. (I cd. registi de “La Rive Gauche” della Senna di Parigi).
Nel 1959 due film della corrente destano grande scalpore al Festival di Cannes:
“I 400 colpi” di Françoise Truffaut e “Hiroshima mon amour” di Alains Resnais.
L’anno dopo trionfa a Cannes Jean Luc Godard con: “Fino all’ultimo respiro” – “A bout de souffle“.
E’ nata la Nouvelle Vague.
Il cinema ”non sarà mai più come prima” e JLG (Jean Luc Godard), come si faceva chiamare, diventa l’immagine della rivolta. Le sue opere sono i testi di studio di futuri critici e registi, le sue immagini sono uno schiaffo a chi sognava un cinema da salotto. Nell’insieme sono registi che provengono tutti dalla rivista di Andre Bazin “Cahiers du cinéma” critico che era stato una specie di guida spirituale, ma anche affettiva e culturale, per il giovanissimo Trauffaut, e nelle cui Cahiers la critica cinematografica, la creazione e la direzione dei film, si intrecciano. Diventano una cosa sola.
2. La Nouvelle Vague
La N.V. influenzerà lentamente gran parte della critica, compresa quella italiana.
Nasce il termine ”cinéphile” (in italiano cinefilo), (ne sappiamo qualcosa no?);D
Quando a Truffaut chiesero: “Cosa la accomuna agli altri autori della Nouvelle Vague?” rispose: “L’amore per il flipper e per Rossellini” (la citazione è interamente dedicata a C.).
Teorico della ‘‘Nouvelle Vague’‘ è stato il critico Andrè Bazin, colui che introdusse Truffaut nel gruppo, ma anche lo stesso Godard, Rohmer sono dei teorici.
Bazin evidenziava un nuovo tipo di “Realismo” molto diverso dal Naturalismo del secolo XIX, concepito e pensato rispetto al linguaggio cinematografico e a quello della fotografia, esso era visto come qualcosa di autonomo, di specifico ”distante” dalla letteratura e dal teatro, il cinema come prolungamento della fotografia attraverso la macchina da presa considerata una “Stilografica” che scrive, essa rivela un autore: il Regista.
Il critico Alexandre Astruc, di poco più anziano di Godard e compagni, scrisse un articolo nel 1948, dal titolo ”La camera – stylo” … grosso modo la macchina da presa come una stilografica … :egli diceva :”Il Cinema dopo essere stato un fenomeno da baraccone, un puro divertimento, si avvia a diventare … gradualmente un linguaggio’‘ … quindi i registi sono come …degli scrittori, che scrivono però con un linguaggio nuovo.
I riferimenti vanno in generale a Orson Welles (il suo Quarto potere venne analizzato in profondità da Bazin e riportato in auge) e Rossellini ma anche a tanti film americani considerati di serie B, rivalutati dai questa scuola, pensiamo a N. Ray il regista di “Gioventù bruciata“, altra mia prossima ri-visione in DVD, e di J. Guitar e ancora H. Hawks regista di film memorabili come “Il grande sonno” con H. Bogart.
Le considerazioni critiche di Bazin in parte, trovavano conferma nel montaggio dei film di De Sica e Rossellini e anche in molte intuizioni di Zavattini, nell’uso degli obiettivi fotografici grandangolari fatti da O. Welles.
Fondatore insieme a Jacques Doniol-Valcroze dei “Cahiers Du Cinéma” nel 1951, Bazin costituisce una delle figure fondamentali della riflessione teorica sulla essenza della settima arte condotta nel secondo dopoguerra. Nel 1945 aveva scritto alcuni saggi fondamentali ”Ontologia dell’immagine fotografica” e ”Il mito del cinema totale” in cui collegava il linguaggio cinematografico al pensiero filosofico, secondo l’intuizione di molti critici e registi francesi che il linguaggio del cinema è assimilabile ad un pensiero.
Il cinema, secondo il teorico francese, partecipa al reale grazie ad un bisogno psicologico che aveva già portato gli antichi ad imbalsamare le apparenze degli esseri umani mediante il ricorso alla scultura e alla pittura, con l’obiettivo di non arrendersi all’ineluttabile scorrere del tempo e all’incombenza della morte.
Alle origini della nascita delle arti figurative ci sarebbe, secondo Bazin, ‘il complesso della mummia‘ che spingerebbe gli uomini a conservare le fattezze di ciò che è destinato a scomparire.
A questo riguardo, la scoperta della fotografia e del suo prolungamento, ovvero il cinema, contribuiscono a ravvivare l’illusione di sconfiggere la morte grazie ad una riproduzione meccanica oggettiva che, pur raffigurando il soggetto come altro da sè, offre una registrazione integrale e prossima della realtà fenomenica.
Solo che Bazin non cade nella illusione del naturalismo ottocentesco, immagine fotografica-uguale-riproduzione del reale.
Bazin analizza lo specifico del linguaggio fotografico, come linguaggio autonomo non legato alla letteratura ma non per questo inferiore.
Ricordiamo che negli Stati Uniti il cinema era considerato un qualcosa di prevalentemente tecnico, i primi grandi registi si trovarono di ”fatto” a lavorare in una grande industria e si consideravano degli artigiani.
L’utilizzo del “Piano Sequenza” come elemento formale del realismo della N.V..
All’interno del nucleo di indagine di Bazin vanno ricercati i veri e propri capisaldi della teoria cinematografica come “l’elogio del Piano Sequenza“, in cui il tempo della narrazione coincide con quello della realtà; emblematica scelta estetica che asseconda al meglio la vocazione della ”Nouvelle Vague” a perseguire una vera e propria ”comunione” con la realtà stessa attraverso appunto il ”Piano Sequenza”, come nucleo di un nuovo realismo.
Orson Welles, con questa tecnica, aveva ridimensionato il campo controcampo. Ad esempio, in una conversazione in una stanza, Welles inquadra tutti senza stacchi, con la profondità di campo, attraverso un obiettivo grandangolare che ingrandisce le persone. Appiattendo i tetti, ad esempio, riproduce, in questo modo, la scena teatrale, ma questa tecnica risulterà eccellente anche per girare gli esterni.
Il realismo a cui fa riferimento la N.V. è quello cinematografico basato su di una scrittura cinematografica incentrata sul ”Piano Sequenza” diversa dalla letteratura.
Fu proprio Bazin, nelle pagine dedicate a Welles, ad introdurre nel 1950 l’espressione “Piano Sequenza” – Plan – come dicono i francesi.
Oggi, questo è diventato un termine tecnico, che designa un’unità formale: una sequenza realizzata in una sola lunga inquadratura.
Ma quando il critico francese coniò e utilizzò l’espressione ”Piano Sequenza” o “pianosequenza“, alludeva a ben altri significati.
Il ”pianosequenza” privilegia “la ripresa in continuità di un’intera azione, di un’intera unità drammatica, senza interromperla con la segmentazione del montaggio“.
Esso è un procedimento “realista” che mima la molteplicità irriducibile della realtà e ne “restituisce, allo spettatore, la continuità percettiva”, permettendo, a quest’ultimo, di usufruire di tutta l’ambiguità e la molteplicità di significati dell’immagine … ad esempio viene utilizzato in una regia di taglio ”Documentaristico”.
Attenzione non vuol dire che il “montaggio sparisce“, esso sembra, semplificando, già tutto dentro la sequenza ripresa.
Si nota quando andiamo al cinema … non è nascosto, si vede come i soffitti di Welles.
Il Neorealismo italiano ebbe la consacrazione internazionale negli ambienti degli appassionati proprio in virtù della totale affinità elettiva filmica con il moviemento N.V..
E ciò non deve stupire essendo le due correnti contemporanee ed entrambi, magari per motivi diversi simili proprio nel linguaggio formale.
L’immagine conta prima di tutto non per ciò che essa aggiunge alla realtà ma per ciò che ne rivela. Uno dei concetti base di questa scuola.
Tutte le scelte linguistiche che accompagnano ossessivamente i film della ”Nouvelle Vague’‘ (l’alternanza degli obiettivi sugli stessi oggetti, i controluce con i barbagli in macchina, i raccordi appositamente sbagliati, i movimenti di macchina incerti e sobbalzanti, gli interminabili piani-sequenza, la profondità di campo, ecc.) si muovono dalla volontà di lasciar trasparire le tracce dell’autore, del suo lavoro di scrittura, della sua possibilità di esprimersi, ‘in forma di tecnica‘. (Nel tentativo di mostrare e non dimostrare qualcosa).
Altra caratteristica è la presenza nei film di ”citazioni”, di riferimenti presenti ad altri film, che possiamo trovare in una sequenza. Vezzo che che verrà ripreso anche dai registi del neorealismo italiano.
3. Il film Jules e Jim – un inno alla Nouvelle Vogue
In questo quadro dobbiamo inserire il film Jules e Jim di Françoise Truffaut che più di altri esprime gli intenti rivoluzionari della N.V..
Tanto fu attaccata la “morale” benpensante che il film generò aspre reazioni, e non solo in Francia, da parte di molte associazioni cattoliche, che videro, proprio nella struttura degli eventi e degli esistenti, un serio attacco ai valori borghesi della famiglia.
Ma non c’interessa la morale degli inizi degli anni ’60. C’interessa, piuttosto, mettere in luce come e perchè questo film esprima la N.V..
In primo luogo nella storia, nell’intreccio, negli eventi ed in tutti i punti di snodo della trama.
Asciutti, ma vero ribaltamento anche degli esistenti del cinema francese contemporaneo (se ovviamente si eccettuano i registi della N.V.).
“Mi hai detto ti amo, ti dissi aspetta, stavo per dirti eccomi, tu mi hai detto vattene“.
Chi ha visto il film sa lo stesso narra della storia dell’amicizia maschile di Jules e Jim, che finiscono per innamorarsi della stessa donna, Catherine, che a loro pare assomigliare ad una statua che li aveva affascinati, e con la quale entrambi, seppure in periodi diversi, conviveranno, l’uno da marito, l’altro d’amante.
Nella stessa casa. A ruoli alterni. Anche dopo essere stati nemici in guerra.
E’ solo nel tragico ed inaspettato epilogo finale che forse, e sottolineo come mio solito forse, Truffaut condanna questo amore, aldilà del bene e del male.
Evocativa, in tal senso, è la battuta finale dell’ultima sequenza del film, in cui Jules avrebbe voluto confondere le ceneri di Jim e di Catherine, o, meglio esaudire il desiderio di Cathreine di avere le sue ceneri sparse al vento da una collina, e nella quale è, viceversa, costretto a rinunciare all’azione, ed in cui la voce fuori campo commenta lapidaria e, quanto mai, ironica: “… ma questo non era permesso“.
Sia Jules che Jim sono completamente al di fuori dagli archetipi sia degli eventi che degli esistenti del cinema francese contemporaneo fino a quel momento espressi.
Entrambi disprezzano il denaro, vivono in maniera bohemienne. Non hanno ruoli sociali chiaramente definiti.
Attraverso il loro amore per Catherine – interpretata da una splendida Jeanne Moreau bravissima ed intensissima – che incoraggiò lo stesso ventitreenne regista Truffaut, durante le riprese – l’amicizia di Jules e Jim sfida tutte le regole sociali, i dettami borghesi e narra il dramma dell’amore.
Straordinaria la battuta di Jules all’ennesimo ritorno di Catherine: “… tu mi fai spesso pensare all’inizio di una tragedia cinese in cui l’imperatore dice al pubblico: avete difronte a voi il più infelice degli uomini giacché vedete ha conosciuto la prima moglie … la seconda moglie“.
Jules è l’unico che sposa Catherine, ma è forse quello che meno la comprende.
Non certo come Jim, molto più conoscitore dell’universo femminile. Anche in questa diversità di ruolo rispetto a Catherine, i due amici sfuggono allo stereotipo.
E’ evidente però che il vero personaggio su cui ruota proprio tutta l’opera è Catherine.
In questo esistente così debole, così forte, così egoista, così sensuale, così angelo e così demone è presente, a mio avviso, in nuce, tutta la complessa e rivoluzionaria visione della donna del cinema di Truffaut, e forse anche della sua personale visione dell’evento amore.
La rivoluzione di Jules e Jim si compie ad ogni fotogramma, anche nel linguaggio cinematografico.
Cito, oltre i celebri “fermo immagine” di Catherine, che hanno reso eterna Jeanne Moreau, la divisione dello schermo per separare le riprese, e l’utilizzo massivo della voce fuori campo, utilizzata da Truffaut per mantenere la massima fedeltà al romanzo di Henri Pierre Roché, soprattutto nelle descrizioni.
Ebbe a dire il regista.
“E’ stato nel 1955 che ho scoperto il romanzo di Henri Pierre Roché, ciò che attirò la mia attenzione fu il titolo: Jules e Jim. Fui subito sedotto dalla sonorità di quelle due J. Jules e Jim, che ci mostra due amici, e la loro comune compagna, amarsi per tutta la vita di un amore tenero, e, quasi senza contrasti, grazie ad una morale estetica e nuova ed incessantemente rimessa in discussione.”
François Truffaut raccontava l’incontro con il romanzo di Roché ne “Il piacere degli occhi”, un libro dedicato al suo cinema e a quello dei suoi padri ispiratori. Le riprese di Jules e Jim cominciarono nel 1961, ma il progetto di farne un film era già nella testa del regista ancor prima di girare, ed è importante ricordarlo, I 400 colpi (1959).
Henri Pierre Roché fu scrittore tardivo, il romanzo uscì essendo lui oramai settantaquattrenne, e questo, a mio avviso è uno dei presupposti dell’estetica nuova, caratterizzata dai contrasti attenuati, nella mente dello scrittore la storia è stata in parte addolicta dal tempo, ed è in questo clima, oserei dire quasi onirico, che gli eventi si svolgono.
Roché conobbe Truffaut e discussero a lungo del soggetto e della sceneggiatura, lui ci teneva alla fedeltà al romanzo, ed avrebbe dovuto riscrivere i dialoghi per la versione cinematografica, ma morì nell’aprile di quello stesso anno.
Va aggiunto che, nella lunga intervista a Truffaut, presente nei contenuti speciali del DVD, alla domanda se sia più bello il romanzo o il film, il regista sinceramente rapito dal dallo scritto di Roché, ammette: “il romanzo”.
François Truffaut iniziò le riprese di Jules e Jim due anni dopo e quando il film uscì nel 1962 fu etichettato come immorale.
“Abbiamo giocato con la sostanza della vita e abbiamo perso” arriverà a dire Jim, per sottolineare il senso di perdizione che confligge internamente l’etica del suo personaggio.
Altre conferme formali della ossessiva ricerca di elementi di ribaltamento sono:
– la sequenza della passeggiata nel bosco, dove invece che elementi della natura, i tre cercano tracce umane (pacchetti di sigarette, cicche, etc).
– il fatto che a guidare l’automobile sia sempre e solo Catherine.
– l’assoluta assenza delle famiglie dei protagonisti nell’intreccio narrativo.
– la “leggerezza” che pervade l’animo di Jules dopo la scena dell’incenerazione delle salme di Jim e Catherine.
Ed in ultimo “la nuova morale estetica” dettata dall’assenza di contrasti.
Straordinarie le interpretazioni dei due attori: il tedesco ed intensissimo Oscar Werne (Jules), e l’esordiente francese Henry Serre (Jim), scelto da Truffaut per la sua somiglianza allo scrittore Henri Pierre Roché, nei panni dei protagonisti.
Alcuni momenti (lo chalet immerso nella nebbia, la corsa, le riprese aeree) sono visivamente suggestivi, ma la più vera e palpitante emozione è quella suscitata da Jeanne Moreau, voce e volto letteralmente intramontabili ed immortali (vedi l’ultimo, inedito in Italia, “Cet Amour – Là“), nell’esecuzione della canzone “Le Tourbillon“.
Due minuti di assoluta “eternità filmica” che annullano tempo e spazio, insieme al rimpianto di una parziale disillusione.
Links
La politique des autres: qui.
Mia recensione al film: “Fino all’ultimo respiro – A bout de souffle” – di Jean Luc Godard: qui.
[…] Molti approfondimenti su Goffredo Parise e delle strane relazioni che lo hanno legato a Françoise Truffaut (il cui spirito aleggia in me) e, quindi, a Fanny Ardant, che aveva acquisito i diritti del suo romanzo non sapendo che Parise aveva, ad esempio, curato l’edizione italiana dei dialoghi del film “Jules et Jim“. Il mio post su quel film e qui. […]
[…] Linko qui un mio storico post su “Jules e Jim e sul movimento dellaNouvelle Vague“. […]
L’adoro :)
@Ottavia … ehm … direi che però Catherine non era né una persona felice … né fa poi una bella fine, non ti pare? … ;) Rob.
Ah come avrei voluto essere Catherine!!!!!
/
Grazie
Caspita, complimenti. Non sono una grande stimatrice nella N.V., m atanto di cappello al tuo post! Cosa posso aggiungere, dopo un post del genere? Ovviamente mi sono piaciuti molto i tuoi collegamenti con Welles, e non sapevo nulla delle origini semantiche del “pianosequenza”…
Ricordare Trffaut il 21 ottobre è una idea eccellente, che già evevo in mente. Posso dire solo questo.
Rispondo @NICOLA MORONI.
Io di Truffaut amo la prospettiva.
L’idea che certe volte a qualcuno che l’ha conosciuto viene ancora voglia di chiederesi chissà Fraçoise cosa ne penserebbe?
Già chissà.
Poi i film…è un fatto personale alla fine, potrei parlare di “effetto notte”.
di “La calda amante”.
Del fattro che alcuni cinebloggers gli hanno dedicato il titlo del blog.
Insomma Truffaut è nel cinema, e non solo in quello della NV, una presenza incombente.
Ma credo che ognuno, sul suo blog deve mantenere la sua unicità.
Credo nel confornto, nella cooperazione.
Non nei proclami.
Non nelle forzature.
Siamo tanti, siamo diversi.
Non imponiamoci niente.
Parliamo, confornatiamoci di più, questo si, ma manteniamo, per carità, le nostre appartenenze, i nostri gusti, le nostre diversità.
Solo così saremo un insieme d’individui unici e non una massa.
E’ il senso stesso dei link.
E della cultra di internet essere unici e molteplici.
I cinebloggers sono un fatto corale.
Ed ognuno deve essere libero di scegliersi la partitura.
Poi se esce un armonia bene, se non esce, forse….meglio.
E, buonanotte ai suonatori…è proprio il caso di dirlo…
Per @Paco: certo che mi chiamo Roberto. E’ scritto sul mio blog :-))))
se vuoi puoi diffondere la buona novella.
giovedì 21 ottobre 2004,a 20 anni esatti dalla sua morte sarebbe bello organizzare un ricordo (odio il termine celebrazione)su truffaut dal titolo banale ma veritiero (per me)je t’aime francois o qualcosa di simile.Un post per ogni blog con un ricordo personale di truffaut:cosa vi hanno lasciato i suoi film?
ho letto anch’io quel libro (preso a prestito in una cineteca a perugia)!!! Io li ho visti tutti (mi manca il corto la visite,che se non ricordo male,letture passate,girò a casa di rohmer)ma se proprio devo scegliere un film scelgo la camera verde.Uno dei film “nordici” di francois che si mette in gioco (anche sullo schermo)con una partecipazione emotiva che è tangibile.Io ho avuto questa impressione vedendolo molti anni fa (relativamente molti dato che ne ho 28).Ne ho scritto su un altro blog recentemente ma quello che mi affascina di più del suo cinema e truffaut stesso.Ho letto tantissimo su di lui e le sue lettere (ne ricordo alcune poco prima di morire per il tumore al cervello)dimostrano la sua autentica natura.Un uomo giustamente esigente sul set ma che riusciva a creare con le persone che aveva attorno una bella atmosfera.Forse è il regista che “amo” di più da un punto di vista extra-cinematografico (anche se non l’ho mai conosciuto di persona).
mi piace molto truffaut! @
Ma non ti chiami Roberto? O__O
:-)
Forse perché sono le sue prime, come anche “i 400 colpi“ che fu il suo primo lungometraggio. Ho anche un libro che s’intitola il romanzo Truffaut, dove c’è un articolo scritto da ogni persona che aveva lavorato con lui. E comunque io ne ho visti tanti di film di Truffaut, eppure credo che in Jules et Jim lui comprese molto di quelli che sarebbero stati i temi da sviluppare nel suo cinema. Però hai ragione su questo.
scherzo!!! (ma perchè di truffaut si ricordano solo certe cose? Ne ha realizzati di film…)
absinthfreespirit no problem
A Nicola, che continuo a ringraziare, è che dopo l’operazione gli errori di battitura aumentano.
Intendevo dire, ma tu lo sai meglio di me prolifico ha girato molti meno film.
Grazie a Paco, che sapevo benissimo che non eri quel Paco. Quel Paco lì sa come mi chiamo…;-)
Grazie del link a Short Cut un progetto appena partito.
l’articolo di ieri non era mio, quello di oggi sì.
ps domani passo dove mi hai detto, stasera son di fretta ;)
prolifico o profiquo?
Ciao Roberto,
mi dispiace per te e per me (eheh), ma non sono quel Paco. Ho iniziato da poco gli studi cinefili! ;-)
Ho scritto qualcosa su Lavorare con lentezza.
Ho visto anche Short Cut che metterò immediatamente nei preferiti.
Ciao
Grazie a @Paco, tra l’altro quando feci il corso di sceneggiatura Paco era il nome di un brillante studente di Foggia che poi partecipò al Premio Solinas e che andò a lavorare in Rai, non è che sei tu vero?
Alla cortese @Placida Signora, che ringrazio per la risposta sul mio blog, rispondo che proverò. E’ davvero molto bella comunque.
Un saluto ed un ringraziamento a tutti.
OT. Scusami, ho visto solo ora il tuo commento e la relativa domanda. Non so come si faccia a metterla l’immagine della terra…me l’hanno messa (io capisco niente di informatica ;-).
Prova a tornare da me, cliccare sull’immagine e copiare le proprietà. Magari ci sono istruzioni.
Mi spiace non esserti stata d’aiuto.
:-*
Chiamami pure Paco. ;-)
Hai ragione, gli eventi sono proprio rivoluzionari e forse è ancor più rivoluzionario osservarli. :-))
Ciao
Evidentemtne aver ridotto il numero dei post in HP è stata una buona idea ;-))
a me il mio blog si carica bene, la colonna di destra più lentamente ma tanto quella non serve
anche il tuo stasera è più veloce, geniaccio
Grazieeee @Nicola un regalo prezioso !!
Certo! Assolutamente corretto, Jaques Rozier fu contemporaneo dei registi della N.V., ma assai meno prolifico.
ahhh….Jeanne!…(se non ricordo male anche Rozier,all’inizio,fu considerato uno dei “padri” della n.v…uno dei tanti caduti nel dimenticatoio da parte del grande pubblico)
Grazie a tuttiigusti ;-))
splendido film e ottima analisi
sabrina
grazie grazie;-))
bravo bravo.
E’ frutto di letture estive + che altro.
Grazie.
Rob
Cazzo questa è una lezione di storia del cinema in piena regola! E gratis!
Mi stampo tutto e mi leggo il post con calma sul divano.
Il militante
Ad @absin rispondo che non si può parlare di cinema senza immagini, comunque sto pensando ad un nuovo templete del blog, ma per ora è top secret :-))
E’ che questo blog mi è sfuggito di mano.
E’ cresciuto con me.
Ed adesso è come quesi figli che ti volti e dici “C. ma non eri piccolino ieri?, Grazie a tutti accetto sempre consigli da tutti vederete che poi qualcosa prima o poi succederà ;-))
Sono contento che Rat sia qui caustico ed appassionato come solo lui sa fare.
Allora io faccio questo sforzo leggendo libri (di Bazin ne ho letti 2), adesso ho attaccato Gilles Deleuze che ne fu il filosofo seguace, proprio per riscoprire il cinema ed evitare, almeno io, di sentirmi colpevole. Io il cinema lo seguo da sempre ed è per questo che voglio parlare anche di cinema e non solo di film. Tienici informati dei tuoi spostameni.
ED ANCORA IN BOCCA AL LUPO :-))
:) non ho mai visto questo film anche se ne ho sentito parlare in modo abbastanza buono.
ps oggi sono io che muovo una critica al tuo blog: per chi ha una connessione lenta, come me, è lento a caricarsi ;) troppe immagini in ogni post (d’altronde ce ne sono abbastanza pure nel mio ;P)
rob, con questo post ci hai stesi tutti…
non è facile parlare di un film inflazionato (nell’immaginario comune) come “jules et jim” e riuscire a dire qualcosa di nuovo.
mi hai fatto venire nostalgia di quei tempi, delle seconde visioni nelle sale d’essai, dei nomi di registi semisconosciuti mormorati a mezza voce in un’era in cui internet non esisteva e le notizie erano sparse e frammentarie, specialmente in una piccola città di provincia.
mi hai fatto venire nostalgia di quando non sapevo un cazzo di cinema, eppure lo amavo come adesso, più forte di adesso.
ma non cadrò nel tranello dei sentimenti, non rivedrò “jules et jim” e non mi farò il solito pianto liberatore.
quei tempi sono passati, sono passate le ragazze in bicicletta e i dolci 17. se il mondo, e il cinema, adesso sono un po’ peggiori, è anche colpa mia, e di chi c’era.
guardando indietro con rabbia.
A @Rukert dico che ho visto il suo neo nato blog.
Gli faccio i miei aguri più sinceri.
Ha mille idee, e scrive in maniera assai più sintetica della mia.
Grazie per l’apprezzamnto del blog :-))
Rob.
Una risposta a @mipassaperlatesta
Sono d’accordo uno dei fascini della N.V è la semplicità degli esistenti, ma quasi mai degli eventi, attenzione. Gli eventi sono sempre rivoluzionari. Mentre sulla scelta dell’oggetto e del linguaggio siamo d’accorodo :-))
beh adesso vado a rivedermi il film … bel blog ciao
Grazie Roberto per questo tuo post.
Il Cinema è uno dei linguaggi più vicini alla realtà, non riesco ad immaginarmene altri. Nella N.V. il regista è un osservatore come noi, è in sala nella poltrona dietro la nostra. Cosa ci divide da lui? La scelta dell’oggetto del linguaggio e dell’osservazione.
Anch’io ho in dvd Jules e Jim e questo tuo post mi ha fatto venir voglia di ri-vedermelo. ;-)
Ciao
Ognuno vede ciò che vuole per fortuna, però credo che Jules et Jim sia un capolavoro in sé, anche aldilà dei dettami estetici e formali della Nouvelle Vouge. Grazie Seia.
Ho provato un fastidio fisico nel leggere il libro di Henri-Pierre Roche’, e quindi non ho intenzione di vedere il film, del resto a me la Nv non piace proprio, ho faticato anche per Tirate sul pianista di Truffaut e l’esperienza mi è bastata, ma il tuo post è davvero interessante e ben scritto, se non avessi già visto un paio di questi film (odiandoli) mi avresti convinta a procurarmeli. :-)