Analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
Ritratto di famiglia Hoepli in interni ed esterni: il fascino indiscreto della borghesia
Ma Amore non ti lascerò desiderare nulla
perché tutto,
tutto quello che ti potrò dare,
non te lo darò nemmeno:
sarà tuo subito.
– Liseli Hoepli –
Genere: documentario
Durata: 55′
Sceneggiatura: Alina Marazzi
Regia: Alina Marazzi
Montaggio: Ilaria Fraioli
Immagini d’archivio: Ulrico Hoepli (1926 – 1972)
Montaggio del suono: Benni Atria
Suono: Remo Ugolinelli e Alessandro Feletti
Una produzione: Venerdì e Bartlebyfilm in coproduzione con RTSI Televisione Svizzera con la partecipazione di TELE+
Prodotto da: Alina Marazzi, Giuseppe Pedote, Giuseppe Piccioni, Francesco Virga
Colore: Colore e Bianco Nero
Formato: Beta Digitale da originali in 16 mm e 8 mm
Sito Ufficiale: www.unorasola.it
La pellicola ha vinto numerosissime menzioni speciali e premi tra i quali è doveroso citare:
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la menzione speciale della giuria al 55th International Film Festival di Locarno nella sezione video nel 2002
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il premio per il migliore documentario italiano nel 2002 al 20° Torino Film Festival
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la menzione speciale della giuria spagnola all’ 8° Festival International de Documentàrios “Tudo Verdade 2003”
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il premio USA CALIBORNE PELL AWARD al 6th Annual Newport International Film Festival Awards
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il premio greco “Silver Stone” al 6th Kalamata International Documentary Film Festival
Sinossi: Mia madre è nata nel 1938 ed è morta nel 1972, quando io avevo 7 anni. Non ho molti ricordi di lei, ma ho sempre saputo che in un armadio in casa dei miei nonni sono conservate delle scatole di vecchie pellicole, filmati girati dal padre di mia madre tra il 1926 e gli anni ?80, con una cinepresa amatoriale 16 mm. E’ solo qualche anno fa che ho avuto il coraggio di cominciare a guardare questi filmati, con grande curiosità ed emozione. Come per una magia, in un attimo, quella misteriosa e sconosciuta persona proiettata sullo schermo davanti a me era come se fosse viva.
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1. Introduzione
E’ il penultimo giorno di questo agosto da dimenticare, per il clima inclemente, per gli aerei cadenti, per gli uragani furenti, in cui, peraltro, ho avuto modo di conoscere e vedere molti posti nuovi, in cui ho passeggiato a lungo facendo escursioni, girando a piedi, in auto, ma tra le cose più belle che rimarranno impresse nei miei occhi non ci sono solo i paesaggi verdi (e grigi sigh …) delle montagne della Val di Fassa, i ghiacci della Marmolada, la maestosità del complesso del Sella che qualcuno ha paragonato a Dio, c’è anche una straordinaria pellicola, rara come lo sono le stelle alpine, delicata come lo sono le storie raccontate con il cuore.
Questa pellicola è il lungometraggio di Alina Marazzi: “Un’ora sola ti vorrei”.
Ma che cosa ha di particolare questa pellicola affinchè ne parli con tanta ammirazione?
2. Analisi dell’ideazione e del linguaggio audiovisivo del film
Immaginate di perdere vostra madre all’età di 7 anni.
Immaginate di appartenere ad una delle più importanti famiglie borghesi di Milano e che vostro nonno sia il fondatore di una Casa Editrice (la Hoepli).
Immaginate che a casa vostra, in un armadio, siano custoditi, da vostro nonno, materiali filmati amatoriali in 16 mm e 8 mm, che ritraggono vostra madre per tutto l’arco della sua vita: dal 1926 al 1972, quando questa decide, dopo molte crisi depressive, di morire suicida, lanciandosi da una finestra.
Immaginate che voi diventiate filmaker di documentari a sfondo sociale, ed aiuto regista di Giuseppe Piccioni.
Bene, tutte queste cose sono solo alcuni dei presupposti di questa straordinaria pellicola che è lo strumento attraverso il quale Alina Marazzi figlia di Liseli Marazzi figlia, a sua volta, di Ulrico Hoepli narra e si ricongiunge con la figura di sua madre, prestandogli la sua voce per 55 minuti.
Il termine che riterrei più appropriato per descrivere il senso dell’opera è ricostruzione, che è peraltro sicuramente il nucleo del cinema documentaristico, di cui Alina è regista.
Una ricostruzione che parte dagli oggetti (i filmini, i diari, le ricette, le registrazioni foniche) e che arriva fino al profondo dell’anima di Alina e dello spettatore.
Metafora anche di ciò che è avvenuto, probabilmente, attraverso la scrittura ed il montaggio del film, anche dentro il cuore della regista.
Il Film è, pertanto, molto particolare, dal punto di vista della sua struttura, che definisce una sorta d’innovativo linguaggio audiovisivo, che è tutto agito nella prospettiva di amplificare la percezione del “ricordo” che le immagini, girate tutte dal nonno di Alina, in contesti esclusivamente familiari, trasferiscono, come un imprinting psichico subliminale, allo spettatore.
Alina è come se avesse conosciuto veramente sua madre solo attraverso questa straordinaria e coraggiosa opera di ricomposizione del puzzle costituito dai materiali a sua disposizione.
Come se le pellicole del nonno avessero svolto la funzione di un enorme specchio del tempo, nel quale Alina – prima mediante la visione del materiale, nei suoi diversi formati originali (privi di sonoro), e poi attraverso la complessa opera di sceneggiatura e montaggio delle clip selezionate – avesse compiuto un lunghissimo e delicatissimo percorso nella memoria di sua madre.
Il film trasla pertanto lo spettatore all’interno di una dolorosa partecipazione al dramma della famiglia Hoepli, e traccia una rigorosa testimonianza di tutta la breve ma sofferta vicenda esistenziale di sua madre, che Alina ha ricostruito, anche, attraverso l’altrettanto dolorosa lettura dei suoi diari, anch’essi custoditi dal nonno.
Dal punto di vista filmico il documentario viaggia attraverso la costruzione di due tracce:
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una completamente visiva affidata alle immagini in bianco nero ed a colori del girato familiare;
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una seconda sonora affidata e tre componenti:
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la voce narrante fuori campo di Alina alias Liseli che risolve e costruisce il tema della narrazione;
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alcune frasi bisbigliate sul labiale dei personaggi (come nell’annuncio di Liseli “aspettiamo un bambino” – che altri non sarebbe che Alina) e non;
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la colonna sonora.
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Va ulteriormente chiarito, al riguardo, che sebbene le immagini ci appaiono montate quasi come un storia, senza la traccia sonora le stesse non ci direbbero assolutamente nulla. Non vorrei citare Bazin, ma sono certo che attribuirebbe al montaggio ed al sonoro (in tutte e tre le sue componenti) i meriti più alti dell’opera.
Questo in quanto al linguaggio audiovisivo (non potrebbe adattarsi meglio alcuna altra definizione).
3. Breve analisi di eventi esistenti e linguaggio audiovisivo
Per quanto attiene l’analisi di eventi ed esistenti vanno chiarite alcune cose.
Il film traccia uno spaccato di una Milano borghese nell’arco dei 33 anni di vita di Liseli.
Questa Milano non ne esce molto bene, come peraltro la stessa madre, sempre in grossa difficoltà nell’adattarsi ai rigidi schemi della vita familiare ed ai valori borghesi, ai quali sembrerebbe essere refrattaria, ed ai sistemi di cura della sindrome depressiva in quegli anni in Italia ed in Svizzera, dove la madre venne a lungo ricoverata.
Non è un caso se il film inizia proprio con la registrazione fonica di Liseli, di ritorno dalla Svizzera appunto, mentre canta la canzone che poi da il titolo al documentario.
Altra protagonista fuori scena è sicuramente la psicoanalisi.
Il film è tutto come una sorta di enorme seduta di psicoanalisi in cui Liseli si racconta alla figlia, senza censurare sensi di colpa propri, precise accuse verso gli altri componenti della famiglia, il difficile e conflittuale rapporto con il padre.
Tutti elementi caratterizzanti il linguaggio della psicoanalisi e che, per certi versi, mi hanno portato alla mente alcune sequenze di Zelig di Woody Allen.
Chissà forse sia per la totale incapacità di alcuni medici, che per gli incredibili pregiudizi che, sicuramente ancora oggi, circondano questa malattia.
In questo senso emerge l’inclinazione sociale del cinema documentaristico di Alina.
Molto belle sono le immagini più risalenti, girate anche abbastanza bene, che raffigurano il mondo più spensierato dei bisnonni, l’amore della nonna per il nonno, il più travagliato amore di Liseli verso il marito ed i figli.
Per quanto attiene agli eventi gli stessi sono narrati seguendo grosso modo l’asse temporale della vita della madre, con qualche innesto in flashback, ma dato il forte legame che la famiglia Hoepli ha con la città di Milano, molto particolari ed intense, soprattutto per chi vi è nato immagino, risultano essere le sequenze che ritraggono Liseli nella sua città.
Come quella di un comizio del PCI, in cui s’intravedono Cossutta e Longo, credo siamo negli anni ’60.
Va inoltre evidenziata la progressione che la storia ha nella narrazione della malattia di Liseli, fino a farci partecipi di ricette, prescrizioni di farmaci, etc., in un alternarsi di specialisti e luoghi di cura che è decisamente inquietante.
Ma aldilà di quelle che possono essere le analisi sociali e familiari, i torti, le ragioni, le scelte formali come il fermo immagine, il film arriva, e con una potenza assoluta, per l’amore con il quale il tutto è stato realizzato.
Un amore che è:
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dentro le parole di Alina alias sua madre
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nelle immagini, girate sicuramente nei momenti più spensierati dei viaggi e delle vacanze;
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nell’accuratezza della costruzione del montaggio, della traccia dei rumori e dei brani che alternano melodie volte a rievocare atmosfere dei tempi della narrazione, con altre più care alla regista
Che altro dire se non che il film è un commovente e struggente e lungo e delicato ricordo che dura 55 minuti indimenticabili, che ci rende quasi, con molta discrezione, un esponente della famiglia Hoepli.
Da non perdere.
4. La curiosità
Nella sala del cinema Apollo di Milano, nella quale ho visto il film, c’era una mamma indignata, a fine proiezione, del fatto che la pellicola avrebbe messo in piazza fatti privati e dolorosi della famiglia Hoepli.
La signora non sapeva, probabilmente, che praticamente tutta la famiglia Hoepli ha visto la pellicola, apprezzandola nei contenuti per la rigorosa obiettività della ricostruzione di Liseli, compreso il nonno Ulrico che si è molto commosso.
5. Comunicazioni di servizio
Nonostante i tanti premi, ed il valore indiscutibile dell’opera, è difficile trovare il film nelle sale.
Questo ci dovrebbe fare riflettere, ancora una volta, sul tema, a me caro, della distribuzione in Italia.
Nel sito ufficiale sono pubblicate sia le programmazioni, che un link ad un form per ricevere in e-mail informazioni aggiornate.
In questi giorni è in programmazione al Cinema Apollo di Milano, dove ho avuto la fortuna di assistere ad una sua proiezione.
6. Forse non tutti sanno che
La canzone “Un’ora sola ti vorrei” è del 1938 (Liseli aveva 12 anni) ed è opera di Umberto Bertini, che per ben quattro decenni, è stato uno dei più importanti autori della musica leggera italiana. Se non ci credete cliccate qui.
Durando il film 55 minuti, ed evocando una persona morta, aggiunge significato semanticamente differente al brano.
7. Dati tecnici sull’opera
Come è nato il film: è il frutto di una ricerca personalissima della regista decisa ad un certo punto della propria vita ad esplorare l’immagine della madre deceduta a 33 anni (quando la regista ne aveva solo 7) attraverso il materiale video della famiglia, diari, lettere, foto. Questa ricerca non prevedeva inizialmente la realizzazione del film ma, all’esigenza di guardare tutto il materiale si è presto aggiunta l’urgenza di ricostruirlo, ridargli una cronologia, un senso attraverso la realizzazione di un film documentario.
La realizzazione. Un lavoro di montaggio con importanti collaboratori: l’enorme lavoro di visione del materiale d’archivio di famiglia su cui è basato l’intero film naturalmente sfocia in un complesso e articolato lavoro di montaggio. Indispensabile la presenza della montatrice Ilaria Fraioli che affianca la regista in questa delicata ricostruzione di vita. La traccia audio che percorre l’intero film è la voce narrante della stessa regista che (ri)dona la sua voce al personaggio della madre. Non meno importante sempre in questa fase è l’apporto del montatore del suono Benni Atria che realizza una serie di evocazioni uditive che arricchiscono con grande efficacia le immagini per lo più mute degli archivi.
Ilaria Fraioli: ha conseguito il diploma di montatrice al C.S.C. nel ’91; si è interessata del montaggio collaborando alla realizzazione di film di fiction, numerosi documentari, cortometraggi, videoclip, prodotti televisivi e multimediali; dal 2001 è iscritta alla Associazione Montatori Cinematografici. Tra i film montati ricordiamo Lo scippo di M. De Pascale, Le strade di Genova e La rabbia di D. Ferrario, Sole di M. Barbanente, Stracult2 di M. Giusti e C. Freccero, I love Italy di A. Bocola e P. Vari, Città: less aesthetics more ethics (8’ per 39 maxischermi sincronizzati) di M. Fuksas e Studio Azzurro.
Benni Atria: è montatore del suono dal 1988. Già collaboratore di G. Amelio (Il ladro di bambini, Lamerica, Così ridevano), B. Bertolucci (Io ballo da sola), R. Benigni (La vita è bella), e, più di recente, di G. Tornatore (Malena) e N. Moretti (La stanza del figlio), ha curato il sound designing di Il partigiano Johnny di G. Chiesa, Tornando a casa di V. Marra, Santa Maradona di M. Ponti. Interessato alla teoria oltre che alla pratica della sonorizzazione, dal 1999 è stato chiamato ad insegnare all’Accademia Internazionale dell’Immagine de L’Aquila.
La produzione: il lavoro di produzione è difficilmente quantificabile in termini di tempo perché frutto di un lungo processo di avvicinamento della regista all’idea del film. La regista vede per la prima volta le immagini di sua madre nel 1996, sei anni prima dell’uscita del film aprendo l’armadio dove sono conservate le bobine girate dal nonno. Dalla prima versione di montato alla forma definitiva passa invece un anno e mezzo. C’è infatti una lunga fase di confronto con sguardi esterni per riuscire a capire quali emozioni il film possa suscitare al di là della visione personale e privata della regista. In questo processo molto importante l’appoggio dei produttori Gianfilippo Pedote, Giuseppe Piccioni (per la Bartleby film) e Francesco Virga (per la Venerdì Srl). Il film viene inoltro prodotto da TSI (Televisione Svizzera Italiana) con la partecipazione di Tele+.
Il materiale d’archivio: circa 60 bobine di pellicola 16 e 8 mm girati per lo più dal nonno, l’editore Ulrico Hoepli dal 1929 agli anni ’70. Nonostante si possa configurare come amatoriale il materiale di repertorio è di eccezione sia per quantità che per qualità (si rivela una vera e propria ricerca di regia). La storia non solo di una famiglia ma anche di una classe sociale: le immagini permettono infatti un percorso ravvicinato con lo spirito alto borghese che ha caratterizzato gran parte del novecento nel nostro paese.
La regista: realizza documentari televisivi a carattere sociale; lavora come aiuto regista per il cinema, principalmente con Giuseppe Piccioni (Fuori dal mondo, Luce dei miei occhi). Ha collaborato con lo Studio Azzurro sia su progetti cinematografici che installazioni. Tra le altre attività ha tenuto laboratori audiovisivi all’interno del carcere di San Vittore a Milano e per due anni ha lavorato all’interno del progetto Fabrica sotto la direzione artistica di Godfrey Reggio. Attualmente dopo aver terminato il lavoro “Per sempre” dedicato alle suore di clausura, Alina Marazzi è impegnata nella realizzazione di un documentario sulla rivoluzione sessuale negli anni ’60/’70.
Filmografia di Alina Marazzi: L’America me l’immaginavo, storie di emigrazione dall’isola siciliana di Marettimo (1991); Il declino di Milano, un ritratto della “capitale morale” alla vigilia di Tangentopoli (1992); Mediterraneo, il mare industrializzato, sulla relazione tra inquinamento ambientale e mondo del lavoro (1993); Ragazzi dentro, il mondo visto dai ragazzi reclusi nelle carceri minorili italiane (1997); Il sogno tradito, i bambini di strada raccontano la Romania a dieci anni dalla caduta di Ceausescu (1999), Un’ora sola ti vorrei (2002), “Per sempre” (2005)
Extra del dvd: il dvd è arricchito da due interviste ad Alina Marazzi che bene mostrano il processo creativo di questo film nel suo lato più emotivo e vero. Prima e dopo il film la regista si mette davanti alla telecamera. Molto toccante la confessione della regista davanti alla camera prima della realizzazione del film. Inoltre nel dvd si trova un’importante raccolta del materiale d’archivio non utilizzato nel film.
8. Un’ora sola ti vorrei – Intervista alla regista Alina Marazzi
di Barbara Sorrentini
Qual’è stato il percorso del lavoro?
Questo lavoro è nato un po’ per caso, nel senso che non avevo ben chiaro in mente di voler fare un film sulla storia della mia famiglia, o sulla storia di mia madre. Ma è successo che 4 o 5 anni fa mi sono resa conto che c’erano molti filmati girati da mio nonno materno e così ho cominciato a guardare queste vecchie pellicole, quasi tutte in 16mm tranne alcune in 8mm. Ho scoperto un piccolo tesoro cinematografico. Queste pellicole erano conservate nelle scatole, in un armadio a casa dei miei nonni e mi sono messa a curiosare. Ho cominciato a proiettare quello che trovavo con un vecchissimo proiettore e ho scoperto che erano immagini bellissime, ovviamente io ero alla ricerca di immagini della mia infanzia e dell’infanzia di mia madre per far rivivere alcuni ricordi che erano sepolti da molto tempo. E’ stato come se fosse letteralmente l’armadio dei ricordi, queste immagini in movimento mettevano in atto delle suggestioni e delle emozioni fortissime. Man mano che li proiettavo li riversavo amatorialmente su video e me li sono guardati parecchie volte. Fino a quando giorno ho chiesto ad una mia amica montatrice, Ilaria Fraioli, se voleva aiutarmi a fare un po’ di ordine tra queste immagini e ci siamo messe a lavorare. Abbiamo montato le immagini, che erano tutte mute, e abbiamo capito che avevano un potenziale emotivo e visivo e che potevamo continuare a cercare altro materiale e arricchirlo per fare un piccolo film che rimanesse nell’ambito personale, ma che poteva anche raccontare cose ad altri.
Ad accompagnare le immagini c’è una colonna audio fatta di voci, di tue letture di diari e documenti clinici. Anche lì c’è un lavoro di costruzione molto interessante, unito anche ad una parte musicale. Le scelte del commento sonoro si riferiscono a quel periodo di ricordi?
No, la costruzione del commento sonoro è venuta in un secondo tempo. Quando avevamo già fatto una selezione di immagini e a dargli un ritmo, ho cominciato a pensare a come potevo raccontare quella storia e mentre diventava sempre più chiaro che dovevo mettere in prima persona la vicenda di mia madre sono andata a rileggere i diari e le lettere che erano state conservate per 30 anni. Mia madre è morta nel ’72 e io ho cominciato a fare questo lavoro un anno e mezzo fa e alcuni diari li avevo già letti precedentemente. Così mi sono messa a rileggere tutto e a copiare tutto per capire come utilizzare i brani con lo scopo di far parlare in prima persona la voce di mia madre. Alla fine è stato così, perché nel film è come se parlasse sempre lei, c’è la mia voce che legge lettere e diari da quando lei aveva 12 anni fino a quando ne ha 33. Mentre lavoravamo alla selezione dei brani che arrivavano in sala di montaggio, man mano che alcune sequenze di immagini suggerivano l’accostamento con le parole, o viceversa, sentivamo l’esigenza di arricchire la colonna sonora con un tappeto di suoni e di musiche. Che poi ho aggiunto lavorando con un montatore del suono, che ha operato a più strati. Alcuni dei brani musicali che ho scelto hanno un valore affettivo per me, altri invece rimandano alle atmosfere del tempo. In più ci sono una serie di rumori, di suoni e di voci bisbigliate che abbiamo aggiunto come se si aprisse un baule da cui escono parole, pezzi di carta, fotografie, filmati, suoni, voci di bambini. Ci sono delle registrazioni che ho trovato, sempre a casa dei miei nonni, su un vecchio nastrino in cui c’era mia nonna che suonava il piano con delle voci che parlano sopra, oppure delle telefonate che avevano registrato. Tutto questo mi sembrava che c’entrasse con il modo in cui mettevamo insieme questo materiale della memoria.
Da quando “Un’ora sola ti vorrei” ha cominciato a girare hai ricevuto premi o menzioni speciali, ovunque il film sia passato. Volevo sapere se ti aspettavi tutto questo, ma anche per i tuoi parenti che cosa ha significato questo lavoro e qual è stata la loro reazione al successo riscontrato?
Il successo e l’apprezzamento pubblico è stato abbastanza una sorpresa per me e la prima proiezione è stata a Locarno 2002. Mi ha fatto molta impressione vedere il film su grande schermo e sentire che il pubblico era completamente toccato da questa storia. Ogni volta che c’è una proiezione pubblica le reazioni sono sempre le stesse. Ho ricevuto moltissimi commenti dal pubblico, il film è anche passato su Tele+ e molti spettatori mi hanno scritto, cercando su internet il sito del film e hanno scritto cose molto personali. Credo che questo sia molto bello perché è una storia piccola e private e forse proprio per questo arriva a toccare delle corde universali.
Per quanto riguarda le reazioni della famiglia c’è da dire che questo lavoro l’ho portato avanti quasi completamente da sola, e forse era l’unico modo in cui avrei potuto portarlo a termine, perché era una mia esigenza e dovevo permettermi anche di sbagliare o di mettere in evidenza delle cose che interessavano più a me. Ormai quasi tutta la mia famiglia lo ha visto e la loro reazione è stata di grandissima emozione e credo che ora prevalga la sensazione di aver riacquistato la presenza di una persona, più che il disagio di dover rivivere dei ricordi dolorosi. Mio nonno stesso che ha 96 anni, l’autore della fotografia e delle immagini, ha voluto vedere il film ed è come se avesse rivisto passare tutta la sua vita, è stato un momento parecchio emozionante per tutti e due.
9. Vi consiglio per approfondire
“L’idea documentaria. A cura di Marco Bertozzi”, edito da Lindau. Il libro contiene un interessante scambio di lettere tra la regista Alina Marazzi e la montatrice Ilaria Fraioli, un testo che illustra molto bene i processi, spesso emotivi, che hanno permesso la realizzazione del film. Lo trovi in vendita sul sito di Docvideo nella sezione del catalogo dedicata ai libri.
Mi hanno fatto vedere il film all’università quando ho studiato il genere del documentario con immagini amatoriali. Devo dire che mi ha molto colpito e commosso, non lo nego. La frase “Amore non ti lascerò desiderare nulla, perchè tutto, tutto quello che ti potrò dare, non te lo darò nemmeno: sarà tuo subito.” è molto struggente ed è senza dubbio il succo della pellicola. Bellissimo.
Straordinaria e splendida recensione… hai proprio ragione… una volta conosciuto Un’ora sola ti vorrei e la sua autrice non riesci più a farne a meno… te ne innamori in maniera viscerale. Oggi questa energia la utilizzo per trovare stimoli culturali… visto che guarda caso venivo da un periodo buio…
Grazie per quello che scrivi e naturalmente bellissimo anche il post su Vogliamo anche le Rose.
beh grazie ;-)
blog end verrò a leggerti ;-)
l’ho visto tempo fa. e ti assicuro mai più dimenticato. bella recensione roberto. gran bel leggere da queste parti :)
già … speriamo che prima o poi …
Rob.
questo è un film semplicemente bellissimo, io l’ho visto su raitre, tanto tempo fa. un peccato non trovarlo in dvd.
m.
buondì a te ;-)
Buondì :)
fffatto …
chiedo scusa volevo solo ablitare un link …
Rob.
:P riscrivi il commento da me senza tag? Mi hai scombinato tutto?
Così va molto meglio dido ;-)
perciò non volevo dirlo…
cmq adesso è detto :-)
erano delle sensazioni a caldo, appena letto la tua presentazione, facciamo che lo vado a vedere e dopo faccio un mea culpa? però perbenista a me non l’ha mai detto nessuno! censoria poi..forse catona lo sono ma censoria…
P.S. Grazie per il raccontino del 181
Ti saluto anch’io
Ti assicuro che invece il film è un atto di amore. Alina ha perso la madre a 7 anni, quindi non è che si può certo affermare che la conosceva, peraltro Liseli era spesso via per le cure in una clinica svizzera.
L’idea del film è nata, un po’ per caso, proprio guardando i materiali girati dal nonno.
Io, peraltro, lo consiglio, e molto, dal punto di vista del linguaggio audiovisivo, che è veramente molto particolare.
Poi ognuno deve rimanere delle proprie opinioni, ci mancherebbe.
Resta peraltro per me difficile esprimermi etichettando le cose, trovo che generalizzare, senza avere visto il film, sia comunque un errore.
Citerei Rino Gaetano che nella canzone “Mio fratello è figlio unico” cantava:
“…e non ha mai crticato un film senza prima, prima vederlo…”
Poi da te dido, proprio da te, non me l’aspettavo un’uscita così perbenista, mi ricordi un po’ la signora del cinema ;-P
Severa? Io direi censoria;-P
Un saluto.
Rob.
Vedere questo film? Non so
Capisco l’esigenza della regista, di ricostruire, vedere, concludere, ma il privato è privato. Non so come si possano prendere le distanze da certi avvenimenti della propria vita e mostrarli a tutti, è forse una sorta di esorcizzazione? non vorrei sembrare severa forse quest’operazione di ricostruzione sicuramente servirà a qualcuno che vedrà il film, però io ci vedo anche, come dire, un pò di snobismo, del radical chic, ecco!
uff l’ho detto
bah vedrò che si può fare …
secondo me splinder sta funzionando male comunque in questi giorni …
cmq (ot) secondo me dovresti snellire il blog, è taaaaaaantooooo pesante (troppo, pure con un adsl super veloce ci vuole tanto)
ciao^^
Rob.
rieccomi ^^
Secondo me le cose giuste non sono quelle che dice la Fallaci.
Ed in ogni caso mi riferivo solo a quel post, e mi sembra che dal mio commento sia chiaro che ho ben presente che non predichi le cose della Fallaci (che detto così suona un po’ equivoco…), ed ben per quello che ho commentato;-))
[OT] ma io non ho mai detto che sono totalmente d’accordo con la Fallaci (assolutamente no). Per esempio la sua posizione sul referendum: parlandone con gli amici è venuto fuori “ah, te ti asterrai perché la Fallaci ha scritto quell’articolone sul giornale”..per niente! A me piace Oriana la giornalista, ed è quella donna che vorrei senatore a vita (sempre meglio che Mike Bongiorno). Mi piace di meno la Oriana predicatrice d’odio, ma non mi sento nemmeno di darle ragione *nei contenuti* (e comunque non del tutto).
E non sto nemmeno dicendo che sia giusto licenziare la Coulter solo per aver espresso le sue idee, semplicemente era un modo “ironico” per dire: tié, oltre al danno la beffa!
:) NON FATEMI ripetere sempre le stesse cose, anche perché spero dal mio blog si capisce che veramente non vado predicando le cose della fallaci…a me piacciono le cose giuste
e chi lo sa, misteri di internet;-))
Bentornata anche a te
Bentornato!
..sai cos’è la cosa che più inquietante di tutto ciò?
Quel CIAO accanto all’immagine di Escher.
C’è veramente..o è solo un’ illusione?:D
Il film..lo vedrò.Di sicuro.
Un abbraccio.
MIA
grazie a te verdemare o verderame ;-))
un film da “guardare” e “ascoltare” con circospezione e rispetto, mi pare. Una vicenda privata che solo una sensibilità acuta e attenta può svelare.
Spero di poterlo vedere anche se mi mette un po’ di ansia. Credo che quello del rapporto tra madre e figlia sia uno dei meno indacati e più difficili del mondo.
immagino quanto possa essere stato doloroso per la figlia girare un film di questo tipo o forse “liberatorio”
grazie per le notizie e la recensione.
ciao
Grazie a te e del saluto ;-))
Grazie della visita e del saluto :)
di questo sono certo s.:D
Un benvenuto a Mascia ;-))
infatti ho esordito ammettendo che forse non avevo capito quel che intendevi!
ma sai che io ammiro te e sono felice e fiera di averti vicino!
esatto: travaglio fa e dice. inoltre ha carisma e ironia…insomma, è esattamente quello che dovrebbe essere un giornalista, un ottimo giornalista!
“citizen berlusconi”.
siamo in pochi ad averlo visto.
purtroppo.
ti abbraccio con il solito, immutabile affetto.
a presto!
:)
No io non intendevo dire proprio nulla e figurarsi un golpe.
A me pare che di giornalisti come Travaglio ne esistano pochi purtroppo.
Quando dicevo fare è meglio che dire mi riferivo a lui rispetto al resto della stampa.
Come vedi non è facile farsi capire.
Non mi devi spiegare chi è Marco Travaglio.
Io ho leggo molto oltre ad aver visto il film su Berslusconi.
Io ammiro te ed il tuo blog perché sei coerente. Le mie volevano solo essere parole di vicinanza. Un bacio.
Rob.
[mio carissimo rob,
non sono sicura di aver capito quel che intendevi dire, ma credo che marco travaglio sia molto più di “quello che è costato la cacciata di luttazzi”! per me è il giornalista che ha avuto il coraggio di andare a fondo come nessun altro in vicende oscure e raccapriccianti. se posso permettermi e se non l’hai già fatto, col cuore ti consiglio di leggere “regime”, che parla con cognizione di causa e senza censure dei fatti e delle motivazioni profonde di quanto accaduto in seguito a diktat bulgari e epurazioni nel cda rai.
appena l’avrò letto anch’io – ora sto ferma su “bananas”, oltre che sui soliti testi d’esame…- ti dirò cosa penso di “intoccabili”; ma già il sottotitolo – “Perché la mafia è al potere.
Dai processi Andreotti, Dell’Utri & C. alla normalizzazione. Le verità occultate sui complici di Cosa Nostra nella politica e nello Stato”, oltre alla presentazione cui ho assistito e alla stima che nutro per l’autore mi convincono che sarà una gran lettura.
che dire?! “fare” è sicuramente meglio, ma “dire” – e POTER dire- è altrettanto importante. e poi, forse, qualcuno è più bravo a fare, qualcun altro a dire. l’importante è non tirarsi indietro all’occorrenza.
vuoi forse organizzare un golpe?! io ci sono! ;D ]
bacioni&scusa la prolissità!
:D
un bellissimo quanto poetico tributo di una figlia..
Grazie per essere passato dal mio sgangheratissimo blog :) Mi piace qui, tornerò..
Ciao, Mascia